Mentre il duro sindaco di Dvao forse è stato troppo grintoso sulle priorità nazionali, lasciandosi alle spalle istituzioni e paesi insultati, cerca ancora moltissimo la sua posizione a livello internazionale.
Quello che è meno chiaro sono le conseguenze per l’alleanza Filippine USA che si troverà di fronte ad un’altra transizione quando il nuovo presidente sarà eletto a gennaio 2017. Se le parti vogliono davvero lasciarsi alle spalle l’inizio tosto che abbiamo visto nei mesi scorsi e cogliere le opportunità, come pure adattarsi alle sfide delle relazioni, devono entrambi tenere in mente varie realtà che li aiuterà a ricalibrare i legami bilaterali.
L’attenzione data ai commenti di Duterte contro Washington o alla sua retorica non colgono il senso in generale. La sfiducia sua personale verso gli USA è profonda e la sua retorica per quanto offensiva pesca in un sentimento spesso trascurato in un segmento della società filippina che da tempo è sospettosa del ruolo americano nel paese.
Sebbene i titoli sulla cancellazione dell’incontro con Obama o della volontà di cancellare le esercitazioni delle forze speciali fanno ancora da distrattori, rappresentanti delle due parti sottolineano che le visite di alto livello come incontri di lavoro che non fanno scalpore vanno avanti ed alcune di loro fanno passi in avanti.
La visita di John Kerry con Duterte andò abbastanza bene, mentre la visita del ministro degli esteri filippino Yasay negli USA ha dato l’opportunità di affrontare alcune preoccupazioni americane sull direzione dell’alleanza.
La domanda centrale comunque è come andrà avanti l’alleanza tra i due paesi a Washington e Manila con i due nuovi presidenti nel prossimo anno. Sotto la presidenza Aquino i legami tra i due paesi avevano raggiunto livelli mai visti prima con la creazione di dialoghi di alto livello, la firma di nuovo patto di difesa e l’interesse di Manila per TPP.
Le relazioni erano tanto buone che indipendentemente dal candidato vincente alle elezioni del 2016, entrambe le parti si attendevano una situazione più complicata per l’alleanza. “Sarebbe bello tenersi quello che abbiamo ora” ha detto una personalità a Marzo, quando Duterte era ancora indietro nella corsa alla presidenza.
Finora la traiettoria delle relazioni bilaterali fanno sembrare quella ragionevole speranza idealistica. Dalla sua linea più morbida sul Mare Cinese Meridionale ai suoi insulti duri all’ambasciatore uscente e a Washington in generale; dalle preoccupazioni sui diritti per la guerra alla droga alle sue considerazioni errate sulla sicurezza esterna (come mettere in dubbio gli acquisti di Jet e le esercitazioni on gli USA), l’alleanza si è svegliata alquanto bruscamente con poche indicazioni sul dove potrebbe andare a parare.
E’ certo che storicamente ci sono stati degli alti e bassi, ma questo non ci deve far essere compiacenti rispetto al futuro, ed entrambe le parti devono lavorare duro a ricalibrare l’alleanza USA Filippine per una nuova era.
Il ripensamento di Duterte
L’iniziativa deve iniziare con Duterte e chi lo consiglia sulla politica estera.
Chi conosce bene il suo pensiero sugli USA dice che le sue idee sono il prodotto di credi più vasti, quale la preferenza per l’indipendenza e la sfiducia per le potenze esterne, come pure di particolari paure sulla trasgressione americana nel passato dal periodo coloniale in poi fino al suo periodo di Sindaco di Davao.
Oltre alle sue inclinazioni ideologiche, chi lo conosce dice che Duterte crede davvero che perseguire la sua “politica estera indipendente”, maggiore distanza da Washington rispetto al periodo di Aquino e forse legami più stretti con Pechino, significhi avere una visione pragmatica negli interessi filippini con un solido mandato per perseguirla.
Non si può anche negare che gli sfoghi di Duterte abbiano una certa sostanza. Pochissimi americani, per esempio, ricordano quello che è chiamato il Massacro di Bud Dajo, avvenuto nel 1906 vicino al vulcano Bud Dajo di Solo, citato da Duterte nel suo intervento al Summit dell’Asia Orientale a settembre. Allora le truppe USA, su ordine del generale Wood uccisero 600 Moro tra cui donne e bambini che accese un grido di dolore non solo tra i Moro ma anche tra gli antiimperialisti americani come Mark Twain.
Quando poi Yasay, il ministro degli esteri filippino, dice al CSIS che le Filippine non sono più “il piccolo fratello scuro” pochi americani sembrano riconoscere che si riferiva ad un termine paternalista coniato dal presidente Taft che fu anche governatore delle Filippine. D’altra parte contrariamente alle reazioni impulsive di qualcuno pensare ad una politica estera indipendente non è poi del tutto negativo per l’alleanza USA Filippine.
Tutti i paesi del sudestasiatico provano a bilanciare il loro allineamento tra USA e Cina per massimizzare i benefici e ridurre i rischi, e le Filippine non sono un’eccezione alla regola.
Duterte infatti è l’ultimo di una serie che ha provato da farlo con qualche successo. Inizialmente Gloria Arroyo cerco di esplicitamente di approfondire la posizione di mitigazione di rischio delle Filippine contro gli USA e la Cina, ma finì per spingersi troppo con il coinvolgimento con Pechino, mentre l’era di Aquino vide Manila spostarsi verso gli USA in gran parte di fronte alla crescente presenza cinese nel mare cinese meridionale. Duterte sembra ora provare a spostare il quadrante verso Pechino, uno spostamento che alla fine doveva accadere ma tutt’altro che certo. Supponendo che Duterte riesce a disegnare la sua politica estera indipendente, ha anche bisogno di riconoscere e tenere conto di due realtà fondamentali.
Per prima cosa, a prescindere dalle sue considerazioni sugli USA e la sua visione di politica estera, resta il fatto che le Filippine dipendono pesantemente dagli USA. Lo si vede bene nel regno della sicurezza, dove attraverso i programmi di costruzione di capacità, impegni ed esercitazioni di cui Duterte dubita, Washington e la rete di alleati regionali sono stati fondamentali nell’aiutare Manila ad affrontare le sfide della sicurezza interne ed esterne. Ma persino sul piano economico gli USA sono l’investitore estero maggiore e il terzo partner commerciale, fondamentale per la realizzazione degli obiettivi economici di Duterte esplicitati nel piano economico di 10 punti a luglio.
Se Duterte fosse davvero pragmatico, con questa realtà, metterebbe da parte la sua visione degli USA e rafforzerebbe l’interesse del suo paese costruendo sull’alleanza USA Filippine e usandola per assicurarsi legami migliori con le altre nazioni anche la Cina da una posizione di forza. Duterte deve solo guardare al predecessore Ramos, amico stretto che ha incaricato come inviato speciale nel riavvicinamento di Manila a Pechino,Anche quando Ramos cercava un accordo con la Cina dopo l’incidente a Mischief Reef nel 1994, lavorò allo stesso tempo a stilare un accordo VFA con gli USA, riconoscendo che il duro potere americano era necessario per almeno rallentare la presenza strisciante cinese nel Mare della Cina meridionale.
Seconda cosa, anche se Duterte porta avanti una politica estera con priorità nazionali e prova a catturare l’aiuto di Washington per raggiungere gli obiettivi filippini, deve comprendere che l’alleanza USA Filippine è una strada a doppio senso. Il sostegno USA non è una costante ma una variabile che viene periodicamente valutata ad ogni amministrazione. La realtà è che fil punto fino a cui un’amministrazione USA può aiutare Manila nei suoi obiettivi è subordinato a quanto le Filippine vogliono contribuire bilateralmente, regionalmente e globalmente come anche al sostegno politico nazionale a Washington.
Sul punto precedente mentre gli USA hanno contattato più compiutamente una crescente lista di paesi dell’Asia Pacifico sotto la sua politica di nuovo bilancio, hanno chiesto ai suoi amici di fare di più. Questo ha alzato la posta per i più vecchi alleati di Washington in termini di contributi regionali e globali.
Sotto Aquino, le Filippine chiaramente lavoravano nell’alleanza ad un livello non visto da decenni. Questo includeva non solo attenersi più alle difese esterne all’interno del proprio programma di modernizzazione militare e accordarsi su EDCA, ma anche sostenendo l’ordine basato sugli USA con vari mezzi, respingendo la Cina nel Mare Cinese Meridionale all’esprimere interesse per il TPP.
Duterte ha già detto che aderirà agli accordi di sicurezza esistenti come EDCA, e sul piano economico continuano i negoziati sulla questione notevole nell’alleanza come i Sistemi Generali di Preferenze, GSP. Ma lo standard in base al quale si giudicherà Manila sarà più alto del mero mantenimento dello status quo su queste questioni. Se Manila ora si tira indietro e appare non aver valore nel portare avanti gli interessi americani regionali, allora rischia di scendere nella gerarchia degli alleati e partner di Washington sotto una prossima amministrazione.
In questo senso alcuni discorsi ed azioni di Duterte sin dalla sua venuta al potere hanno fatto alzare le sopracciglia a Washington sebbene poi i suoi consiglieri, diplomatici e parlamentari e in alcuni casi Duterte stesso, abbiano cercato di diradare i dubbi.
L’assistenza USA nell’avanzamento degli interessi filippini dipende anche dal sostegno politico a Washington, non solo nella Casa Bianca e nel Consiglio Nazionale della Sicurezza, ma anche nel dipartimento di stato e al congresso americano. La retorica anti americana e le preoccupazioni per i diritti umani rendono più difficile, per vari agenti nei circoli politici americani come anche sostenitori dell’alleanza, chiedere maggiore sostegno per gli obiettivi veri che presidente filippino vuole raggiungere.
In particolare con il congresso americano in piena sessione dopo il suo fermo estivo, c’è il rischio che tali commenti mettano pressione sull’amministrazione affinché prenda azioni punitive contro Manila con un possibile conseguente taglio di finanziamenti e una spirale negativa di ostilità reciproca. Ci sono segnali premonitori, quando il senatore Leahy dice che si debbono porre condizioni in più da allegare all’aiuto americano alle Filippine, se dovessero continuare gli omicidi extragiudiziali. Se Duterte vuole che gli USA capiscano il contesto nazionale sotto cui lui opera, deve anche dimostrare la stessa empatia per i suoi interlocutori a Washington.
Il bilancio di Washington
Come Duterte deve trovare una via di mezzo tra il raggiungere una politica estera più indipendente e la realtà della dipendenza dagli USA, anche Washington deve trovare un proprio bilancio. Il bilancio nel suo caso è tra l’affrontare le preoccupazioni legittime sulla direzione futura dell’alleanza USA Filippine, mentre tenere a mente le realtà che costituiscono l’approccio dell’amministrazione Duterte verso gli USA e forgiare quello che si potrebbe ottenere per Manila e Washington durante la sua presidenza.
Se Duterte è nel diritto di porre le vecchie rimostranze sull’eredità coloniale di mezzo secolo la dipendenza eccessiva delle Filippine dal suo alleato, allora Washington ha anche il diritto di esprimere le proprie ansie sul futuro della relazione in base al passato turbolento.
Per glii osservatori dell’alleanza USA Filippine, la frizione sugli omicidi extragiudiziali nella guerra alla droga di Duterte e le paure di un ritorno ad un’attenzione alla sicurezza interna nella modernizzazione militare toccano dei nervi scoperti che hanno messo in pericolo la cooperazione bilaterale nel passato. Basta dire che i dibattiti discontinui sui diritti umani durante Marcos o la condivisione degli oneri che avevano cominciato a scemare durante Aquino sarebbero niente affatto ideali per entrambe le parti.
Inoltre, c’è anche la sensazione che la posta in gioco sia più alta che nel passato. Dalla prospettiva dei legislatori americani, l’Asia è una regione con crescenti opportunità e di sfide nascenti. Una Cina più fiduciosa e presente, un ASEAN pieno di problemi, unitamente ad una serie incredibile di questioni globali come l’ISIS, la guerra del medio oriente, la Russia che risorge, una fragile Europa ed un’economia globale debole.
In un ambiente simile i guadagni recenti di Washington e Manila fatti negli ultimi anni sono importanti non solo per l’alleanza ma per la regione, ed una loro inversione sarebbe percepita con una prospettiva più vasta.
Un esempio è la cooperazione di sicurezza marittima tra USA e Filippine che ha una componente vitale regionale, poiché il National Coast Watch Center filippino è un centro iniziale fondamentale perché Washington aiuti a costruire un quadro operativo in rete comune nel mare cinese meridionale da estendere alla regione attraverso la sua Iniziativa di Sicurezza in Mare del Sudestasiatico, MSI. Di conseguenza è ragionevole che Washington fissi un limite per assicurare che il progresso in alcune aree, come EDCA, non sia trattenuto, mentre Manila ingaggia la Cina, che non è affatto entusiasta del percorso della cooperazione di sicurezza USA Filippine negli scorsi anni.
Detto questo le preoccupazioni leggittime sullo stato futuro dell’alleanza devono esser accompagnate dal riconoscimento delle due realtà fondamentali da parte di Washington.
Per prima cosa, è ancora l’inizio. La posizione di Duterte sull’alleanza USA Filippine evolve in base alla popolarità a casa e agli allineamenti che cambiano con gli altri stati, entrambi da valutare ma che potrebbero finire per cambiare molto più velocemente di quanto la sua amministrazione percepisce. I politici USA avranno bisogno di reagire in modo proporzionato al bisogno, ma dando tempo all’amministrazione per trovare la propria posizione nel caso che alla fine sposti il proprio approccio verso gli USA.
Vale la pena ricordare qui che è comune per presidenti USA o Filippini, prendersi del tempo per assestarsi. Aquino ebbe bisogno di un anno, e Duterte potrebbe prendersi un tempo differente perché le cose qui sono più imprevedibili. Internamente, poiché è un esterno che sfida le elite costituite su vari fronti simultaneamente, potrebbe anche alienarsi elementi delle burocrazie o istituzioni come militari o legislatura, portandolo a perdere capitale politico e ricalibrarsi, come accaduto con i commenti sugli USA che gli sono costati alcuni appoggi.
A livello internazionale la sua pretesa forte di ricominciare con la Cina potrebbe finire male o viaggiare precariamente tra continue incertezze, portandolo a considerare, come fondamentale obiettivo strategico, il mantenere a galla le relazioni con gli USA. E’ troppo presto per dirlo perché da entrambe le parti abbiamo nuove amministrazioni come anche nuovi diplomatici. Ma è chiaro che, nonostante la sua retorica, Duterte sa, e lo ha ammesso a denti stretti, che la stretta collaborazione con gli USA in aree come la sicurezza marittima è vitale per Manila anche mentre accresce i legami con la Cina.
L’amministrazione Obama sembra aver capito questo bisogno di calma e pazienza riconoscendo il significato nazionale della guerra alla droga mentre batte sui diritti più specificamente o dando a Duterte lo spazio per respirare necessario per riparare i legami rotti con Pechino. Ma questo sembra diventare sempre più difficile. E al di là del presidente USA, la nuova amministrazione potrebbe non trovare granché facile assolvere in pratica a questo compito.
Perché né Hillary Clinton né Donald Trump hanno quel temperamento freddo di Obama su questioni di politica estera e domestica, e potrebbero reagire più fortemente di fronte ad una prossima trasgressione di Duterte. Inoltre al di là delle personalità, riconoscere questa realtà di fronte all’attuale transizione delle Filippine, e forse qualche altro scoppio di Duterte, richiederanno non solo pazienza da parte dell’esecutivo, ma forse anche controllare un congresso USA arrabbiato che talvolta ha una sua propria idea, e controbatterla con altre burocrazie che potrebbero non essere tolleranti di trasgressioni percepite contro gli ideali americani o i principi internazionali.
La seconda realtà è molto più dura da riconoscere: che sotto Duterte l’alleanza USA Filippine, mentre fa qualche progresso, potrebbe anche non vedere mai un livello vicino all’allineamento strategico visto sotto Aquino. Se si considera questa possibilità Washington non deve solo sperare e attendere che Duterte si ravveda, ma anche allo stesso tempo prepararsi ad un profilo più sobrio per l’alleanza, che sia impegno selettivo su varie aree o forse persino una calma cooperazione minima nel mezzo dell’ostilità pubblica. Non sarebbe l’ammissione di una sconfitta potenziale ma un riconoscimento delle possibili e probabili realtà.
Lo scenario di ingaggio selettivo vedrebbe Washington e Manila continuare ad avere differenze fondamentali ma cooperare ugualmente su alcune aree dove gli interessi si intersecano, come quelli che si allineano con gli obiettivi di Duterte del antiterrorismo e l’applicazione della legge, non sempre prive di frizioni.
Indonesia e Malesia
Questo accadrebbe secondo linee simili a quelle viste finora nelle relazioni USA Indonesia sotto Jokowi, un altro populista della regione, dove discorsi di una “partnership strategica” sono andati più velocemente avanti della realtà della collaborazione in aree specifiche come sicurezza marittima e pesca illegale.
Uno scenario più difficile potrebbe essere quello visto nelle relazioni Malesia USA sotto Mahatir tra il 1980 e 1990, o forse quello attuale in Thailandia, dove c’era un disaccordo pubblico più forte su varie questioni anche quando continua una qualche cooperazione di sicurezza sotto il radar.
Prescindendo da ciò che si materializzerà, l’approccio di Washington deve essere lo stesso. Fissare i paletti per stabilire un piano chiaro per l’alleanza e preservare molto della cooperazione che si è già raggiunto, e poi dare forma ai contorni di un ragionevole tetto dicendo chiaramente come potrebbe contribuire alle priorità domestiche proprie e delle Filippine e cosa si attende di ricevere.
Se Duterte finisce per volere solo una relazione di transazioni con gli USA, allora Washington deve prepararsi a contrattare duramente per assicurare la migliore riuscita per gli interessi americani.
Alleanze e partnership talvolta attraversano periodi di cambiamento con le nuove presidenze e l’alleanza USA Filippine non è da meno. Sotto l’amministrazione Duterte come anche la prossima amministrazione USA, questo processo andrà avanti con i propri sbalzi.
Ma dati i precedenti visti le due parti devono pensare attentamente e creativamente sul come gestire l’alleanza che è importante non solo per entrambi ma anche per la regione.
Dopo tutto l’allarme che ha seguito la minaccia di Duterte di Passare il Rubicone con gli USA, c’è bisogno nell’alleanza USA Filippine più di un ricalibrare ce non resettare o ripensare, un ricalibrare che entrambe le parti possono pienamente fare se i loro capi vorranno farlo.
Prashanth Parameswaran, Rappler.com @TheAsianist.