6 ottobre 1976 è una data critica e fondamentale per la storia thailandese moderna, e viene ricordata ogni anno da 40 anni ormai da chi lotta per la democrazia e la giustizia. E’ anche una data che il potere dei militari vorrebbe far dimenticare. A 40 anni di distanza la Thailandia è ancora sotto il tallone degli stivali militari ad arrovellarsi sugli stessi temi su cui tanti studenti furono trucidati.
Un progetto grande, di cui si fa carico lo storico thailandese Thongchai Winichakul, si prefigge di Dare un nome a chi non lo ha, ai tanti morti nel 6 ottobre 1976 il cui nome vuole essere ricordato e che incutono ancora paura nei familiari.
Vogliamo solo ricordare che quest’anno un piccolo movimento nuovo si vuole far carico di quelle speranze e di quel senso di giustizia che alimentarono i movimenti studenteschi negli anni dal 1973 al 1976. E’ un movimento che sembra guardarsi intorno almeno nella regione, avendo invitato a parlare il capo del movimento studentesco di Hong Kong Jashua Wong, la cui deportazione in Cina ha attirato le proteste di tanti contro la giunta militare thai e il governo cinese.
Quest’anno vogliamo ricordare il 6 ottobre 1976 con un altro articolo di Achara Ashayagachat che parla Thongchai Winichakul, militante studentesco di quegli anni e storico thailandese di levatura mondiale.
Dare un nome a chi non lo ha
Lo studioso e militante studentesco della rivolta popolare del 1973 contro il regine militare vuole assicurarsi che le future generazioni ricordino il massacro alla Thammasat.
Thongchai Winichakul ha appena compiuto 59 anni, ma i momenti più sanguinosi della sua vita avvennero quando era uno studente 40 anni fa. Anche da studioso di successo, il buco nero resta persino quando dice di “aver fatto i conti con quel trauma storico” con un meccanismo di razionalità mai vendicativa. Dice che in qualche modo è inconsciamente “guarito”.
“Non so come chiamarlo, trauma? Ma ho fatto i conti con esso nel tempo. Forse mesi dopo la ventesima commemorazione del 6 ottobre 976, mia moglie notò che i miei incubi erano scomparsi” dice Thongchai, capo degli studenti della Thammasat e professore in pensione presso l’Università Wisconsin dove ha insegnato per 25 anni.
Considerato come una voce della ragione e testamento umano delle atrocità di quel giorno, la comprensione umanistica di Thongchai di quell’evento che fece almeno 46 morti, in cui tanti furono stuprati, impiccati o bruciati, non lo ha mai fermato dal perseguire la richiesta di giustizia persino dopo 40 anni.
Era uno studente del secondo anno presso quell’università e uno dei militanti più importanti che era lì nel recinto quando la repressione della polizia ebbe luogo contro migliaia di studenti nel campus. Resta il mistero di chi ordinò quella repressione.
“Non c’è un singolo giorno in cui non mi passa per la mente quel 6 di ottobre.” dice l’occhialuto storico, uno degli storici più rispettati sulla storia thai. Originario della zona di Tha Prachan, Thongchai benché abbia vissuto ed insegnato all’estero, è ancora guidato e motivato dai vecchi ricordi del suo vecchio fantasma.
Le atrocità di 40 anni fa sono ancora uno dei capitoli più oscuri della storia thai moderna. Gli studenti protestavano contro il ritorno del Mareciallo Thanom Kittikajorn che tre anni prima aveva lasciato il paese dopo la sollevazione popolare del 14 ottobre del 1973. Ma ad accendere le fiamme dell’odio fu una miscela tossica di propaganda di estrema destra e caccia alle streghe e allarmismo comunista.
Disillusi e sconfitti dalla destra migliaia di studenti, contadini, sindacalisti e attivisti lasciarono l case e si diressero nella giungla per unirsi al movimento comunista per prendere le armi contro il governo, dove sarebbero rimasti per molti anni.
Thongchai fu arrestato e detenuto per due anni. Fu rilasciato insieme ad altri 18 prigionieri di coscienza il 16 settembre 1978, dopo che Amnesty International fece pressioni sul governo thai. Poi completò la sua laurea alla Thammasat e andò a finire di studiare a Sidney.
Negli anni ha dimostrato ai suoi detrattori che si sbagliavano. Una delle accuse rivoltegli contro fu che “era troppo ossessionato dal bagaglio storico, tanto da non riuscire ad andare avanti”
Con l’uscita della sua opera grandiosa Siam Mapped: A History Of The Geo-Body Of A Nation nel 1995, divenne un intellettuale rinomato a livello mondiale. Il libro, scritto in inglese, è uno dei resoconti più importanti della storia thai, una storiografia determinante in cui Thongchai presenta un’ analisi acuta della nazionalità, identità e formazione del Siam moderno. Il libro ricevette il premio Harry Benda da parte dell’Associazione degli Studi Asiatici nel 1995.
La traduzione giapponese ricevette un altro premio importante nel 2004 da parte del Asian Affairs Research Council giapponese. Oltre al giapponese il libro è stato tradotto in Thai, Coreano e in alcune lingue cinesi.
Nel 2003 fu eletto alla American Academy of Arts and Sciences e ricevette il premio John Simon Guggenheim per il suo lavoro di studioso.
Nonostante tutto questo il professore di storia, i cui genitori analfabeti erano di origine cinese thai con 10 figli, resta scontento. C’è un buco nero dentro di lui e quello lo spinge a continuare il viaggio, a ricordare la società del massacro del 6 ottobre, un evento che resta oscuro e sconosciuto alle giovani generazioni.
Thaongchai ed i suoi amici lavorano a rendere materiale qualcosa di fondamentale tralasciato troppo nel tempo: onorare le persone che caddero vittima di quella repressione 40 anni fa. Mettono insieme fatti dispersi e li digitalizzano per mantenerli in modo sistematico per studi futuri.
Quando gli si chiede come considera le varie inchieste sulle verità sui crimini di stato delle repressioni sanguinose del 14 ottobre 1973, 6 ottobre 1976, maggio 1992 e aprile maggio 2010, Thongchai velocemente fa una correzione sul termine usato. “Non li chiamano crimini di stato”.
“Fanno sì che la società thailandese riconosca come la sollevazione studentesca del 1973 e il maggio del 1992 abbiano contribuito con dei cambiamenti positivi. Le vittime del 14 ottobre del 1973 ricevono persino rituali sponsorizzati dallo stato e monumenti anche se ovviamente dopo tanti sforzi durati anni”.
Ma il massacro del 6 ottobre è totalmente differente. Chi è al potere prova sempre a prendere le distanze da quell’evento nota Thongchai
“Non lo vogliono proprio riconoscere. Ecco la ragione per cui la statua che commemora l’evento è nascosto in un angolo del campus. Non lo si può mettere all’aperto in un punto della Sanam Luang” dice Thongchai che indica una scultura sobria in cemento vicino al cancello principale della Thammasat.
Lo storico ribadisce il unto in modo differente: “Forse pensano che la gente che fu uccisa allora lo avesse meritato perché erano nemici dello stato. Non hanno rancore per chi fu ucciso nel 1973 o il 1992 perché li considerano come se non meritassero la morte e quindi si possono commemorare in modo ufficiale.”
Sono stati anche riconosciuti i familiari delle vittime delle repressioni del 1973 e 1992 con il loro spazio. Dice Thongchai: “Questo non vuol dire che loro non meritano di essere riconosciuti. Dopo tutto molti di loro lottano ancora per i tardivi risarcimenti anche se i loro familiari caduti sono definiti eroi”.
Sulla repressione del 2010 contro le magliette rosse, Thongchai dice che è ancora fresco il ricordo ma il destino di quell’evento è analogo a quello del 6 ottobre 1976.
“Infatti è incomparabile, in termini di numero di morti il 6 ottobre forse ha avuto meno perdite umane, ma la brutalità e il modo in cui la gene fu uccisa e come sono stati trattati dalla storia”
Thongchai è meno coinvolto nella ricerca della verità sugli incidenti del 2010 a Ratchaprasong, sebbene dica: “Faccio tutto quello che posso, attraverso gli scritti accademici e come osservatore attento del paese”
Infatti ha fatto molto di più. Nel 2012 Thongchai si è unito agli avvocati e ai parenti dei morti nell’appello alla Corte Internazionale di Giustizia per investigare sulle morti di 98 persone che protestavano contro l’amministrazione di Abhisit. Ma l’azione ha colpito il muro perché la corte internazionale non ha giurisdizione sulla Thailandia.
Tornando alla questione centrale nella sua vita, Thongchai con le lacrime agli occhi dice che si metterà al lavoro per dare un nome a chi non lo ha.”
“Non sono anonimi, hanno nomi e li dobbiamo commemorare come persone”.
E’ solo un piccolo passo di riconoscimento e Thongchai comprende che potrebbe non vedere la verità nella sua vita. “Potremmo scoprire e contattare varie famiglie delle vittime ma potrebbero scansarci o prenderne nota ma non voler essere coinvolti nelle commemorazioni. Resta la paura con loro”.
Ogni anno solo due parenti delle vittime, Zia Lek, madre di Manu Withayabhorn e la famiglia di Jarupong Thongsin, si uniscono alle celebrazioni del 6 ottobre.
“E’ squallido. Forse vogliono che la gente dimentichi. Ma non dobbiamo perdere la speranza. Pensiamolo come un arco di tempo storico. Le cose cambiano e il cambio della demografia e dell’economia hanno cambiato la forma mentale della gente” dice Thongchai.
Lo stile patriarcale del governo che non ammette discussione negli affari dello stato non funziona bene nella generazione del millennio, fa notare.
“Dobbiamo solo accumulare i documenti e attendere perché la curiosa generazione futura scavi e faccia sempre più domande”.
Quest’anno nuove scoperte indicano che ad essere impiccati dalla folla di estrema destra non furono solo due studenti bensì quattro. Lo studente di scienze politiche della Chulalongkorn Amorkul Wichitchai era uno di loro ma anche i suoi contemporanei non avrebbero potuto dirlo precedentemente.
“Non ho mai guardato le foto o i film dell’epoca. E’ uno strazio troppo grande, abbiamo bisogno di un lettore, un osservatore, che in qualche modo è distante dall’evento per vedere i dettaglidelle scene brutali”.
E’ la sola eredità che potrebbe lasciare, assicurarsi che le morti non saranno dimenticate.
“Non è un sentimento di vedetta che mi conduce in questi progetti” sottolinea.
I suoi prossimi progetti sono di completare un altro libro “Momenti di silenzio: i ricordi incancellabili e ambivalenti del massacro del 1976 a Bangkok” e forse un altro libro “La Democrazia Reale in Thailandia”.
“Quando critico un’istituzione, non è una vendetta personale. E’ qualcosa che deve essere spiegato”
Dopo 40 anni, non si è finito di spiegare. O forse non si è neanche iniziato.
Achara Ashayagachat, Bangkok Post