La prima fu la sua decisione di “separarsi” militarmente ed economicamente dall’America per allinearsi con il flusso ideologico della Cina, su cui lui “dipenderà per tanto tempo”. Fece solennemente questo annuncio ad un forum nella Grande Sala del Popolo a cui partecipava il vice premier Zhang Gaoli.
Sebbene, nel suo rientro a Manila abbia abbassato i toni, il ruolo di Duterte di perno verso Pechino piuttosto che per Washington è genuino. Per la Cina il suo voltafaccia era un regalo di valore perché fino a poco tempo fa le Filippine erano l’alleato più stretto dell’America nel sudestasiatico. Manila giocava anche una parte centrale nella strategia americana di perno dell’Asia che mirava a contenere le ambizioni egemoniche regionali cinesi.
Il suo voltafaccia, visto come lo spostamento più significativo del potere geopolitico nella Regione dell’Asia Pacifico dalla guerra fredda, indebolirà notevolmente l’influenza regionale americana esaltando immensamente quella cinese.
Il secondo dono, forse il più prezioso, è stata la volontà del presidente filippino a mettere in secondo piano il caso storico dell’arbitrato contro la Cina del Mare cinese meridionale, vinto in modo eclatante a luglio, per risolvere le dispute marittime con la Cina attraverso trattati bilaterali.
Adottando questa posizione si è chiaramente inchinato alla Cina ed ha agito come se il suo paese avesse perso, e la Cina avesse vinto, il caso dell’arbitrato internazionale.
Adozione della posizione marittima della Cina
La Cina ha sempre e con forza reclamato che le dispute marittime possono essere risolte col negoziato. Questo ha portato al suo rifiuto di partecipare al caso dell’arbitrato sottoposto ad un tribunale formato sotto gli auspici dell’UNCLOS nel gennaio 2013 dall’amministrazione Aquino, predecessore di Duterte.
La veemente obiezione cinese all’arbitrato si basava anche su un argomento che i due paesi avevano accettato attraverso gli strumenti bilaterali e la dichiarazione del 2002 della DOD delle parti nel mare cinese meridionali tra Cina e ASEAN, di sistemare le dispute importanti attraverso i negoziati. Questa è una ragione fondamentale della ragione per cui affermavano che l’arbitrato era illegale.
Tuttavia, nell’ottobre 2015 nell’ammettere la giurisdizione e ammissibilità, i cinque giudici del tribunale arbitrale a L’Aia rigettavano la posizione cinese e decisero di considerare i meriti del caso.
Nel luglio 2016, nonostante l’opposizione preventiva cinese e gli sforzi internazionali concertati, come la ricerca di sostegno da paesi africani senza sbocco al mare, il tribunale unanimemente affermò in favore delle Filippine su quasi tutti e 15 le interrogazioni.
Tra le decisioni chiave del tribunale si trovavano che la Cina aveva volato i diritti sovrani delle Filippine nella sua zona economica esclusiva interferendo con la pesca filippina e la ricerca petrolifera, costruendo isole artificiali e mancando di impedire ai pescatori cinesi dal pescare nella zona e che “la flotta della polizia cinese aveva illegittimamente creato un serio rischio di collisione quando ostruiva fisicamente le navi filippine”.
Comunque invece di celebrare, o dare il benvenuto, la sua dura battaglia vinta, l’amministrazione Duterte che prese il potere a giugno invitò “tutti gli interessati ad esercitare sobrietà e ritegno”. E’ difficile incontrare una parte vincente in una disputa legale significativa di salutare la vittoria storica con un invito all’astensione.
Non sorprende quindi che durante la sua visita a Pechino dove gli fu dato un trattamento sfarzoso dai capi cinesi, Duterte accettò di metter da parte la decisione dell’arbitrato e aprire negoziati diretti con Pechino.
Il ragionamento del governo per tale posizione potrebbe essere, come ha detto lo stesso Duterte “La Cina è ora al potere, hanno la superiorità militare nella regione” e che come ha concesso il suo ministro degli esteri “La decisione del tribunale dell’arbitrato non ha capacità di applicazione o meccanismi propri”.
In un certo senso è vero che la Cina è ora il paese più potente della regione e che la decisione del tribunale è inapplicabile, perché un tribunale internazionale non ha un esercito o una polizia. Tuttavia è poco saggio, quando non pericoloso, fare una tale ammissione, poiché vendica il punto di vista che il governo della legge nelle relazioni internazionali non si applica alle grandi potenze e che nella politica internazionale la forza crea i diritti.
Infatti sotto la guida di Aquino le Filippine rigettarono quella considerazione “arretrata”.
Nel convincere il tribunale arbitrale a considerare il caso, l’allora ministro degli esteri Alberto del Rosario affermò che il suo paese decise di rivolgersi all’arbitrato per dare alle parti una soluzione durevole basata su regole”, perché credeva che la legge internazionale ha “poteri ugualizzanti” che permettono ai paesi come le Filippine di “stare allo stesso livello con paesi più ricchi e più potenti”.
Più concretamente persuadeva con fermezza che UNCLOS ha “regole di risoluzione delle dispute che permettono al debole di sfidare il potente su una base uguale, confidente nella convinzione che i principi ostacolano il potere, che la legge trionfa sulla forza e che i diritti prevalgono sul potere”.
Una tale forte convinzione è la ragione fondamentale perché Aquino riuscì legalmente a competere e vincere sulla Cina nel mare cinese meridionale nonostante l’incapacità a sfidarla militarmente.
C’è anche un’altra ragione per cui l’Amministrazione Aquino aveva aiutato le Filippine a vincere il caso contro la Cina mentre Duterte ha fatto proprio la cosa opposta.
Nel discutere e nel cercare il sostegno internazionale per la causa del suo paese, Alberto del Rosario disse che il caso dell’arbitrato “è di estrema importanza per le Filippine, la regione e il mondo”.
In contrasto, negli incontri paralleli dell’ASEAN in Laos, il ministro Yasay contrasse quel caso affermando che interessava la Cina e le Filippine soltanto.
Lo stesso Duterte lo disse chiaramente che “Questa è puramente una disputa bilaterale. E’ tra Filippine e Cina. Non solleverò la questione in un forum internazionale compreso l’ASEAN”.
Questa posizione deve aver deliziato la Cina perché si oppone con forza ad ogni coinvolgimento di una terza parte nelle dispute marittime. Si può anche chiarire perché la decisione è stata esclusa dagli incontri dell’ASEAN ed altri forum internazionali importanti.
Mancanza di rispetto per le agenzie internazionali?
Inoltre, durante le audizioni dell’arbitrato, l’ex capo diplomatico delle Filippine sottolineò che le Filippine sono un membro fondante dell’ONU ed un attivo partecipante in questa “grande” ed “indispensabile istituzione” e che “da tempo pone la propria fede nelle regole e nelle istituzioni che la comunità internazionale ha creato per regolare le relazioni tra stati”.
Del Rosario disse anche che le Filippine erano forti del fatto di aver firmato l’UNCLOS il giorno che nel 1982 si aprì la firma e “hanno rispettato e implementato i suoi diritti e obblighi sotto la convenzione in buona fede”.
Comunque tale alta considerazione per l’ONU e le istituzioni subordinate e le regole è notevolmente svanito sotto il governo Duterte.
Perseguendo con ostinazione la sua sanguinosa campagna contro la droga con gli omicidi extragiudiziali conseguenti, e insultando e minacciando di abbandonare l’organizzazione internazionale in risposta alla critica dell’ONU della sua guerra alla droga, il suo presidente solitario è molto irrispettoso dell’ONU e delle sue agenzie e commissioni dei diritti umani.
Si può discutere se siano giustificati l’estensione della sua guerra alla droga come anche le modalità di risposta alle critiche dell’ONU e degli altri corpi internazionali.
E’ chiaro tuttavia che denunciando l’ONU e i suoi ufficiali, corpi e regole, il governo Duterte ha degradato la sua credibilità ed autorità. Di conseguenza, sebbene indirettamente, ha svalutato il significato dell’arbitrato del Mare Cinese Meridionale. Questo è poiché, dopo tutto, sebbene la Cina possa essere in disaccordo, il caso dell’arbitrato era tenuto in considerazione legalmente da un tribunale arbitrale formato sotto l’egida della convenzione della legge del Mare dell’ONU.
Inoltre, insultando pubblicamente e volgarmente gli USA, l’ONU e l’Unione Europea e alienandosi gli altri paesi fondamentali e organizzazioni internazionali, l’amministrazione Duterte ha diminuito fortemente il sostegno internazionale per il caso del Mare Cinese Meridionale.
A maggio e giugno del 2016, il G7 e l’Europa discussero delle dichiarazioni forti sul mare cinese meridionale. Sebbene non si nominasse direttamente la Cina, queste dichiarazioni erano viste mirate ad essa. Da allora 40 paesi tra i quali i 28 europei avevano detto pubblicamente che il premio arbitrale sarebbe stato vincolante legalmente.
Comunque solo pochi paesi hanno chiesto pubblicamente che si rispetti il verdetto.
Il peso economico e la pressione cinesi sono la ragione chiave perché varie nazioni, i paesi dell’Europa hanno contenuto la loro posizione. Tuttavia il comportamento di Duterte ha anche contribuito significativamente alla mancanza di sostegno. Come possono i paesi ed organizzazioni sostenere il caso, quando le Filippine stesse non vogliono difenderlo o hanno cattiva considerazione il governo della legge e le organizzazioni internazionali?
A giudicare dalle tante parole aspre di Duterte, compreso “noi tre contro il mondo”, è ovvio che o lui non se ne importa della reputazione internazionale o nn ha bisogno del sostegno internazionale. Sembra che per lui la sua alleanza con Cina e Russia non solo è “il modo unico” ma anche sufficiente al suo paese per trattare le questioni nazionali e internazionali e persino prendersela col mondo intero.
Per il momento la sua chiara serenata verso la Cina ha dato i suoi frutti, almeno economicamente. Per ripagarlo per la sia attitudine rispettosa, se non sottomessa, Pechino ha promesso di fornire alle Filippine accordi e prestiti grandiosi. Comunque il prezzo che l’arcipelago ha pagato, o pagherà, per essere il perno della Cina è anche enorme. Oltre alla separazione economica e militare dall’America, l’alleato più importante e duraturo, che impatteranno negativamente nel lungo termine con l’economia del paese, se si materializzasse, ha fatto sostanziali concessioni marittime e territoriali.
Con tali accordi sontuosi con la Cina, accoppiati insieme alle affermazioni di Pechino della sovranità inerente e indisputabile su gran parte del Mare della Cina, la sua opposizione al caso dell’arbitrato e l’alienazione di Duterte degli alleati fondamentali delle Filippine, la prospettiva che la Cina si adegui totalmente o in parte all’arbitrato è diventato impossibile.
Se si considera ciò non sorprende del perché alcuni filippini hanno già posto preoccupazioni e domande come: “Abbiamo perso noi il caso del Tribunale Arbitrale?”
La posizione ossequiosa di Duterte di fronte alla Cina e la sua ambivalenza, se non proprio ignoranza, della questione del mare cinese meridionale potenzialmente rafforzerà le ambizioni marittime di Pechino e mina ogni speranza di un ordine marittimo basato su regole nella regione.
Dopo l’emissione del verdetto atteso, alcuni esperti internazionali salutarono il verdetto come punto di svolta, perché il verdetto storico era visto come “avente un impatto sullo sviluppo di un ordine basato su regole per gli oceani” e per il mare cinese meridionale in particolare.
Sfortunatamente a giudicare da quello che è successo non è più il caso.
Xuan LocDoang, Asiatimes.com