I passeggeri del treno delle 12:33 che dalla città thai di Hat Yai porta a Sungai Kolok, sulla frontiera meridionale con la Malesia, si appellano a dio e alla buona sorte per sopravvivere.
Fino a questo punto dell’anno, la linea ferroviaria che attraversa il profondo meridione thailandese distrutto dall’insorgenza è stata attaccata tre volte dai ribelli separatisti malay musulmani.
Loro sono determinati a mostrare che il comando dello stato thailandese non scorre liscio come l’olio in questa regione e diffondono la paura e l’insicurezza con omicidi, imboscate e bombe che si hanno quasi ogni giorno.
“Ho paura, nessuno sa cosa accadrà su questo treno” dice la vecchia Ka yoh. “Non abbiamo altri modi per spostarci. Perciò è meglio che mangi, dorma e sarò felice se mi sveglierò alla stazione … se Iddio vuole” aggiunge mentre tira fuori un pezzo di mango verde da un pacchetto.
L’ultima bomba del 3 settembre distrusse l’ultimo vagone uccidendo il capo treno e ferendo due persone. La linea taglia le province di Pattani, Yala e Narathiwat, i principali territori dove vive la maggioranza malay musulmana, colonizzati dalla Thailandia a maggioranza buddista oltre un secolo fa.
Oltre 6800 persone sono state uccise negli oltre 13 anni di ribellione contro lo stato thai che ha provato a recintate la distinta cultura malay musulmana.
La maggioranza delle vittime sono civili, ma questo conflitto difficile e complicato non prende affatto i titoli nazionali.
Una nuova serie di incontri si sono tenuti in segreto a ravvivare la discussione sul disegno di zone di sicurezza per i civili. Ma resta lontana la fine dell’insorgenza.
Il treno si dinoccola attraverso un panorama lussureggiante di montagne e piantagioni di caucciù, interrotto da colpi di colore rosa e di blu degli abaya delle ragazze musulmane.
Per i viaggiatori il viaggio di un dollaro verso la frontiera malese è il modo più economico per attraversare un’area pericolosa.
Ma per i ribelli separatisti che si definiscono juwae o militanti della libertà, rappresenta un obiettivo facile, un’arteria simbolica dello stato thai a maggioranza buddista.
Per quella ragione le autorità thai sono determinati a mantenere la ferrovia in funzione.
In ogni treno viaggiano soldati thai, mentre nelle stazioni con i fucili a tracolla si muovono le forze di sicurezza vestite in nero.
“Gli attacchi sono un problema … ecco perché siamo qui” dice un volontario che lavora da anni sulla linea, il fucile appoggiato su un sedile del vagone. “Ma non possiamo fermare le bombe” aggiunge.
L’attacco del 3 settembre segue il modello dell’insorgenza.
Una cellula di militanti ha posto nella notte delle cariche e delle bombole di gas sotto il percorso del treno, restando vigile in attesa. Al passaggio del treno dell’alba hanno fatto scoppiare la bomba.
“Attaccando i treni causano sofferenza alla gente” dice il colonnello Pramote Promin portavoce deli militari nel meridione.
Le autorità ferroviarie dicono che l’esatto numero di attacchi alla ferrovia è considerato segreto, ma i media parlano di una dozzina di attacchi dal 2014.
Finora l’insorgenza ha mantenuto la propria lotta nel profondo meridione thailandese permettendo alla maggioranza dei thai di mantenersi ad una distanza di sicurezza dal conflitto.
Ma ad agosto scorso la violenza parve voler uscire fuori dall’area. Quattro thai furono uccisi da una serie di piccoli attacchi coordinati nelle città di turismo come Phuket e Hua Hin.
Secondo il loro stile i separatisti non reclamarono gli attacchi e le autorità thai hanno cercato disperatamente di minimizzare ogni legame degli attacchi all’insorgenza. Ma le bombe portavano il marchio dell’insorgenza ed i sospettati erano tutti originari della regione.
Per ora la gente della regione meridionale musulmana rimane al limite duro del conflitto, presa nel mezzo dalle forze di sicurezza che asfissiano la regione ed i ribelli che vivono tra di loro, privi di scrupoli verso i presunti collaboratori.
Eppure resta forte il sostegno al movimento, come è conosciuta la ribellione.
La popolazione malay musulmana “forse non è d’accordo con la brutalità dell’insorgenza ma condividono lo stesso sentimento, la stessa sfiducia storica verso lo stato thai” spiega l’analista della sicurezza Don Pathan che vive in Thailandia.
Pochi credono che la pace sia vicina nonostante gli infiniti colloqui di pace.
La Thailandia non è convinta che il loro partner del negoziato, definitasi MARA Patani, possa controllare i militanti sul terreno.
Nel frattempo l’insorgenza armata, dominata dai ritrosi del BRN, nn crede che la giunta vorrà offrire qualcosa per cui valga la pena deporre le armi. Devono ancora sostenere gli attuali colloqui.
I ribelli vogliono una seria discussione sulla devoluzione dei poteri come un passo verso l’indipendenza, l’amnistia per i loro membri ed il coinvolgimento di osservatori internazionali per dare forma ad un processo di pace rinnovato.
Finché non sono tirati dentro il conflitto è destinato a durare.
“Non vedo una via di uscita dalla violenza finché una delle parti non fa un salto di fede che sia velocemente reciprocata dall’altra parte” aggiunge Don Pathan.
Aldan Jones, AP