Il presidente Donald Trump è il primo presidente di nuova nomina più controverso e deriso.
Ci sono state insinuazioni precedentemente alla inaugurazione e complotti tra i critici e detrattori per farlo mettere sotto accusa o almeno occupare la casa bianca per un turno solo.
Senza alcuna esperienza nel servizio pubblico, il magnate delle proprietà fondiarie si è catapultato nella vita politica americana, ed il sistema elettorale del suo paese lo ha fatto vincitore nelle elezioni di novembre, anche se ha perso il voto popolare per oltre 2.8 milioni di voti su 128 milioni.
Malgrado i commenti negativi dei suoi oppositori, alimentati dai media sociali molto viscerali, Trump è ora presidente degli USA. Comunque sia dovremmo prenderlo sul serio.
Gli americani che si oppongono a lui erodono il tessuto del governo democratico e minano il ruolo del paese come faro della democrazia e della libertà nel mondo più vasto.
Se non possono rispettare ed accettare il prodotto della loro democrazia, gli americani avranno tempi più cupi se si attendono il governo democratico dagli altri.
I suoi oppositori possono disprezzarlo e deplorarlo ma devono rispettare il proprio sistema politico e le proprie istituzioni che generano un presidente ogni otto anni da più di due secoli.
Di certo devono analizzare quello che il presidente Donald Trump farà, per i suoi potenziali conflitti di interessi ed abuso di potere, ma la sua opposizione deve lavorare a vincere le prossime elezioni.
Possono persino lavorare in modo bipartisan con il partito democratico e figure note del partito repubblicano per assicurarsi che Trump non abbia il sostegno per un altro mandato.
Un risvolto positivo per gli USA è che l’era Trump potrebbe essere un segnale di sveglia e riallineare i grandi partiti a convergere su un nuovo consenso su quello che sia accettabile o meno dalla democrazia americana. L’alternativa è assistere a polarizzazioni irreparabili ed intrattabili tra gli americani che ostacoleranno il ruolo del paese negli affari internazionali a scapito di tanti che ne sono influenzati.
Per il sudestasiatico, l’amministrazione del presidente Donald Trump porta cattive notizie, ma ce lo aspettavamo sin dalle strategie nobili di Obama di fulcro e bilancio verso l’Asia. Se la retorica dura di Trump verso la Cina per la presunta sua manipolazione della moneta e delle pratiche commerciali sleali, anche nel rivedere la politica di una Cina Unica, si prova debole ed inefficace come quella di Obama, allora la Cina capitalizzerà dalla mancanza di mezzi degli USA. Ma se Trump darà seguito alla sua posizione di duro, con una presenza navale accresciuta e manovre più larghe dei pattugliamenti operativi per la libertà di navigazione della amministrazione Obama, allora assisteremo ad un confronto intenso tra Washington e Pechino.
Da mezzo regionale per gestire gli interessi comuni degli stati del sudestasiatico, l’ASEAN si è diviso sulla Cina. E la Cina lo sa, quando a minato la centralità dell’ASEAN e la sua coesione a proprio piacere. Quando Obama lanciò la sua politica di fulcro per l’Asia, la Cina l’ha messa alla prova, prima prendendosi la Scarborough Shoal vicino alle Filippine e poi una serie di rocce e barriere nel Mare Cinese Meridionale. Le Filippine hanno controbattuto portando il caso nel tribunale sotto la Corte dell’Arbitrato Permanente dell’ONU e vincendo in modo quasi totale nel luglio 2016 con una sentenza che negava i diritti storici cinesi e accusando il degrado ambientale marittimo.
La Cina però ignorò la sentenza storica, mentre Obama reagì con dichiarazioni superficiali sull’adesione alla legge internazionale anche quando gli USA da parte loro non hanno mai ratificato la legge dell’UNCLOS.
Di conseguenza, il nuovo presidente filippino, Rodrigo Duterte, cambiò il gioco geopolitico del paese invitando apertamente Pechino. La manovra di Duterte infatti era il linea con l’acquietamento generale del sudestasiatico con la Cina.
La Thailandia, alleato di trattato con gli USA come le Filippine, aveva cercato il sostegno cinese dopo il golpe militare del maggio 2014, mentre Brunei, Cambogia e Laos furono cooptate nello stesso periodo.
Dopo che Duterte colse l’occasione piegandosi a Pechino, ricevendo come contropartita prestito miliardario e aiuti e l’accesso ai pescatori alla Scarborogh Shoal, il primo ministro malese Najib Razak a sua volta ritornò da Pechino con una somma simile per le infrastrutture e promesse di investimento. Da soli, nessuno stato della regione può confrontarsi con Pechino. Il solo modo di giustificare la scommessa di Duterte e le concessioni dei paesi del sudestasiatico è che la Cina risponda positivamente accettando un Codice di Condotta credibile e comprensivo sul mare cinese meridionale.
E’ qui dove dobbiamo osservare Trump e il suo gruppo politico dell’Asia. Se vogliono giocare duro contro la Cina, la regione ne soffrirà da arena per una rivalità e confronto tra grandi potenze. Ma mentre questo è uno scenario allarmante, dà più forza agli stati dell’ASEAN più di quanto se Washington dovesse fare discorsi duri ma vuoti, che cedono essenzialmente la regione alla Cina.
Inoltre entra nella miscela l’abbraccio relativo di Trump verso il presidente russo Putin.
Trump potrebbe istigare uno spostamento tettonico tra e maggiori potenze se corteggerà Putin per un riallineamento a spese della Cina. Comunque l’ASEAN affronterà più tensioni.
La Thailandia dovrebbe essere neutrale rispetto a Trump con un atteggiamento di attesa per quello che farà. Mentre le relazioni tra USA e Thailandia erano praticamente al loro minimo, Trump ricalibrerà e renderà di nuovo prioritari i valori e gli interessi che attengono all’alleanza bilaterale. I diritti umani e la democrazia come nell’agenda di Obama non saranno abbandonati del tutto ma prenderanno peso maggiore gli interessi. Trump è, dopo tutto, un operatore di transazioni, non legato necessariamente a principi ed ideali. Un’amministrazione Trump potrebbe meglio comprendere la transizione profonda del nostro paese e quanto richiesto dal nuovo regno e dalla nuova costituzione.
Interessa ancora il percorso verso le elezioni della Thailandia ma sarà più determinato dall’interno che dall’esterno. Se Trump tirerà fuori una nuova strategia contro la Cina, il ruolo della Thailandia sarà più a favore degli interessi americani. Il presidente Donald Trump si proverà probabilmente meno catastrofico ed apocalittico di quanto molti credono in considerazione delle istituzioni e del sistema politico americano.
Tuttavia Trump sarà fortemente conseguenziale poiché rappresenta più cambiamento che continuità nel ruolo americano nella vita internazionale.
Thitinan Pongsudhirak, BangkokPost