Di fronte ci sono centinaia di sostenitori di Purnama, appartenenti a tanti gruppi religiosi ed etnici che costituiscono la nazione musulmana più popolosa al mondo. Alcuni cristiani evangelici ondeggiano le loro mani come in un estasi, mentre alcuni musulmani rispondono con un Amen alla fine di ogni invocazione. Buddisti, induisti ed altri osservatori guardano in silenzio rispettoso quell’evento della campagna elettorale di gennaio, nel quartier generale per la rielezione di Purnama a Governatore di Giacarta.
Purnama, un cristiano devoto, avrà tanto bisogno delle preghiere se vuole mantenere la sua nascente carriera politica e la sua libertà.
Il politico dal modo di parlare diretto, membro della minoranza cinese indonesiana, è sotto processo per blasfemia e rischia fino a cinque anni di carcere se lo condannano come accade a gran parte delle persone accusate.
E’ stato accusato di aver insultato l’Islam in un discorso di settembre, quando disse che molti elettori sono ingannati da chi cita un verso famoso del Corano per non farli votare per un non musulmano.
C’è comunque in ballo qualcosa di più del destino di un uomo. Questa battaglia legale rientra nella battaglia su chi sarà il prossimo governatore di Giacarta, un ruolo politico di notevole rilievo.
Purnama, che è il politico di etnia cinese di maggior profilo sin dalla caduta di Suharto nel 1998, era favorito per la sua rielezione il prossimo 15 febbraio. Alcuni sostenitori pensavano che avrebbe potuto un giorno diventare anche presidente, come ha fatto il suo amico Joko Widodo che da governatore di Giacarta fu eletto alla presidenza della repubblica. Ma i suoi commenti hanno acceso una risposta che ha scosso il potere, diviso la nazione e riacceso i gruppi musulmani estremisti diventati marginali.
Centinaia di migliaia i cittadini musulmani presero le strade di Giacarta con due proteste alla fine dello scorso anno chiedendo l’incriminazione e condanna di Purnama, il cui nomignolo è Ahok.
“Il caso Ahok ha dato quella scintilla che gli estremisti cercavano” dice Alissa Wahid, figlia del già presidente indonesiano Abdurrahman Wahid, che si batte per il multiculturalismo e che si batté moltissimo per l’abolizione del reato di Blasfemia che risale al 1965.
Secondo un ex ministro dell’istruzione e candidato a governatore di Giacarta, Anies Baswedan, la radice dello scontento è la diseguaglianza sociale più che la religione. La crescita della maggiore economia della regione è lenta, la creazione di lavoro è debole e la corruzione endemica. “Chi lo sostiene parla di una minoranza ma in quale contesto? Etnica o di controllo di capitali?”
I cinesi indonesiani sono 3 milioni su una popolazione totale di 250 milioni. Molti gestiscono piccole imprese e non sono molto ricchi. Ma in altre nazioni della regione, la grande maggioranza dei miliardari sono di origine cinese e dominano le industrie dal tabacco all’olio di palma alle produzioni alimentari.
Sentimenti anticinesi sono scoppiati periodicamente dalla proclamazione dell’indipendenza alimentati spesso da politici opportunisti e islamisti radicali.
Ora investitori stranieri ed indonesiani guardano con ansia e paura il possibile ripetersi della storia.
“Da cinese indonesiano che vive a Giacarta, mi sento meno sicuro che in un qualunque momento dal 1998, quando disordini anticinesi violenti furono accesi dalla crisi finanziaria asiatica” dice Harry Au di Bahana Securities. “Se non la si gestisce come si deve Widodo potrebbe perdere il controllo politico di Giacarta che è importante”
Purnama è un protetto di Widodo e gli oppositori al presidente, come l’ex presidente Susilo Bambang Yudhoyono e Prawobo Subianto concorrente di Widodo, vedono questo momento come una possibilità di indebolire Widodo cacciando il suo amico da Giacarta.
Hanno alimentato le fiamme delle tensioni etniche e religiose in un paese dove 87% della popolazione è musulmana, ma dove è garantita dalla costituzione la libertà di culto a tutte le grandi religioni.
La reputazione del paese di paese tollerante si trova già sotto pressione per la crescita in attacchi sui gruppi minoritari e la maggiore promulgazione di leggi locali islamiche, come il divieto di consumo di alcol o il coprire il capo delle donne, da parte di governi locali. Ora il FPI, fronte dei difensori islamici, ha colto questo caso per salire sul palcoscenico nazionale.
Savic Ali, musulmano che si batte per il pluralismo, dice che i radicali islamici capitalizzano su “il crescente conservatorismo nell’Islam Indonesiano, mentre la gente guarda all’identità religiosa a causa dei problemi economici”.
“Non diventeremo come la Siria o l’Egitto ma ci saranno più tensioni” dice Alì che lavora sul sito di
Nahdlatul Ulama, organizzazione di mass islamica indonesiana, che ha 33 milioni di membri.
Purnama è cresciuto a Belitung, un’isola ricca di stagno. Vinse le elezioni da rappresentante locale prima di diventare parlamentare nel 2009 e diventare vice governatore di Giacarta insieme a Joko Widodo governatore.
Quando Joko Widodo diventò presidente nel 2014, Purnama gli subentrò come governatore promettendo di continuare gli sforzi per migliorare la vita nella megalopoli fatiscente di oltre dieci milioni di persone.
Mentre Widodo aveva un approccio delicato nel trattare con burocrati incompetenti e cittadini in protesta, Ahok si fregiava di un’immagine senza compromessi. Una volta disse con fare acerbo: “Il problema della pianificazione delle città è che decidiamo prima di defecare e poi di costruire un bagno”.
Gli oppositori lo hanno attaccato per i modi senza scrupoli con cui ha cacciato gli abitanti delle baraccopoli e per i suoi legami con alcuni miliardari cinesi, che si erano assicurati la sua approvazione per progetti di reclamo del suolo nella Baia di Giacarta. Ma fu la sua affermazione sul Corano, che anche gli amici gli contestano, a far scattare la sua possibile caduta e a far risorgere le tensioni religiose.
Mentre ha chiesto scusa per il dolore causato, Purnama non si inchina e dice che le sue parole sono state estrapolate dal contesto per distruggere la sua carriera politica.
“Quel verso gli è stata buttato contro ogni volta che si è presentato alle elezioni” dice Bambang Waluyo Wahab, che lavora alla campagna elettorale di Purnama e musulmano che lo conosce da 30 anni. “Sarebbe stato meglio se fosse restato in silenzio, ma sentiva dall’ex presidente Wahid che il verso del Corano sul non allearsi con non-musulmani era importante in tempi di guerra, e qui non c’è guerra”. Nel provare a difendersi dai suoi critici, Purnama ha dato loro l’arma più affilata per attaccarlo.
“La Bibbia, il Corano sono come un coltello che puoi usare per cucinare o per uccidere” dice Wahab.
Mentre molti musulmani si sono sentiti offesi dal commento, conservatori ed estremisti hanno agitato ancor di più la situazione facendo circolare un video ritoccato.
“Lotterò per la mia religione” dice Mursidi, uno dei manifestanti presenti al processo di Purnama che si tiene ogni martedì da sette settimane. “Indonesia è Indonesia e la Cina è la Cina, quindi non deve entrare in questioni che riguardano l’Indonesia”.
Muhammad Rizieq Shihab, capo spirituale di FPI, già arrestato per aver incitato allaviolenza, ha aiutato a guidare le proteste di novembre a Giacarta. La prima manifestazione era stata pacifica sebbene un centinaio di estremisti avesse fatto disordini in un distretto con molti negozi di residenti cinesi indonesiani. La seconda manifestazione, dopo l’accusa di blasfeia, attirò anche un numero maggiore di manifestanti.
Temendo una ripetizione delle violenze Widodo cercò di allentare le tensioni ascoltando il discorso di Shiaha e pregando insieme a lui. Mentre questo ha avuto successo nel breve periodo, gli analisti temono che Widodo abbia accresciuto senza volerlo la reputazione del FPI.
Fadli Zon, vice presidente del parlamento indonesiano, dice che le due manifestazioni hanno segnalato uno spostamento in Indonesia.
“Ahok ha fatto scattare la scintilla per la reinvenzione dell’identità politica dell’Islam. Se non riusciamo a controllarla, sarà pericoloso”.
Fadli Zon ammette che il suo partito Movimento Gerindra e il suo patrono Subianto hanno tutto da guadagnare dai problemi del governatore. Gerindra sostiene a Giacarta Baswedan e prende inconsiderazione l’idea di presentare di nuovo Subianto alle prossime presidenziali del 2019. “Non è questa la politica?” dice ridendo.
Gli alleati di Purnama dicono che i rivali politici, più trarre solo dei benefici dalle tensioni religiose, le hanno accese, e puntano il dito particolarmente a Yudhoyono che accusano di non aver contrastato la nascente intolleranza verso le minoranze quando fu presidente dal 2004 al 2014.
Agli inizi di novembre Yudhoyono metteva in guardia che la nazione “sarebbe bruciata nell’odio di chi cerca giustizia” se Purnama non fosse stato accusato. Ha formato una coalizione tra il suo Partito Democratico e vari partiti islamici per sostenere la corsa al governatorato del figlio, Agus.
Le quotazioni di Purnama sono sprofondate mentre quello dei suoi rivali sono salite e Agus, militare in congedo, è l’attuale favorito.
“Agus è un signor nessuno senza esperienza politica o di partito con una bassa popolarità quando decise di scendere in campo” dice Evan Laksmana, ricercatore del CSIS di Giacarta. “Ora è balzato nei sondaggi senza dire nulla, grazie al padre che gli porta voti islamici”.
Il giovane Agus Yudhoyono continua a dire che Purnama è l’artefice delle sue sfortune. “La gente mi accusa, insieme a mio padre e al mio gruppo, di fare pressioni sulle persone per strada ma è ridicolo” dice “Non lo abbiamo mai fatto. Lo si usa controdi me. Siamo una democrazia e si devono risolvere le questioni con la legge”
I moderati sperano che quando le elezioni di Giacarta saranno terminate, la tensione scemerà. Ma sono appena due anni prima delle elezioni presidenziali.
“Potrebbe andare avanti per anni” dice un uomo di affari importante di origini cinesi. “I radicali potrebbero rafforzarsi sempre di più, oppure Widodo decide di assumersi questo problema. L’Indonesia rischia di finire in un pantano come spesso accade. La comunità di affari cinese è preoccupata ma non stiamo ancora facendo le valige”.
Ben Bland, FT.com