La Birmania non è il solo paese del sudestasiatico ad essere sconvolto da lunghissime e violente insorgenze di origine etnica. Da decenni, i gruppi Malay che vivono nelle province a maggioranza musulmana della Thailandia più meridionale di Yala, Pattani e Narathiwat lottano contro il governo centrale in favore della autonomia locale o per l’indipendenza da Bangkok.
Quando Thaksin Shinawatra divenne primo ministro nel 2001 e rigettò la ribellione definendola una forma di “banditismo” adottando un approccio duro verso il problema, la ribellione che ribolliva nelle giungle divenne una guerra di guerriglia urbana che, da allora, ha reclamato la vita di 6500 persone e causato oltre 12 mila feriti.
Il foto-giornalista britannico Richard Humphries, che parla il malese, visitò per la prima volta la zona del conflitto nel 2005, ritornando da allora varie volte nel profondo meridione thailandese. Kingdom’s Edge è il risultato di questi viaggi. Esso contiene 79 fotografie a colori di Richard Humphries e dieci pagine di testo scritto da Gerard Mc Dermott, ricercatore e scrittore irlandese.
L’introduzione di Gerard McDermott sottolinea la storia di queste tre province e di parti della provincia orientale di Songkla, che costituiscono grossolanamente il territorio dell’antico Sultanato di Patani, e dà anche la personale impressione dello scrittore su un’area che è sia musulmana che buddista, Malay e Thailandese.
Come scrive Humphries in una sua breve prefazione, è “una regione di scambi e commercio, di giovani e wifi libero, di mercati e di sale da tè. Un luogo dove ragazze vestite in tudung girano in quattro su una moto, dove due volte al giorno la gente si blocca come congelata nel punto dove si trova al suono dell’inno nazionale thai, e dove l’invito alla preghiera riempie l’aria cinque volte al giorno”.
I militanti dell’insorgenza hanno attaccato i tempi buddisti, scuole ed altri posti che percepiscono essere i simboli del governo Thailandese. Le decapitazioni di insegnanti e monaci buddisti hanno inorridito la gente del nord, e l’approccio da mano dura dei militari thailandesi ha creato tanta rabbia tra i tanti giovani del posto alimentando le file dell’insorgenza.
Potrebbero essere musulmani, e rappresentano quindi una minoranza nella Thailandia a prevalenza buddista, ma la questione dell’identità nazionale è persino più forte. Secondo loro, lottano per proteggere la propria cultura e lingua malay, di cui l’Islam però è solo una parte. In modo significativo non esiste insorgenza a Satun, la quarta provincia a maggioranza musulmana del meridione, dove i musulmani usano il thai e non il malay come lingua madre.
Le foto eccellenti di Humphries e le loro didascalie danno un sapore all’area e al conflitto che non si ritrova in ogni altro lavoro sullo stesso oggetto. Ci sono foto di bambini che giocano con un pattino improvvisato, ragazze nei loro copricapo alla moschea centrale di Pattani, monaci buddisti nella loro questua mattutina, pescatori che portano a terra la loro presa.
Naturalmente ci sono foto di soldati con le armi e di treni che sono stati fatti deragliare, di veicoli fatti saltare in aria dall’insorgenza. Allo stesso tempo ragazzi giocano nel fiume Kolok e le ragazze fanno il salto alla fune dopo le preghiere della sera. Si possono ritrovare i sordidi bar con le lavoratrici del sesso nella città di confine di Sungai Kolok, destinazione popolare per i malesi che passano il confine in Thailandia per fare compere, per turismo e per attività più sgradevoli.
Ad essere particolarmente sensazionali sono le foto dei musulmani che pregano in una moschea, dei boy-scout che marciano mentre uno di loro in cima al gruppo porta un immenso ritratto di Re Bhumibol, e dei commercianti che vendono la loro mercanzia ai mercati locali. Da non dimenticare, il profondo meridione ha anche una significativa popolazione etnica cinese che celebra il proprio Capodanno con danze e fuochi d’artificio. Ci fanno ricordare che la gente conduce una vita normale persino in una zona di guerra. Humphries ha documentato fotograficamente tutto questo con perizia e sensibilità.
Nella sua introduzione McDermott scrive: “Come la maggior parte dei conflitti protratti, il meridione stesso è vittima di una rappresentazione errata e di semplificazioni enormi, mentre molto della copertura mediatica si riduce a stanchi cliché. Le produzioni dei media thai, indipendenti compreso, riducono spesso la gente del posto a delle caricature ad una dimensione: quelli fedeli allo stato e quelli che provano a distruggere il regno”.
E qui troviamo le grandi somiglianze con la Birmania dove persino il governo non riesce a comprendere che c’è una ragione per cui la gente prende le armi e combattere per ciò che ritiene giusto. E senza la comprensione i conflitti etnici sono destinati a continuare, nelle aree di frontiera del meridione thailandese come in quelle birmane.
Bertil Lintner, TheIrrawaddy