Dopo tanti anni dalla fine del regime del Khmer Rossi, per la comunità LGBT in Cambogia è difficile ancora trovare un posto.
Sou Sotheavy siede da appena una mezz’ora che si accende la terza sigaretta, del tutto incurante dei suoi recenti problemi al cuore.
“Nel 1978 mi costrinsero a sposare una donna” ricorda la ultrasettantenne Sotheavy tra gli sbuffi di fumo della sigaretta, mentre parla seduta in un caffè a Phnom Penh. Il matrimonio fu uno scontro biologico e psicologico: è una donna transgender, ed è una sopravvissuta.
E’ nata nella provincia cambogiana di Takeo e aveva 34 anni nel 1975 quando giunsero al potere i Khmer Rossi che rinominarono il paese Kampuchea Democratica. L’ideologia dei nuovi signori fu una interpretazione estrema del comunismo maoista. Sotto il comando di Pol Pot l’obiettivo era di creare una nuova società dalle ceneri del vecchio.
Nei tre anni ed otto mesi del governo dei Khmer Rosi perirono un numero incerto tra 1,2 e 2.8 milioni di persone secondo varie stime ufficiali.
La dottrina del regime, in uno stato ormai orwelliano, era piena di paradossi morali. Mentre Angkar, il corpo senza volto dei Khmer Rossi, uccideva i suoi figli, alcuni contadini erano costretti a sposarsi e procreare. Una delle vittime fu Sotheavy.
“Durante il governo dei Khmer Rossi, nascosi la mia identità perché sapevo che avrebbero fatto discriminazioni contro di me” dice Sotheavy che ha una vistosa andata zoppicante. La sua gamba destra ricorda gli eccessi dei Khmer Rossi, quando fui torturata, picchiata e un giorno stuprata da dieci soldati. Perse anche i genitori e 14fratelli, tutti morti sotto il regime brutale di quegli anni.
Non fu il solo caso. Secondo Kasumi Nakagawa, professore giapponese di studi di genere all’università di PhnomPenh, sotto il regime dei Khmer Rossi “la gente che apparteneva a minoranze sessuali come lesbiche, gay, bisessuali e transgender erano costrette a sopportare specifiche forme di violenze di genere e sessuali che non erano vissute dalla maggioranza dei khmer. In aggiunta l’intersezione di discriminazione ed esecuzione della violenza erano colpite dallo status sociale o la religione”.
Nella sua ricerca “Violenza di genere contro le minoranze sessuali nel regime dei Khmer Rossi”, Nagakawa scrisse: “Per le minoranze sessuali in Cambogia, ammettere la violenza legata al genere contro di loro nel conflitto passato è anche un processo difficile. Si sa che incontrano discriminazione e vivono con vulnerabilità accresciute e rischio di violenze a causa della loro sessualità.”
Il rigetto delle famiglie
Southeavy ha molte ferite a causa del suo vissuto. Ha sofferto violenza fisica quando fu cacciata dalla casa di famiglia dai genitori quando era molto giovane.
Sos Arifin, donna transgender di 30 anni, condivide simili esperienze personali nonostante sia nata dopo la caduta dei Khmer Rossi, riflesso del pregiudizio radicato verso la comunità LGBT in Cambogia.
Quando aveva 17 anni, il padre, capo di una comunità musulmana, le ordinò di andarsene di casa dove non sarebbe più tornata fino alla morte del padre.
“La mia mente è quella di una donna ma il mio corpo di un maschio. Per questa ragione ho sofferto la discriminazione” dice Arifin le cui lenti a contatto azzurre non riescono a nascondere il dolore nei suoi occhi.
Arifin appartiene alla comunità etnica dei Cham, il nucleo della popolazione musulmana in Cambogia. I Cham furono particolarmente presi di mira dai Khmer Rossi e si stima che metà della loro popolazione, 200 mila circa, perì a causa degli eccidi.
Noy Sitha, uomo transgender di 64 anni, incontrò la sua compagna durante il periodo di sollevazione. Sono rimasti insieme da 40 anni, ed erano tutti profughi.
“Tutte le famiglie avevano appena quattro cucchiai di riso al giorno” ricorda Sitha della sua vita durante il periodo dei Khmer Rossi. La sua casa modesta è decorata delle foto dei momenti migliori e felici della sua vita. Lui non ha fatto l’operazione di riassegnazione del sesso ma il passaporto indica che è uomo.
A fianco a Sitha Pheng Sahn uomo transgender di 65 anni, giocherella con il suo Krama, un fazzoletto a quadri tradizionale. Sahn che fa i fazzoletti ha sostituito i colori rossi usati dai Khmer Rossi per una tavolozza a arcobaleno.
Sahn sottolinea che quando era un bambino le donne volevano stare a casa. La sua propria rivoluzione sessuale fu di usare pantaloni quando era obbligatorio per le donne indossare la gonna. “Immaginavo di avere una compagna e che ero il suo fidanzato. Indossavo i pantaloni di mio padre.” dice.
Mentre gli uomini parlano, nella stanza di fianco qualche donna cucina e lava i piatti. Sebbene qualche genere si sia scambiato, il sistema patriarcale cambogiano rafforza ancora le norme sociali.
Tempo di cambiare
Nel dicembre 2012, in un gesto raro di liberalità sociale, Il primo ministro cambogiano Hun Sen, al potere da oltr 30 anni, ha invitato i cittadini a porre fine contro la discriminazione con la comunità LGBT in Cambogia. Eppure secondo Malen Long, giovane transgender, ci sono tre principali dimensioni della lotta per l’accettazione da parte della comunità LGBT in Cambogia: famiglia, lavoro e salute.
Nella ricerca e scoperta della loro sessualità molti giovani nel paese sono ancora cacciati dalle loro famiglie. Malen Long spera che questo possa cambiare: “La famiglia è come la pelle, deve proteggerci”.
Van Chady lamenta la mancanza di opportunità di lavoro. E’ un uomo transgender e lavora vendendo soia e bottiglie di gas per strada. La sua voce sottile è quasi coperta dal rumore che viene da un’officina di motociclette. Quando va in cerca di lavoro, i datori di lavoro assumono sempre uomini e donne, mai i transgender.
Nel 2004 Re Norodom Sihanuk chiese il rispetto per tutti nella società. Da democrazia liberale, la Cambogia dovrebbe permettere “il matrimonio tra uomo e uomo o tra una donna ed una donna” disse il re.
La realtà cambogiana ora si scosta moltissimo dalle speranze di Re Sihanuk. Malen Long dice non c’è stata un’applicazione dei suggerimenti del re. Attualmente le coppie dello stesso sesso non godono degli stessi diritti delle coppie eterosessuali.
Chhom Vy Solony ha ovviamente peli sul volto sebbene questo non ostacoli la sua civetteria mentre inizia la sua recita su una strada di Phnom Penh. Si è radunata in pochi minuti una folla per ascoltarla mentre dà inizio ad una serie di barzellette a sfondo sessuale.
Solony afferma che i transessuali come lei che hanno i segni fisici di entrambi i sessi sopportano la maggiore discriminazione. Gran parte dei transgender non vanno dal dottore perché si sentono a disagio o imbarazzati. Spesso sono categorizzati come lavoratori del sesso o criminali.
Questa giovane attrice si definisce come donna sebbene non abbia avuto l’operazione di ridefinizione, un passo troppo grande per i suoi poveri mezzi. L’essersi definita in modo distinto come Solony che considera più femminile l’aiuta a definirsi il nuovo suo essere. Un’azione per definire la sua sessualità in modo più coraggioso rispetto alle generazioni passate.
Sotheavy, in modo assente, finisce un’altra sigaretta e ricorda ancora il suo passato burrascoso. “Allora la gente mi discriminava tantissimo. Neanche mi parlavano” dice. Ora Sotheavy gestisce una piccola ONG che offre avviso e sostegno per la gente LGBT che sogna di uguaglianza nella società cambogiana.
Chady, Solony e Arifin non sono nati nel periodo turbolento che Sotheavy e tanti altri vissero, ma 30 anni dopo i massacri dei Khmer Rossi, continua la ricerca del loro genere perso e del riconoscimento sessuale.
Edoardo Molano, Asia Nikkei Review