Il 23 maggio il presidente Duterte dichiarò la legge marziale a Mindanao dopo lo sfrontato assedio da parte del gruppo Maute alla popolosa città di Marawi che ha costretto all’evacuazione la grande maggioranza della popolazione.
Continua ancora il conflitto e con esso la grave crisi umanitaria.
La dichiarazione della legge marziale ha provocato timori da parte di molti militanti, gruppi della società civile e parlamentari di opposizione che hanno documentato un netto calo del governo della legge dall’arrivo di Duterte, di cui il caso maggiore sono gli oltre 8000 omicidi extragiudiziali per droga. La situazione della sicurezza si è andata modificando nel meridione filippino sin dal 2015 ed è accelerata però sotto Duterte.
Ci sono cinque domande tra loro connesse che nascono da Marawi.
La prima concerne chi è dietro gli attacchi e che minaccia pone. La seconda è sul ruolo dei combattenti stranieri. La terza è se le forze filippine sono all’altezza del compito. La quarta domanda è se la legge marziale possa essere la panacea, come dice talvolta Duterte, e se porterà ad un miglioramento della situazione della sicurezza nelle Filippine.
La quinta domanda è se Duterte abbia una strategia per affrontare la miriade di minacce interconnesse a Mindanao.
La minaccia
L’emergere dell’ISIS ha rivitalizzato le reti terroristiche nella regione. Isnilon Hapilon di Abu Sayaff fu il primo a promettere fedeltà allo stato islamico, seguito da tanti gruppi e cellule in Indonesia, come il Mujahideen Indonesia Timur (MIT). Il periodo tra il 2014 e 2015 ha visto il proliferare di gruppi dalla bandiera nera come Ansharaut al-Khalifa-Philippines (AKP) e il Gruppo Maute. Si deve arrivare a gennaio 2016 perché l’ISIS riconoscesse un gruppo della regione, forse per la preoccupazione o la speranza che il gruppo dal Sudestasiatico emergesse primo.
Alla fine l’ISIS ha riconosciuto Isnilon Hapilon come capo invitando gli altri gruppi a formare i “battaglioni”. Di recente Hapilon è fuggito dalla sua base a Basilan unendosi al gruppo Maute che nel frattempo è cresciuto stabilmente. Hapilon è in qualche modo costretto dall’essere legato ad Abu Sayaff, che è stato coinvolto in rapimenti estorsivi considerati non islamici.
I militanti delle Filippine e della regione hanno visto in AKP e Maute dei jihadisti genuini. Hanno lanciato vari attacchi alle prigioni, considerati dai media dell’ISIS, e a settembre hanno messo la bomba a Davao, città di Duterte, uccidendo 14 persone e ferendone 70. Il 28 novembre furono implicati in un tentato attacco all’ambasciata americana a Manila. A febbraio 2016 il gruppo Maute emulò l’ISIS tagliando la testa a due prigionieri vestiti di arancione.
Ma hanno anche una storia di attacchi contro le città come quello a Lanao del Sur che creò 30 mila profughi. Il 30 novembre 2016 il gruppo Maute attaccò Butig con un assedio di cinque giorni prima di essere scacciati.
Nell’attacco attuale a Marawi, sono riusciti ad ammassare centinaia di militanti secondo i militari filippini. I media centrali dell’ISIS hanno riconosciuto l’attacco.
Nella letteratura del terrorismo c’è un concetto definito come “gara all’offerta più alta” dove piccole cellule e gruppi in competizione sul reclutamento, sull’attenzione e per le risorse iniziano una serie di attacchi crescenti. I piccoli gruppi riceveranno l’attenzione dei grandi come l’ISIS per il fatto di causare perdite di massa di vite umane, e allo stesso tempo convinceranno i sostenitori che vedono questi attacchi non come barbarie ma come rafforzamento e forza.
Proprio ora il gruppo Maute cresce perché si sono dimostrati il gruppo più letale nella regione, capace di sfidare lo stato filippino. Ci sono prove che rafforzano le loro fila usando anche soldati bambino.
Il ruolo dei combattenti stranieri
L’avvocatura generale Filippina Jose Calida disse che l’inquietudine a Mindanao si è “trasformata in un’invasione di terroristi stranieri che hanno seguito il canto del flauto dello stato islamico ad andare nelle Filippine se dovessero trovare difficoltà per andare in Siria ed Iraq.” E’ su questa “invasione” che Duterte in parte giustifica costituzionalmente della legge marziale.
Certo che sono combattenti stranieri ma non è un’invasione.
Già il primo giugno i militari affermano di aver ucciso otto combattenti stranieri, tra i quali due malesi, due indonesiani, due sauditi, uno yemenita ed un Ceceno, affermando che ce ne sono molti altri. Di recente un marocchino fu ucciso tra gli uomini di Hapilon a Basilan, e due del Bangladesh furono arrestati in Malesia mentre andavano nelle Filippine. Il corridoio è aperto.
Le vaste aree senza governo delle Filippine Meridionali hanno da tempo attratto combattenti stranieri, Al Qaeda per primo con il suo affiliato regionale Jemaah Islamiyah ed ora gli affiliati dell’ISIS. Diversamente da altri gruppi legati all’ISIS in Malesia o Indonesia, Maute, GAF, AKP ed altri gruppi Moro controllano un territorio.
Questo non solo è uno spazio per addestrarsi e raggrupparsi di nuovo, questo è un proto-stato. Non si può diventare un wiliyat, una provincia dello stato islamico se non controlli fisicamente un territorio. Quindi per i militanti dell’ISIS Mindanao continuerà ad essere un’attrattiva.
E quello che è chiaro è che le Filippine meridionali sono ancora una volta una minaccia alla sicurezza regionale.
A causa di un incremento di rapimenti in mare da parte di Abu Sayaff, 19 dal marzo 2016, si è avuta la cattura di 70 marinai e pescatori di sei paesi, con la morte di altri cinque. Indonesia, Malesia e Filippine firmarono un accordo tripartito di pattugliamento in mare nell’agosto 2016. Per varie ragioni, tra le quali la debolezza in mare dell’Indonesia e delle Filippine, le dispute territoriali ed un senso continuo di sfiducia, l’accordo non è stato ancora applicato. Eppure aiuterebbe a controllare il flusso dei militanti da e verso le Filippine meridionali.
Militari filippini, AFP Dopo settimane di scontri i militari filippini non riescono a cacciare il Gruppo Maute da Malawi, una città relativamente piccola. Sebbene affermino che il gruppo Maute abbia portato 500 militanti, non ci sono molte prove sul campo sostenerlo. A dire il vero le forze armate filippine non hanno esperienza di guerriglia urbana, e lo scontro strada per strada è molto duro. Ma ci sono ragioni per essere critici dei militari filippini.
Prima cosa, l’intero scontro cominciò con un’incursione fallita, e c’è la prova evidente che il gruppo Maute fece un’imboscata efficace contro di loro.
Seconda cosa, l’AFP non può affermare di essere stata presa di sorpresa, perché il gruppo Maute ha preso due città nel 2016. Fa parte del loro pedigri.
Terza cosa, hanno usato artiglieria e bombe a gravità, “stupide”, in un ambiente urbano con civili. Infatti un attacco del primo giugno ha ucciso 10 militari filippini in uno scontro di fuoco amico; altri sette sono feriti. Questi sono una conseguenza della guerra, ma è chiaro una mancanza di addestramento. Un ex comandante americano della Task Force delle operazioni speciali Dave Maxwel ha detto nel suo blog: “L’addestramento deve essere continuo e se non lo si sostiene si hanno questi incidenti”. L’AFP ha fatto mostra di aver impiegato alcuni dei loro aerei F50 a Malawi, ma la mancanza di risorse per l’addestramento assicura che ci saranno più civili e soldati ad essere colpiti.
Quarta cosa, l’AFP ha ricevuto vasto addestramento ed una media di 50 milioni di dollari in assistenza dagli USA dal 2002 in antiterrorismo. L’Australia insieme ad altri hanno fornito assistenza e addestramento. Sebbene gli USA abbiano sciolto la task force delle operazioni speciali congiunte, resta uno scheletro a dare intelligence. Duterte aveva chiesto la loro rimozione rimangiandosi però quella richiesta a causa della pressione dei militari.
La responsabilità per la cattiva operatività dei militari ricade su Duterte che ha fatto della sua guerra alla droga la priorità piuttosto che la sicurezza nazionale, nonostante ampie prove di una situazione in rapido deterioramento. Ha detto che darà loro un ruolo di polizia per sostenere la polizia nella loro brutale campagna di omicidi extragiudiziali. Questo allontana risorse dalla missione nazionale.
Limiti della legge marziale
L’avvocatura generale Filippina Jose Calida disse che “considerati i chiari e presenti pericoli e le atrocità a Mindanao, Marawi in particolare, è dovere costituzionale del Presidente sfoderare la spada repubblicana della legge marziale per reprimere la ribellione che minaccia di dividere il paese”.
Ma la legge marziale è una panacea e porterà a migliorare la situazione della sicurezza nelle Filippine?
No, ed infatti le stesse AFP non l’hanno chiesta e hanno fatto molto per prendere le distanze. Coscienti della loro reputazione macchiata dai tempi di Marcos, AFP ha promesso di rispettare il governo della legge ed i diritti umani.
AFP è anche molto conscia delle proprie limitate capacità. Dagli inizi anni 70, hanno dimostrato di non poter reprimere una forza Moro, con o senza legge marziale. Sono consci che la sospensione dell’Habeas Corpus non dà loro sostanzialmente nuovi poteri ed è prona agli abusi. Il pacifista Benny Bacani ha messo in guardia che, nel contesto passato delle violazioni di diritti umani, sarà controproducente a Mindanao nonostante il largo sostegno nazionale.
E con le dichiarazioni di Duterte di un decreto senza fine di legge marziale esteso anche alle Visaya e forse a livello nazionale, potrebbe essere un enorme passo in dietro per le Filippine dopo 30 anni che è stata abbattuta la dittatura di Marcos. Che il Congresso abbia abdicato alle proprie responsabilità di controllo ha solo rafforzato Duterte che ha detto di voler imporre la legge marziale per due anni ed ha glorificato la famiglia Marcos.
Non esiste soluzione militare a questo problema, e di certo non entro i 60 giorni della legge marziale. Alla fine l’insorgenza è questione di governo. La legge marziale porta solo ad un forte declino nel governo della legge e del governo che ha già avuto luogo sotto Duterte.
Può essere controproducente in un altro modo. Sebbene Duterte abbia chiesto molte volte alla Russia e alla Cina di dare armi alle Filippine, è fortemente improbabile che potranno o vorranno soppiantare gli USA. Già un senatore americano ha messo un divieto di vendita di armi piccole alla Polizia Filippina per il loro coinvolgimento nella guerra alla droga facendo infuriare Duterte. Con la dichiarazione della legge marziale entrerà in gioco l’Emendamento Leahy a mettere in pericolo una parte critica della logistica delle AFP?
La questione di strategia
Quando ha dichiarato la legge marziale, Duterte ha insistito nel dire che in questo modo “avrebbe risolto tutti i problemi di Mindanao”. E’ una spavalderia insensata da parte sua. I problemi di Mindanao sono profondi ed interconnessi. Ci sono tanti gruppi armati con differenti obiettivi e mete.
Lui ha dichiarato la legge marziale senza una strategia, cosa controproducente e destinata a peggiorare la situazione.
Sin dall’assalto a Marawi ha ricercato il MILF che è restato legato alla pace e ha dato assistenza nel creare il corridoio umanitario dei rifugiati. Sebbene il MILF non sia coinvolto nell’assedio di Marawi, sono fondamentali per qualunque soluzione.
L’accordo storico per la pace del MILF con governi, risalente al 2014, è restato nel limbo legislativo sin dall’incursione andata a male a Mamasapano che vide la morte di 44 poliziotti. Le audizioni del congresso sull’applicazione della legge della Bangsamoro si fermarono per essere sostituite dalle audizioni sulle colpe del MILF. Il predecessore di Duterte, Benigno Aquino III, non aveva o non l’usò il proprio capitale politico per spingere la legge, particolarmente nell’anno delle elezioni che videro 4 senatori scendere in campo per la presidenza. Non fu votata neanche una legge annacquata.
Mentre le parti restavano impegnate nel dialogo di pace, cresce lo scetticismo e la rabbia.
Duterte viene da Mindanao, e sa che i Moro sono stati sistematicamente maltrattati da Manila. Ha un’empatia verso di loro, ma non ha una strategia.
Ho scritto del mio profondo scetticismo sul suo impegno di pace verso il MILF. Mentre formalmente è impegnato nel processo di pace, ci sono cinque impedimenti.
Il primo impedimento viene dal suo circolo di consiglieri e aiutanti, politici cristiani di Mindanao, che sono stati contrari al processo di pace.
Seconda cosa, non ha voluto fare del processo di pace una priorità legislativa, preferendo invece concentrare le energie sulla barba guerra alla droga e al restauro della pena di morte.
Terza cosa, ha provato anche a metterlo da parte, spingendo invece per un emendamento costituzionale per creare il federalismo.
Questo ha creato una dura risposta del MILF e Duterte ha fatto da allora marcia indietro dal tentativo di cancellare la Bangsamoro. Duterte ha anche complicato la situazione cercando il suo vecchio amico Nur Misuari, ex presidente del MNLF, di cui ha sospeso il mandato di cattura pe insurrezione, e iniziando un processo di pace parallelo.
Questa cosa non funzionerà ed è controproducente. Anche se manda una legge nel congresso, sarà una versione annacquata della legge del 2014 che non andrà giù al MILF.
I capi dei gruppi Maute e AKP provengono dalle file del MILF o dalle famiglie del MILF. I militari filippini riconoscono che il reclutamento di questi gruppi proviene dai membri insoddisfatti del MILF, frustrati con il processo di pace fermo, e arrabbiati che da loro non è giunto nulla dei frutti della pace. La non volontà di Duterte di rendere prioritaria la Legge costitutiva della Bangsamoro fa il gioco della narrativa degli estremisti, per i quali non ci si può mai fidare del governo filippino per negoziati onesti con la popolazione musulmana, lasciando così loro solo la violenza per raggiungere i propri obiettivi.
Mentre il comando del MILF sostiene pubblicamente al processo di pace, l’amara verità è che, se non vedono atti concreti verso l’implementazione del loro accordo di pace, non avranno incentivo alcuno ad agire come responsabili partecipanti e a controllare il proprio territorio.
La proliferazione dei gruppi dalle bandiere nere nel 2015 e 2016 nella regione non era tanto il risultato della diffusione dell’ISIS quanto era dovuto al collasso del processo di pace col MILF, e alla rabbia e la sfiducia verso il governo filippino che l’ha generato.
Se si guarda agli incidenti dii terrorismo, di violenza politica e crimine a Mindanao, essi sono diminuiti quando il processo di pace offriva delle speranze.
Il comando militare di Mindanao Occidentale ha immediatamente detto che il decreto della legge marziale non avrebbe colpito il processo di pace a cui loro sono fedeli. Infatti i militari mal addestrati e mal equipaggiati non possono permettersi un allargamento del conflitto.
Ma la realtà è che i gruppi come AKP operano in territori contigui o controllati dal MILF. Ancora più importante, i raid futuri del AFP sul gruppo Maute o AKP potrebbero metterli a contrasto con i militanti del MILF come accadde a Mamasapano nel gennaio 2015.
A maggio 2016 il comandante in capo del MILF a Malawi, comandante Bravo, diede un’intervista senza precedenti ad una TV francese. Riconobbe la proliferazione dei gruppi dell’ISIS nel suo territorio e espresse chiaramente il fatto che lui era fondamentale per la loro eliminazione. Le riprese furono fatte di fronte ad una bandiera del MILF e ancora nell’uniforme del MILF ed inviò un segnale molto chiaro al governo per dire che un miglioramento nella situazione della sicurezza doveva passare per una pace duratura col MILF.
Non ci sono indicazioni che Duterte stia ascoltando. E la cosa ha profonde implicazioni per la sicurezza non solo delle Filippine ma per tutto il sudestasiatico nel complesso.
Zachary Abuza, TheDiplomat