Il presidente filippino Duterte, eletto sulla base di una piattaforma di forte populismo, entra nel suo secondo anno di presidenza in una impareggiabile posizione di forza.
Mentre si trova di fronte alla sua crisi politica più forte a Mindanao, dove l’ISIS ha accelerato una campagna di terrore, è riuscito a mettere insieme tutti i partner importanti nazionali ed esteri come Cina e USA dalla parte del governo.
A Manila, la corte suprema gli ha dato un’approvazione fondamentale, questo mese, ritenendo costituzionale la sua controversa dichiarazione di legge marziale ben al di là di Marawi, l’epicentro degli scontri tra militanti e forze governative, per l’intera isola di Mindanao.
Solo uno dei 15 giudici si è opposto alla dichiarazione schierandosi con chi chiedeva di verificare la costituzionalità della decisione del presidente di assumere poteri di emergenza draconiani in nome della sicurezza nazionale.
Secondo chi ha fatto la richiesta la decisione di Duterte mancava di una consultazione appropriata con settori importanti, come i militari che applicano i poteri dell’emergenza, ed il congresso che ha il mandato di rivedere e annullare ogni dichiarazione di legge marziale.
Hanno detto che la crisi di Marawi non si può prefigurare come ribellione né un’invasione, le due ragioni che la costituzione chiede per la legge marziale, ma solo atto di terrorismo.
L’avvocatura generale Jose Calida, che ha discusso per conto del governo davanti alla corte suprema, ha affermato che la presenza di combattenti stranieri e la scala dell’attacco dei militanti nell’assedio di Marawi entrambi soddisfacevano la definizione di ribellione ed invasione.
I membri anziani della difesa, come il ministro della difesa Delfin Lorenzana e il capo delle forze armate Edoardo Ano, erano dubbiosi se non opposti inizialmente alla dichiarazione dicendo che gli attuali strumenti legali erano sufficienti ad affrontare la minaccia dell’ISIS.
I militari, in seguito, rilasciarono una serie di linee guida che assicuravano a tutti che l’applicazione della legge marziale non sarebbe andata contro i diritti costituzionali fondamentali. Era un chiaro tentativo di assicurare la gente contro le paure di un ritorno ai giorni della dittatura sotto Ferdinando Marcos.
Nel frattempo il congresso temporeggiava sul convocare una sessione congiunta per esaminare la validità della proclamazione. Gli alleati di Duterte che dominano entrambi i rami del congresso alla fine approvarono risoluzioni separate che sostenevano la dichiarazione di legge marziale.
Prima dela decisione della Corte Suprema sia l’esecutivo che il parlamento fecero pressioni sul sistema giudiziario costringendo il braccio più debole del governo ad accettare.
“La corte suprema non ha diritto di dettare al Conggresso cosa fare” avvisò il presidente del parlamento Panaleon Alvarez, alleato fondamentale di Duterte, a giugno, mentre la battaglia di Marawi diventava particolarmente sanguinosa.
Oltre a minacciare di stracciare qualunque decisione sfavorevole della Corte Suprema, Alvarez che è anche di Mindanao suggerì la possibilità di estendere la legge marziale oltre il limite dei 60 giorni fino alla fine della presidenza nel 2022.
All’inizio di luglio alcune ore prima della decisione finale, Duterte con la sua tipica sfrontatezza mise in guardia contro l’opposizione alla sua dichiarazione.
“Non dipende dal desiderio della corte suprema. Devo credere loro? Quando vedo che la situazione è ancora caotica e mi si chiede di toglierla? Vi arresterò e vi metterò in galera” disse il presidente Filippino, facendo leva sul sostegno crescente per la sua posizione dura a Mindanao.
“Possiamo parlare di tutto e fare compromessi, forse, ma non quando è in ballo l’interesse del mio paese” aggiunse.
Allo stesso tempo Duterte si gode il significativo sostegno dai vecchi e nuovi alleati internazionali. Gli USA hanno impiegato drone che catturano informazioni, un’unità di Forze Speciali per dare addestramento avanzato ed un nuovo gruppo di equipaggiamento per aiutare le operazioni antiterroristiche a Mindanao.
I due paesi hanno anche condotto pattugliamenti congiunti nel mare di Sulu, roccaforte storica degli elementi legati all’ISIS, come Abu Sayaff, noto perle sue operazioni di rapimenti estorsivi nell’area.
Le esercitazioni marittime hanno visto la nave americana Coronado al fianco della nave da guerra filippina la fregata BRP Alcaraz, già nave della guardia costiera americana.
Con la promessa di una politica estera indipendente, Duterte ha comunque accettato l’assistenza alla difesa e sviluppo da parte cinese che ha stancamente osservato la crescente presenza americana a Mindanao.
I due vicini che durante la passata amministrazione Aquino erano in forte contrasto hanno migliorato enormemente le loro relazioni bilaterali con Duterte.
Il ministro degli esteri cinese Wang Yi di recente ha detto che le relazioni diplomatiche tra i due paesi entrano in un periodo d’oro di rapido sviluppo, promettendo un sostegno antiterroristico esteso al ritrovato amico di Manila.
Con quello spirito la Cina ha fornito un pacchetto di difesa storico del valore di 16 milioni di dollari in armi e munizioni per aiutare le operazioni militari a Mindanao.
A maggio la Cina, a latere della discussione sulla Iniziativa della Via della Seta a Pechino, offrì anche un prestito da 500 milioni di dollari per l’acquisto di armamenti cinesi. Le parti discutono già le prospettive di esercitazioni militari congiunte oltre ad accordi di condivisione di intelligence con il focus sul terrorismo.
Mentre Duterte sposta la sua attenzione a ricostruire Marawi con 400 milioni di dollari promessi, Pechino aspetta di giocare un ruolo chiave nello sviluppo del dopo il conflitto.
Dopo un anno di furia e grida lo sboccato presidente filippino si è ritrovato non solo a comando chiaro delle istituzioni politiche nazionali, ma anche dalla parte di chi riceve l’assistenza generosa dei grandi poteri internazionali.
Richard Heydarian, Atimes.com