Mentre erano ancora calde le ceneri del doppio attacco con autobomba ad un grande supermercato di Pattani, le forze armate thailandesi, RTA, affermarono che la violenza nell’inquieto meridione thailandese era caduta del 33% rispetto ai sei mesi precedenti. Eppure la mortale insorgenza che dura ormai da quattordici anni non mostra di voler spegnersi.
Il 19 giugno un oggetto esplodente uccise sei soldati ferendone alti quattro; una bomba il 23 giugno ferì 12 soldati e due civili; l’assalto del 15 luglio ad un ristorante ferì sette buddisti. Questi fatti avrebbero dovuto far scattare il campanello di allarme a Bangkok.
Ma infatti la mortale nsorgenza con le oltre 7000 vite distrutte resta una priorità minore per la giunta.
La statistica della violenza
La violenza nel profondo meridione thailandese è calata dai suoi picchi del 2007 quando furono uccise 836 persone. Nel 2016 quel numero era 307, ben al di sotto dellamedia di 14 anni con 455 morti.
Ma se si guarda al tasso di perdite complessivo, che si basa sulla mia personale banca dati, il numero resta alto. Infatti dal golpe del 2014, quando si anticipava che non ci sarebbero stati controlli sulle operazioni militari o controllo civile, c’è un’apprezzabile variazione mensile. Il ritmo dell’insorgenza è guidato dalle risorse e dalla logistica, non dalle operazioni militari thailandesi.
I dati che riguardano gli oggetti esplodenti, IED, mostrano una chiara tendenza: L’insorgenza costruisce i propri arsenali, esegue gli attacchi e poi deve attraversare un processo graduale di rifornimento dei loro arsenali.
Non sono le operazioni contro la mortale insorgenza a fermare i separatisti quanto le loro limitazioni logistiche.
Dal 2009, c’è stata una media di 15.4 IED al mese. Nel 2016 il numero medio sale a 17.1. Mentre il governo si attribuisce il merito del declino complessivo della violenza, gli attacchi andati a buon fine con IED sono di fatto cresciuti dal 2009.
C’è un cambiamento: le bombe nelle aree cittadine, come quello del 9 maggio al BigC di Pattani, sono ora l’eccezione, mentre gli obiettivi degli attacchi con IED prendono di mira le forze di sicurezza nelle aree di campagna.
Mentre sono civili le perdine dovute alle bombe, non si può dire la stessa cosa degli scontri a fuoco. Gli obiettivi sono intenzionali: civili buddisti, capi villaggio che non si piegano alle richieste dell’insorgenza, volontari della difesa del villaggio, o civili musulmani che sfidano le richieste dell’insorgenza o sono considerati informatori.
Il 21 giugno militanti abbatterono un docente importante islamico che faceva da consigliere all’ISOC mentre lasciava i fedeli con la famiglia. Dal 2013 ci sono state una media di 13.3 scontri a fuoco al mese.
Le perdite tra le forze di sicurezza ammontano al 40% del totale, sebbene comprendano solo il 31% dei morti. Il 60% però sono civili ed almeno 87 bambini sono stati uccisi con 554 feriti dal 2004.
Dal 2014, il governo ha aumentato i posti di blocco per la regione rendendo più rischiose le operazioni dell’insorgenza che non può più attaccare a proprio piacimento. Ma il livello della violenza è comandato essenzialmente dall’insorgenza, spesso sotto forma di attacchi di vendetta in risposta alle azioni governative.
Ascoltando la risposta delle comunità, l’insorgenza ha calibrato il grado di violenza necessario per raggiungere gli obiettivi a breve termine di indebolire il governo, provocando risposte pesanti dalle forze di sicurezza, facendo scappare i buddisti dal meridione e minando le promesse del governo di pace e riconciliazione. Troppa violenza è controproducente.
Dal 2009 la violenza si è stabilizzata. C’è un ritmo mensile dettato spesso dal tempo atmosferico o da altri fattori. Ci sono mesi in cui la violenza è bassa, per cui i militari poi si vantano, solo per diventare compiacenti e ritrovarsi il mese successivo un altro picco.
Questo è fino a questo anno, quando la violenza è scesa nettamente. Dalla fine di giugno 2017, sono state uccise solo 50 persone e ferite 138. Quasi la metà dei feriti erano di un solo incidente. E’ una media di solo 8.3 morti mensili e 23 feriti mensili. Nel 2016 questi numeri erano 12.8 e 35.2 rispettivamente. La prima metà del 2017 ha visto solo 42 attacchi con IED, una media di 7.4 e 28 scontri a fuoco. Gli incendi e attacchi ai posti della sicurezza e incendi sono tutti giù.
Cosa spiega questa flessione della violenza? Le prove indicano due fattori: il processo di pace e il cambio di comando dentro il BRN, Fronte rivoluzionario nazionale.
Dopo la morte di Masae Using nel maggio 2016 e la morte di Sapaeing Basoe a gennaio 2017, BRN ha vissuto la sua prima transizione completa del comando dalla fondazione del gruppo. Il gennaio 2017, il BRN scelse un nuovo presidente, Abdeullah Wan Mat Noor (Doonloh Wae-Mano), ex comandante militare. Il gruppo di comando potrebbe aver delineato una nuova strategia per portare avanti il proprio programma a medio e lungo termine.
Il processo di pace
Il governo di Yingluck Shinawatra nel febbraio 2013iniziò un processo di pace col BRN facendo vari incontri. L’attuale governo militare afferma che fu il disordine politico a Bangkok alla fine del 2013 a fermare i colloqui, ma è una fandonia. Il capo dell’esercito di allora generale Prayuth Chanochoa, ora primo ministro, non aveva fatto che bloccar qualche concessione significativa ed era allarmato dal fatto che il governo voleva affrontare alcune questioni poste dal BRN.
Gli ultimi colloqui si tennero ad agosto 2013 e Yingluck aveva le mani legate dai militari.
Dopo il golpe del 2014, la giunta promise di porre fine alla violenza nel giro di un anno. Ed il declino della violenza permette ai militari il lusso di tirare fuori i colloqui senza fare concessioni importanti.
A metà 2015 il governo malese spinse i vari gruppi militanti di Pattani a mettersi insieme e questi costituirono un ombrello organizzativo, MARA Patani.
Il BRN teneva metà dei seggi e la guida, un riconoscimento al loro dominio militare. Gli altri gruppi sono il PULO, il GMIP e BIPP.
Ad ottobre 2015 il BRN abbandonò il processo di pace, capendo l’intransigenza della giunta a fare concessioni, comprese le richieste minime quali, l’amnistia, rilascio dei prigionieri o riforme della lingua, per non parlare di qualunque cosa che minacci la natura unitaria dello stato thai.
Per i militari “colloqui di pace” significa che il BRN depone le armi e smetta di combattere senza che loro debbano fare concessioni.
In una rara dichiarazione pubblica, il BRN rigettò il “piano di pace” dei militari chiedendo che ogni processo di pace includa la partecipazione di terze parti della comunità internazionali, in qualità di “testimoni ed osservatori” e che a condurre i colloqui debba essere un mediatore “imparziale”.
Il primo ministro Prayuth e il capo negoziatore Aksara Kerdphol scartarono la dichiarazione del BRN:
“Non prestiamo molta attenzione a quella dichiarazione. Ed insistiamo nel continuare i colloqui di pace e crediamo che questo sia un formato abbastanza buono. La Malesia fa solo da facilitatore dei colloqui, non è mediatore. E non c’è bisogno di un osservatore internazionale nei colloqui. Non si presta molta attenzione agli annunci di questi separatisti. La separazione è impossibile. Chi mai sarebbe d’accordo con l’idea della separazione? Nessuno nell’area di frontiera meridionale.”
Il governo thai continua a negare che l’insorgenza abbia delle motivazioni legittime. Il generale Piyawat Nakwanich della quarta regione militare affermò che “gli interessi economici erano le ragioni dell’attacco al BigC, non il separatismo. Altri comandanti militari continuano a patrocinare la linea senza fondamento che l’insorgenza sia una questione legata al traffico di droga. Il governo thai nega alla gente di Pattani la loro identità e non riescono proprio a immaginare perché i Malay di Pattani continuino a resistere alla assimilazione.
MARA Patani continua gli incontri col governo, ma ha poco da mostrare. Le parti provano a cercare un accordo sulla creazione di “zone di sicurezza” in ognuna delle tre province e sono vicine a trovare i distretti in ogni provincia. MARA cerca di rafforzare la propria posizione rispetto al governo condannando la violenza offrendo una via per portare avanti i colloqui di pace.
Il governo rifiuta di usare programmi di amnistia o di affiliazione che furono così usati in modo efficace negli anni 80 e 90. Il suo programma “Portateli a Casa” deve essere visto scetticamente. Il governo afferma che il programma abbia riguardato 4448 ex militanti, ma tuttavia non ci sono stime credibili che l’insorgenza sia così grande. Il governo thai costringe chiaramente uomini che rientrano demograficamente a partecipare. Ha avuto scarso effetto sul livello di violenza ed il governo considera di porre fine al programma a causa di recidive.
Senza la cooperazione ed impegno totale del BRN nel processo di pace i colloqui di pace non sono significativi. Un rappresentante della sicurezza ha riconosciuto: “MARA Patani non appare capace di controllare i militanti del RKK sul terreno. Abdullah Wan Mat Noor è uno dei duri e non sarebbe d’accordo con una soluzione pacifica”.
Il BRN di principio è impegnato nella pace. Ma non si impegnerà finché il governo militare continua il suo consolidamento politico. Non c’è nulla per negoziare con questa giunta che trova di tutto per restare al potere nonostante tutte le clausole di salvaguardia che ha posto nella sua costituzione che asfissia la democrazia. Nulla che possa minacciare la natura dello stato thai è una questione da considerare.
A che punto siamo
Il BRN può continuare a fare quello che fa nella speranza che l’attuale tasso di violenza sia sufficiente a continuare a perseguire i propri obiettivi a breve. Userebbero un grande attacco occasionalmente per avere l’attenzione dei media e ricordare al governo a Bangkok dei costi che si hanno per non parlarsi. Si atterranno a colpire le forze di sicurezza nelle campagne per evitare ripercussioni negative dalla sua base. L’attacco ai civili sarebbe deliberato.
Si rischia una semplice normalizzazione della violenza, ad un livello così basso che il governo potrebbe attribuire alla criminalità comune poiché non è costretto a negoziare.
Il BRN potrebbe scegliere di far salire il livello di violenza per costringere il governo a sedersi al tavolo del negoziato, ma non ha funzionato nel passato. Sarebbe un peso sul BRN le cui operazioni sono dettate per di più dalle risorse limitate. Una tale iniziativa li potrebbe allontanare dalla gente e da altri militanti che hanno condannato gli attacchi contro i civili.
Far crescere il livello della violenza potrebbe comportare la vendetta del governo. In una decisione poco notata delle forze armate thai, il comandante generale Chalermchai Sitthisart cambiato le regole di ingaggio dando maggiore mano libera ai comandanti per vendicarsi o compiere attacchi preventivi dei militanti.
Un’altra conseguenza sarebbero maggiori attività in Malesia che ha accresciuto la propria sicurezza interna. La polizia di recente ha sciolto una cellula che smerciava armi dal meridione thailandese. Nel gennaio 2017 la polizia scoprì un centro di costruzione di bombe del BRN, credendo che fosse un’operazione del ISIS. Arrestò sei persone e confiscò molti precursori chimici ed equipaggiamento.
Mentre ora Kuala Lumpur collega ora l’insorgenza alla propria sicurezza, il paese diventa un ambiente operativo molto meno ospitale.
Mentre le risorse del BRN sono limitate, quelle dello stato thai crescono soltanto.
Il portafoglio dei militari per il 2018 è di 6.5 miliardi di dollari, con un aumento del 5.6% rispetto a quello del 2017. Nonostante che la spesa militare raggiunga solo in parte il meridione thailandese, le loro risorse sono ancora buone. In aggiunta il governo ha assegnato oltre 100 milioni di dollari in progetti di sviluppo.
A questo punto al BRN resta una terza opzione: portare lo scontro fuori dal meridione. Il BRN ha fatto capire di averne le capacità. A dicembre 2014 il BRN parcheggiò un’autobomba dietro la stazione di polizia di Phuket. Ad aprile 2015 il BRN fece scoppiare una bomba nel parcheggio sotterraneo nell’isola di Samui ferendo sette persone. Ad agosto 2016 lanciò un’ondata di bombe, oggetti incendiari, in centri turistici nella parte settentrionale del meridione thai ucecidendo 4 persone e ferendone altre 37 tra i quali 10 stranieri.
In ogni singola occasione il governo si spinse all’inverosimile per negare che fossero legati all’insorgenza temendo un impatto negativo sull’industria ricca del turismo.
Il BRN vede le stragi fatte fuori dalle zone sue come controproducenti, temendo di perdere la simpatia internazionale e sapendo che i militari thai risponderebbero con durezza con un vasto sostegno popolare.
Qualunque opzione scelga il BRN, la mortale insorgenza nel profondo meridione thai è destinata a restare, in un futuro prevedibile.
Il BRN potrebbe rivedere la propria posizione ma non ha mostrato interesse nel perseguire la quarta opzione a disposizione, la resa.
Zachary Abuza, Professore al National War College, TheDiplomat