Gli omicidi extragiudiziali a Patani sono una comuni, regione contesa storicamente dove l’insorgenza in corso ha reclamato la vita di quasi 7000 persone, in gran parte Malay Musulmani.
Il 13 luglio 2017, Paoyee Tasamoh e Abdullah Cheama sono stati arrestati nel villaggio della provincia di Pattani, Pakaharang, accusati di aver dato rifugio ad un presunto militante di Patani, Suding Mamat, stato ucciso in uno scontro a fuoco il giorno prima.
I due uomini sono stati trasferiti alla base militare di Ingkayut a Pattani per essere interrogati.
Il giorno successivo, la moglie di Paoyee, Saitong, preparava qualcosa da portare al marito nel campo militare, quando una vicina la informò di due veicoli militari stazionati lì di fronte. Lì vide Paoyee che era portato ad una piantagione di caucciù dietro la casa. Nessuno aveva saputo nel villaggio dai militari che il marito sarebbe stato scorato nel villaggio. Paoyee era circondato da molti soldati.
“Dopo alcuni minuti udii dei colpi di arma da fuoco giungere dalla piantagione” ha dice Saitong che comprende che quegli ultimi suoi sguardi verso il marito, qualche secondo prima, furono gli ultimi in cui ha visto il marito era vivo.
Saitong non ha avuto il coraggio di dire ai figli dove fosse il padre in quei giorni, non sapendo come dire che il loro padre era stato arrestato.
“Mentivo quando mi chiedevano dove era Abah. Dicevo loro che Abah lavorava. Ma poi dovetti dir loro tutto”.
Quel giorno stesso, la mattina presto, ero ad un incontro con i giovani e i capi civili di Patay Malay per parlare della protezione dei civili. Ricevemmo una telefonata da un cittadino di Pakaharang che ci diceva di un omicidio extragiudiziale nel loro villaggio.
Tutti interrompemmo l’incontro e ci dirigemmo a Pakaharang per scoprire quello che era successo a scopi di conoscere i fatti.
Arrivammo a Pakaharang verso le 10.45 e ci trovammo con gli abitanti al locale caffè. Chiedemmo altre informazioni su quello che era accaduto ma nessuno sapeva esattamente le cose perché a nessuno fu permesso di entrare nell’area dove era avvenuto il presunto omicidio extragiudiziale, neanche i capi del villaggio.
Decidemmo di spostarci sul luogo del crimine ma fummo fermati dai militari sul luogo dove giaceva il corpo di Paoyee. I capi civili del villaggio ed i cittadini si raggrupparono scambiandosi qualche idea su ciò che si doveva fare. C’era un accordo generale sul fatto che era stato un omicidio extragiudiziale. Ma il compito primario era di avere il cadavere ed assicurarsi che sarebbe stato ridato alla famiglia.
I soldati di guardia sul posto rifiutarono di farci avvicinare, ma noi restammo sul posto rifiutando di farci indietro. Restammo sul luogo dell’omicidio dalle 11 della mattina fino oltre la mezzanotte e venti. Altri abitanti del villaggio erano lì dalle otto e mezza della mattina.
Era venerdì, il giorno delle preghiere comuni per gli uomini musulmani. Rimasi lì sul posto, con poche altre donne della comunità, sentendomi impotente ma allo stesso tempo sentivo che era la cosa migliore che si potesse fare, essere lì ad osservare questo cosiddetto luogo del delitto, commesso chiaramente dagli uomini della sicurezza del governo.
Mentre facevamo la preghiera del Venerdì, il corpo di Paoyee doveva essere portato all’ospedale di Pattani. Insieme a Saitong, accompagnati dalle donne che erano sulla scena del crimine, corremmo verso l’ambulanza ma fummo fermati dai militari. Provai a negoziare la possibilità che Saitong vedesse il corpo del marito. Dai loro occhi capii la rabbia contro di me ed il fatto che non riuscivano a contrastare il mio ragionamento.
Dopo tutto era la moglie e per tutto quello che sapevamo sarebbe potuta essere anche l’ultima volta. Alla fine la sicurezza permise alla moglie ed ad un’altra persona di salire sull’ambulanza per accompagnare il cadavere di Paoyee all’ospedale.
Per un breve momento, il senso di umanità dei militari ebbe la meglio quando indietreggiarono, sebbene in modo riluttante, permettono a Saitong di andare col marito morto nell’ambulanza.
Chi avrebbe mai potuto sapere che se ne sarebbe andato proprio così. La paura di perderlo era sempre nella mente di Saitong, cosa alquanto comune tra i malay musulmani di questa regione inquieta, dove i presunti militanti sono sequestrati alle autorità per non tornare mai più a casa. Ma quelli erano i mariti e i figli di qualcun altro. La peggiore paura per chi vive nel lontano meridione è che la prossima vittima potrebbe essere un proprio parente.
Gli ufficiali della sicurezza dissero a Saitong che Paoyee era stato portato al villaggio per mostrare agli ufficiali dove era stata nascosto un carico di armi nella giungla dietro casa loro. Secondo i militari, quando Paoyee e i militari di scorta raggiunsero il sito, Paoyee prese una pistola e cominciò a sparare agli ufficiali. Quindi i militari risposero al fuoco.
Comprensibilmente Saitong e la maggioranza degli abitanti non credono che Paoyee sia morto in uno scontro a fuoco. Insieme a tutti gli altri lei crede che l’intera cosa sia una montatura e non crede all’accusa che i militari abbiano sparato a Paoyee per autodifesa, quando strappò un’arma da loro e provò a fuggire.
Non è logico perché era scortato da tanti militari che gli erano intorno. Come faceva a prendere la pistola e sparare ai militari? Perché hanno ucciso mio marito?”
Gli omicidi extragiudiziali a Patani sono una cosa comune, una regione contesa storicamente dove l’insorgenza in corso ha reclamato la vita di quasi 7000 persone, in gran parte Malay Musulmani.
L’ultimo incidente del genere fu l’uccisione di due giovani Malay di Patani nel distretto di Rueso, a Narathiwat il 29 marzo 2017.
Sono gli omicidi che alimentano l’estremismo che diventa poi un ciclo di violenza e assenza di legge. Deve perciò essere monitorato dalla comunità internazionale e dalla Malesia che è designata come mediatore di pace. Vorremmo chiedere che la Malesia inviti le parti a cessare la violenza in tutte le forme.
Vorremmo chiedere ai governi occidentali di condannare questi omicidi extragiudiziali perché aumenteranno soltanto se non c’è il coinvolgimento internazionale.
Arfan Wattana, Pataniforum.com