Dopo due giornate intense a Manila, che detiene la presidenza di turno del ASEAN, i ministri degli esteri dei dieci paesi hanno emesso un comunicato congiunto che è stato formulato in modo tale da non urtare la suscettibilità cinese.
La dichiarazione è giunta poco dopo che i ministri hanno incontrato il ministro degli esteri cinese Wang Yi ed aver accettato un quadro di accordo per condurre negoziati sulla disputa di tanti anni che includevano parti fondamentali difese dalla Cina.
Il ministro cinese Wang Yi ha detto che l’accordo è stato un prodotto importante degli sforzi di tutti. La Cina reclama virtualmente tutto il mare dove passa un commercio mondiale pari a 5 trilioni di dollari e che si ritiene abbia riserve incalcolabili di petrolio e gas.
I problemi nascono dal fatto che i reclami territoriali cinesi si sovrappongono a quelli del Vietnam, Filippine, Brunei e Malesia, oltre che Taiwan.
La Cina ha espanso la propria presenza in modo enorme nelle aree contese costruendo isole artificiali enormi che possono essere usate come basi militari e che potrebbero stabilire un controllo di fatto su queste acque.
I membri del ASEAN inoltre nella loro dichiarazione non hanno affermato che il tanto sperato codice di condotta in mare debba essere vincolante legalmente.
Il paese più critico della Cina, il Vietnam, aveva insistito nei due giorni di incontri che il codice di condotta in mare con la Cina dovesse essere vincolante per avere un qualche significato.
La discussione tra i paesi membri aveva portato a non rilasciare alcun comunicato congiunto sabato scorso proprio a causa della differenza sulla questione del mare cinese. Il Vietnam riteneva che si dovesse usare un linguaggio più duro mentre la Cambogia ha fatto campagna a favore della Cina.
“Il Vietnam è fermo nella sua posizione e la Cina usa in modo efficace la Cambogia per portare avanti i propri interessi” ha detto un diplomatico durante gli incontri di domenica.
Negli ultimi anni le questioni in mare hanno attanagliato l’ASEAN che deve operare in base al consenso e che deve bilanciare gli interessi di tutte le parti.
Chi attacca la Cina sostiene che la Cina adotta politiche di divisione nel ASEAN forzando i paesi più piccoli come Cambogia e Laos a sostenere la propria politica.
Sotto il presidente Aquino proprio le Filippine sono state tra i paesi più critici contro la Cina giungendo a lanciare una denuncia presso il tribunale dell’Arbitrato de L’Aia.
Lo scorso anno il Tribunale dell’Arbitrato emise un verdetto in favore delle Filippine riconoscendo che le rivendicazioni storiche cinesi non hanno un sostegno legale. Il verdetto non è stato mai riconosciuto dalla Cina.
Col cambio di guardia alla presidenza filippina e l’arrivo di Duterte, è cambiato il fronte anticinese. Duterte ha scelto di mettere da parte il verdetto dell’arbitrato e favorire legami più caldi con Pechino che di contro ha promesso miliardi di dollari in investimenti ed aiuti.
“E’ chiaro che le pressioni cinesi sui singoli governi hanno dato i loro frutti” ha detto Bill Hayton di Chatham House di Londra, il quale ricorda che quindici anni fa si firmò un accordo quadro in cui si impegnavano le parti a tenere i negoziati del tutto simile a quello firmato domenica. La differenza è che quello del 2002 aveva un tono più intransigente contro la Cina.
La Cina nel frattempo ha usato tutti questi anni a cementare le sue richieste, mentre allo stesso tempo costringeva l’ASEAN a fare dichiarazioni di opposizione sempre più deboli.
“Sembra che la Cina non è stata mai sconfitta nel vedere i termini del linguaggio sempre più attutiti in suo favore” dice Ei Sun Oh della Rajaratman School di Singapore.
“Complessivamente è stata una schiacciante vittoria diplomatica per la Cina” ha detto l’analista filippino Richard Heydarian.
All’interno di questa schiacciante vittoria diplomatica cinese deve anche inserirsi l’isolamento del Vietnam costretta qualche giorno fa a sospendere un progetto di trivellazione, in una zona contesa tra Cina e Vietnam, per non esacerbare i rapporti con Pechino.
Infatti Hanoi ha esercitato maggiori pressioni all’incontro del ASEAN dopo aver sospeso un progetto di perforazione di gas nel mare cinese meridionale che aveva precedentemente approvato e che aveva già irretito Pechino.
Il progetto coinvolge anche una compagnia spagnola, Repsol, e si svolge al largo del Vietnam meridionale al limite delle 200 miglia nautiche in una zona reclamata dalla Cina. La sospensione del progetto è chiaramente un’altra vittoria strategica cinese e mostra la debolezza di Hanoi che non riesce ad avere aiuto né dai suoi vicini del ASEAN né dagli USA.
Il Vietnam può solo provare a fare opera di deterrenza verso la Cina ma quando Pechino forza la mano, il Vietnam si ritrova da solo con le spalle al muro, come ha detto l’esperto Greg Poling, il quale ricorda che mentre Giappone e Filippine hanno trattati militari con gli USA, Il Vietnam è per giunta insicuro di quello che farebbe la nuova amministrazione Trump nel caso di un conflitto.
Inoltre l’isolamento del Vietnam è anche più marcato da quando Duterte ha cambiato la posizione diplomatica filippina. Il Vietnam aveva infatti salutato il verdetto dell’Arbitrato come un passo gigantesco verso l’obiettivo di tanti anni di creare un fronte diplomatico contro l’occupazione cinese del Mare Cinese Meridionale.
Ora che Duterte lo ha messo da parte quel verdetto la posizione vietnamita si fa più precaria ed isolata.