Attualmente ci sono forse cinque prigionieri politici papuani dietro le sbarre rispetto alla cifra di 37 alla fine dell’Agosto 2016 secondo le fonti di HRW. Il numero incerto dei prigionieri politici di fatto in prigione nasce dal fatto che il ministro della giustizia e dei diritti umani non ha risposto alla richiesta di Human Wrights Watch di conoscere l’esatto numero di detenuti.
La reticenza del ministro nel confermare questa riduzione di prigionieri politici è strana, non solo perché è la libertà per decine di papuani incriminati e incarcerati ingiustamente per il solo fatto di esercitare il diritto di associazione ed espressione. Dice anche che il presidente Joko Widodo sta realizzando una promessa di “liberare i prigionieri politici come un modo per fermare lo stigma del conflitto a Papua”.
Nel maggio del 2015, Jokowi fece un passo senza precedenti per un capo di stato indonesiano di presentare personalmente i documenti della clemenza che autorizzavano il rilascio di cinque prigionieri politici nella prigione di Abepura nella provincia di Jayapura. In quella cerimonia annunciò che il rilascio di questi prigionieri era solo l’inizio di uno sforzo ufficiale di svuotare le prigioni di Papua dei prigionieri politici con lo scopo di “creare una sensazione di pace a Papua”.
Sei mesi dopo il governo rilasciò Filep Karma, uno dei prigionieri politici papuani, diventato un simbolo internazionale degli abusi contro gli abitanti di Papua che il governo indonesiano ha fatto sui diritti di libertà di espressione e associazione a Papua.
Karma ha notato che il rilascio dei prigionieri politici è il risultato di meccanismi legali specifici come la clemenza e le riduzioni delle pene, negate dalle precedenti amministrazioni indonesiane avevano generalmente negato ai prigionieri politici papuani.
Il governo indonesiano ha delle legittime preoccupazioni della sicurezza a Papua che nascono dal conflitto attuale a bassa intensità con i separatisti armati del Movimento di Papua Libera, OPM. Ma la risposta spropositata del governo a quella minaccia ha incluso restrizioni decennali di accesso a Papua ai giornalisti, studiosi ed osservatori stranieri oltre al fallimento delle forze di sicurezza di distinguere tra atti violenti ed espressione pacifica di opinioni politiche.
Sfortunatamente questi atti di Jokowi di liberazione dei prigionieri politici papuani si dimostreranno di breve durata se il governo non abolirà le leggi sul tradimento, Makar, responsabili del carcere eper questi prigionieri. Il governo da tempo ha usato l’articolo 106 e 110 del codice penale indonesiano per imporre sentenze decennali sui manifestanti pacifici che chiedono l’indipendenza o altri cambiamenti politici.
Tanti arresti e condanne sono stati a carico di militanti che hanno innalzato pacificamente i simboli proibiti dell’indipendenza come la Stella del Mattino di Papua e le bandiere delle Molucche Meridionali. HRW non prende una posizione sul diritto all’autodeterminazione ma si oppone alla prigione per chi pacificamente si batte per il sostegno all’autodeterminazione.
E gli abitanti di Paua hanno tanto da lamentarsi per la mancanza di responsabilità per i decenni di abusi da parte delle forze di sicurezza. Risposte dalla mano pesante alle attività pacifiche hanno comportato numerose violazioni di diritti umani.
Nello scorso decennio HRW ha documentato decine di casi in cui la polizia, i militari, i servizi segreti e le guardie carcerarie hanno usato una forza eccessiva senza alcuna necessità nel trattare con i papuani che esercitavano il loro diritto di associazione ed assemblea. Sebbene il governo ad aprile 2016 avesse annunciato la creazione di una task force per costruire un percorso per indagare e risolvere una decina dei più gravi abusi del passato, non è riuscito a dare autorità e finanziamenti.
Ed il governo di Jokowi ha fallito miseramente nel trovare le responsabilità dei più recenti abusi.
A dicembre del 2014 le forze di sicurezza uccisero cinque giovani di Papua a Enarotali nella provincia di Paniai. Nonostante tre indagini diverse ufficiali sugli omicidi, ingigantite dalla promessa di Jokowi di fare indagini complete e unire i responsabili non ci sono state finora risposte concrete.
E nonostante le promesse ufficiali di un’indagine completa dell’omicidio da parte della polizia di un giovane Yulius Pigai a Papua occidentale il 1 agosto 2017, allo stesso modo non sapremo mai probabilmente le circostanze della sua morte.
Nel frattempo Jokowi chiude un occhio verso il dolore di altri prigionieri politici indonesiani di Ambon nelle Molucche. Un totale di 13 prigionieri politici, gli ultimi di un gruppo di 28 condannati per tradimento per aver fatto una danza di protesta nel giugno 2007, restano nelle patrie galere a Nusa kambangan e Porong a Giava, 3000 chilometri da Ambon.
Quella distanza e le grandi spese finanziarie per il viaggio tra Ambon e queste prigioni implicano che quei 13 uomini, contadini e pescatori, non vedono le famiglie dal loro trasferimento nel 2009.
L’isolamento ha inflitto uno stresso profondo emotivo, psicologico sui prigionieri e le loro famiglie.
Ad aprile 2016 il ministro della giustizia e dei diritti umani Yosonna Laoly si impegnò a voce a far visitare una delegazione di HRW a Giacarta per trasferire alcuni prigioneri nei centri di detenzione diAmbon. Ma dopo un anno loro restano dietro le sbarre, lontano dai loro cari, senza peranza di vedere le famiglie fino alla fine della sentenza nel 2027.
Gli sforzi di Jokowi per rilasciare i prigionieri politici indonesiani sono un cambio che si attende da tanto tempo, ma l’Indonesia non può dire di essere uno stato progressista e democratico mentre rinchiude nelle galere i propri cittadini per il solo fatto di esprimere il diritto ad esprimersi ed a riunirsi.
Andreas Harsono, New Mandala