Diventa sempre più difficile, con il passar dei giorni, comprendere come possano rimanere al loro posto i ministri della sinistra, quando diventa chiaro fino all’inverosimile che l’omicidio di massa è la sola politica reale e centrale dell’amministrazione Duterte.
Gli ultimi giorni forse sono una cupa pietra miliare nella guerra alla droga. In meno di quattro giorni, ad iniziare dal 15 agosto, le squadre antidroga della polizia hanno ammazzato 32 presunti spacciatori a Bulacan e 49 a Metro Manila per un totale di 81 omicidi.
Forse sono questi giorni i più sanguinosi di un anno di campagna. Ma a rendere particolarmente orribili questi giorni è stata l’esecuzione di un ragazzo diciassettenne, Kian Loyd delos Santos, che è stato tirato dalla polizia di fronte alle telecamere di sicurezza, che ha avuto dal sequestratore una pistola col l’ingiunzione a sparare e poi è stato ucciso.
Tre ufficiali di polizia implicati nell’esecuzione sono stati sospesi dal servizio. Potrebbe però esserci un dubbio che il reale colpevole è l’uomo che sta al palazzo presidenziale, il quale in tante dichiarazioni del passato, ha dato alla polizia la licenza di uccidere? In un caso registrato a marzo di questo anno offrì il perdono immediato a qualunque poliziotto condannato per aver ucciso con impunità “così potete perseguire le persone che vi hanno portato in tribunale”.
Invariabilmente, la risposta di Duterte alle crescenti stragi che ha inquietato molti fu di elogiare la polizia di Bulacan ed esprimere il suo desiderio che sarebbero state uccise 32 persone nella provincia. Poi il presidente ha attaccato il presidente della CHR Chito Gascon chiamandolo “un pazzo sangue misto” e minacciato di ordinare alla polizia di sparare contro i militanti dei diritti umani.
Se c’è qualche dubbio rimasto che Duterte non rallenterà la sua sanguinosa crociata, di fatto è stato sciolto. Se dovesse mantenersi questo tasso omicida, il numero delle vittime alla fine dei 6 anni potrebbe raggiungere i 60 mila. Questo farebbe del massacro della droga di Duterte la terza peggiore campagna di sterminio nella recente storia del sudestasiatico dopo il genocidio dei Khmer Rossi, tra il 1975 e il 1978, e il bagno di sangue anticomunista in Indonesia nel 1965-66.
Quando lo scorso ottobre il presidente disse che forse sarebbero potute essere uccise tra le 20 mila e 30 mila persone, in molti risero alle sue parole, considerate un altro caso della propensione di Duterte all’iperbole.
Ora non ridono più o almeno alcuni di loro, perché Duterte raccoglie un gruppo notevole di seguaci ciechi della classe media che lo seguirebbero all’inferno.
Verso la dittatura
E se c’è ancora un dubbio sull’intenzione di restare al potere oltre il termine naturale della presidenza, si devono vedere i suoi commenti recenti sulla necessità che la guerra alla droga richiede più dei sei anni di presidenza come un addolcimento della gente in attesa dell’annuncio definitivo delle sue intenzioni quando giunge il momento opportuno.
Quando mettiamo in guardia sulle sue intenzioni dittatoriali, siamo spesso criticati per avere dei pregiudizi verso il presidente o per fare pure speculazioni. Ma ad essere lontani dalla realtà sono quelli che credono che Duterte lascerà il potere alla scadenza naturale del mandato.
Credete davvero che, dopo aver ucciso migliaia di persone, Duterte si farà estromettere dal potere legalmente a causa di quello che considera una facezia costituzionale di successione ed essere alla mercé di una accusa certa da parte di tribunali del paese e dalla Corte Internazionale di Giustizia?
Complici nel crimine
I recenti sviluppi fanno sorgere la domanda di come si possa continuare a fare il proprio dovere nel governo di un omicida di massa. Infatti non ci si dovrebbe sorprendere se l’ex ministro dell’ambiente Gina Lopez e l’ex ministro agli affari sociali Judy Taguiwalo si siano sentite in segreto sollevate per non essere stati riconfermati dalla Commissione delle Nomine, poiché non dovranno più sostenere le critiche di far parte del governo con gli omicidi che crescono.
Ma ci sono altri che restano nel governo Duterte, persone che hanno una storia distinta di promozione di diritti umani, dei diritti del lavoro e di sviluppo sociale; diventa sempre più duro, giorno dopo giorno, comprendere come possano restare al loro posto quando diventa chiaro fino all’inverosimile che gli omicidi di massa sono la sola politica centrale e reale di questa amministrazione, come fu l’eliminazione degli ebrei da parte del regime di Hitler.
Pensare che possono isolare il loro ministero dal resto dell’amministrazione e chiudere gli occhi sul sangue che si versa proprio sotto il loro naso ed isolarsi moralmente da esso è una illusione.
Restando al governo sono complici nel crimine e lo sanno.
Oramai per questi ministri non deve più essere una questione di se dimettersi, ma di quando prenderanno le distanze dall’assassino di massa. Se il dettato della propri coscienza non costituisce una motivazione sufficiente, allora che sia il temuto giudizio della storia sul mancato abbandono dell’immorale regime macchiato di sangue.
Che sia loro di lezione il duro verdetto della storia sui progressisti che scelsero di stare con Marcos.
Il dilemma di questi membri del governo echeggia quello dei cittadini liberali o progressisti che sono rimasti con Duterte per oltre un anno nella speranza che lui avrebbe portato qualche riforma sociale che nel loro calcolo particolare, avrebbe bilanciato la sua furia omicida.
La partenza di Gina Lopez e Judy Taguiwalo, a causa del rifiuto del presidente di sostenerli e in assenza di iniziative significative di riforme sociali, se non per qualche acrobazia privata di meccanismi di finanziamento, come il progetto di scuola gratuita, deve rendere più facile a queste persone porre fine alla loro ambivalenza politica e morale verso il fascismo che travvolge il paese.
Walden Bello, TheRappler