Nanlaban è quello che la polizia risponde quando è chiamata in causa per gli omicidi che compie nelle operazioni antidroga, vale ha dire hanno provato ad ucciderci, hanno resistito.
Con l’ Operazione Una Volta e alla Grande si è avuto un salto quantitativo in numero di morti ed una radicalizzazione nell’impunità con cui sono portate avanti le azioni antidroga. Presentiamo un editoriale del quotidiano filippino InterAksion di Mel Santa Maria
“La protezione delle libertà fondamentali è l’essenza della democrazia costituzionale. Contro chi è questa protezione? Protezione contro lo stato” sono le parole che 30 anni fa pronunciò Padre Joaquin Bernas, uno dei nostri costituzionalisti più grandi, nel suo discorso a sostegno della Legge dei Diritti della Costituzione della Libertà del 1987.
La Legge dei Diritti è quella parte della costituzione che garantisce tra gli altri che “nessuna persona dovrà essere privata della vita, della libertà e proprietà senza il giusto processo di legge, né le sarà negato l’uguale protezione della legge”. Stabilisce inoltre che “il diritto delle persone a sentirsi sicuri nelle proprie persone, case, scritti ed effetti contro irragionevoli mandati di perquisizione e d sequestro di qualsivoglia natura e per qualunque scopo sarà inviolabile”
Le notizie sono state dominate dalla storia di agenti dello stato, in particolare membri della polizia di Caloocan, che con la scusa logora e consunta di un sospettato che ha opposto resistenza, nanlaban, hanno ucciso un minore di 17 anni, Kian Loyd Delos Santos.
Dai resoconti di InterAksyon si legge che
Le riprese delle televisioni a circuito chiuso sulla scena del delitto tendono a porre in dubbio il resoconto della polizia. Il video mostra una figura, che si crede sia Kian, essere allontanato con la forza da due uomini in abiti civili verso l’area dove è stato ucciso.
Inoltre testimoni hanno detto che il ragazzo era stato perquisito senza che la polizia gli avesse trovato nulla. E prima della sua morte si è visto picchiare il ragazzo.
La morte di Kian è solo l’ultimo di quello che appare un omicidio programmato di chi è implicato nella droga, indipendentemente del tipo di prove e dall’etichetta: tossicomane, spacciatore o corriere.
Il giorno 18 agosto del 2017 si leggeva su Inquirer:
La polizia nazionale filippina ha detto che 32 persone sono state uccise mentre 109 presunti tossicomani sono stati arrestati simultaneamente nella “Operazione Una volta e alla Grande” dalla polizia di Bulacan il 15 di agosto. Oltre quelli di Bulocan il numero di personalità sospettate di droga che sono state uccise a Manila ha raggiunto le 26 unità dopo varie operazioni “Una volta e alla grande” della polizia distrettuale di Manila del mercoledì.
Il conto delle morti è del tutto da condannare perché nessun cittadino sano di mente può giustificare il modo in cui questo governo ha applicato la sua politica antidroga. Infatti la fase del beneficio del dubbio per questa amministrazione è passata da tanto tempo.
Il tanfo delle esecuzioni sommarie basate sul sospetto ha raggiunto una dimensione nauseante. Per lo più, è la povera gente che è uccisa. E non sembra vedersi ancora la fine del tunnel. Peggio, la retorica dell’accusa di ostruzionismo rivolta ai militanti dei diritti umani con la minaccia di includerli nelle liste della morte suggerisce che gli omicidi cresceranno.
Quando agenti del governo ammettono di essere gli assassini, la presunzione di innocenza è andata via. Il peso della prova si sposta del tutto su loro che dovono provare la propria innocenza. Gli assassini devono ora affidarsi alla forza delle loro proprie prove in considerazione della loro ammissione di colpa. Come per ogni omicida reo confesso, la loro scusa di nanlaban non sarà e non deve essere accettata.
Ed anche se c’è un caso di nanlaban, la sua sola invocazione non li libera dalla perseguibilità penale per omicidio.
Questi agenti dello stato devono provare inoltre che i mezzi usati per combattere l’aggressione illegale, nanlaban, deve essere stata ragionevolmente necessaria.
Non c’è da sorprendersi se su questo aspetto le autorità sono spaventosamente silenziose, particolarmente nel caso di Kian Loyd Delos Santos.
Dice molto che questa Operazione una volta e alla grande è un’operazione del governo, progetto sponsorizzato dallo stato. Che coinvolga o meno una componente di Omicidi Extragiudiziali sin dal momento del suo concepimento, coloro che l’hanno resa operativa con gli omicidi extragiudiziali sono tutti cospiratori criminali. E nella cospirazione l’atto di uno è l’atto di tutti nonostante la loro assenza dalla scena del delitto.
E’ allarmante che a governare il giorno sia la percezione di impunità incoraggiando gli esecutori.
La vita umana non ha alcun valore ed è rubata via come se si debba raggiungere una quota numerica che deve essere mantenuta e orribilmente accresciuta.
Di conseguenza l’ambiente non sembra più sicuro. Si genera il terrore, non a causa dei criminali comuni, ma dal governo o dal numero dei suoi agenti. Per loro il mandato costituzionale per cui lo Stato valuta la dignità delle persone e garantisce il pieno rispetto dei diritti umani è una banalità senza senso, è qualcosa da disprezzare e da deridere senza freni inibitori ad ogni opportunità.
E quindi ritorna alla mente l’avviso di Joaquin Bernas, fatto 30 anni fa, che lo stato e più in particolare i suoi agenti dai ranghi più bassi fino ai più alti possono essere i più grandi aggressori che mettono in pericolo la vita e la libertà delle persone.
Possiamo solo sperare di non stare a guardare una profezia che si dipana davanti ai nostri occhi. Ma mentre cresce il numero degli omicidi quella speranza si affievolisce rapidamente.
E’ tempo di essere più attivi nel gridare il nostro disgusto per fermare il sangue e gli omicidi. Come ho sempre detto, nell’essere indifferente verso i diritti umani degli altri mettiamo in pericolo i nostri.
Mel SantaMaria, InterAksion