La manifestazione, che si è tenuta al Parco Luneta, è stata la più grande manifestazione da quando il presidente filippino, che gode ancora di altissima popolarità, si è insediato alla presidenza.
Ha radunato esponenti politici e movimenti di tutte le estrazioni politiche, dai liberali alla sinistra filippina, da radicali a moderati, artisti e credenti, gruppi delle popolazioni indigene, a uomini di affari, a gente delle chiese: tutti accomunati dal rispetto per i diritti umani della singola persona, dalla lotta alla tirannia e alla possibile legge marziale, più volte paventata dal presidente Duterte.
La manifestazione è stata indetta dal Movimento Contro la Tirannia che ha sottolineato, in questo anniversario tragico della storia filippina, le violazioni dei diritti umani compiute sotto questa presidenza. Fermiamo gli omicidi è uno degli slogan centrali di queste manifestazioni.
Nei giorni scorsi le chiese di tutte le Filippine suonarono le campane come segno di protesta contro la politica di Duterte sulla droga.
Dai soli dati della polizia sono stati uccisi oltre 3000 sospettati in operazioni legittime contro la droga, dove il termine legittime è solo un eufemismo. Altre 2000 sono morte uccise nelle operazioni di presunti vigilanti.
Secondo molti altri gruppi dei diritti le cifre sarebbero ben altre fino a raggiungere le 10mila unità.
Al parco Luneta sono giunte tre distinte manifestazioni che sono partite da tre punti diversi, dei quali uno era il ponte Mendiola vicino al palazzo presidenziale.
“Marcos, Duterte, Nessuna differenza, uccidono tutti e due” era uno degli slogan.
A questa manifestazione a Luneta hanno partecipato anche molte vittime della legge marziale che chiedono a Duterte di cancellare la sua politica contro la droga per riformare il sistema della polizia della magistratura.
Come tipico delle manifestazioni filippine, si sono bruciate varie effige di carta pesta del presidente Duterte, una delle quali raffigura Duterte come Hitler.
In un’altra manifestazione tenutasi presso l’Università delle Filippine è apparsa anche la vicepresidente Leni Robredo che ha denunciato i segni di una crescente tirannia nel paese ed ha invitato chi non ha vissuto la legge marziale ed il regime dittatoriale di Marcos a comprendere bene il percorso pericoloso su cui si stanno muovendo.
“E’ triste notare che sembra che non abbiamo imparato ancora la lezione. C’è una cultura di violenza tra di noi” ha detto Leni Robredo. “Le vittime non sono solo quelle che sono contro il governo ma anche bambini che soffrono per questa cultura della violenza”
Contro il rischio dell’imposizione della legge marziale, la continua ventilata minaccia da parte di Duterte che la considera la panacea per tutti i problemi del paese, si è espresso l’arcivescovo Socrates Villegas perché la legge marziale, che attualmente è in vigore a Mindanao, distrugge i valori nazionali e l’integrità morale del paese.
“La legge marziale fu sostenuta da una cultura della menzogna; restò a galla dagli assassini nell’oscurità della notte e alla luce del giorno” ha detto l’arcivescovo durante una messa indetta in occasione del giorno di protesta.
Uccidere i poveri ed i più poveri è la sola soluzione che conoscono per fermare il crimine, ha detto Villegas che ha accusato le notizie inventate e i loro creatori che continuano a confondere la gente.
“La decenza ha lasciato il passo all’insulto. La persona di rispetto ed educata è ridicolizzata, mentre diventano dei santi le persone rude e dalle maniere sbagliate. I diritti umani e le persone indigene valgono mille peso” ha detto Villegas ricordando come la supermaggioranza di Duterte in un primo momento abbia assegnato provocatoriamente alla Commissione per i diritti umani una finanza di 1000 perso, 17 euro.
“Stiamo smarrendo la nostra anima nazionale a favore del Padre delle Menzogne e al Principe delle Tenebre. Uccidono i poveri ed avvelenano la coscienza. Dobbiamo tornare al Signore e riprenderci la nostra anima”
Nella cattedrale di Inramuros, il vescovo Paolo Virgilio David ha ricordato che Navotas, una cittadina a nord di Manila, è considerata “il più grande campo di sterminio” del paese perché “quasi ogni casa” nell’area chiamata Mercato 3 “ ha perso un familiare nella guerra alla droga, per le operazioni di polizia o per i gruppi del casco”.
Di seguito traduciamo La Nostra Protesta, editoriale di Interaksion
La nostra Protesta
“Scusandoci con i nostri capi politici che carichiamo delle aspettative di difendere la verità, di seguire la legge, di rispettare i nostri diritti, di lottare per la giustizia, e persino soffrire le stesse realtà che noi cittadini comuni sopportiamo.
Ma si è giunti al punto che c’è orgoglio nel privilegio e nel vantarsi della menzogna. I filippini sono presi in giro e demonizzati se lottano per i diritti umani, se chiedono responsabilità e trasparenza nel governo, mentre chi nega e distorce la costituzione ti pesta su Facebook dopo aver imbarazzato il proprio staff.
Ricordiamo: ci sono due versioni di fatti alternative in gioco non perché non siano state risolte, ma perché il governo le sfodera per ignorare le aspettative di decenza e ragione.
La prima menzogna è quella delle Filippine come di un narcostato. La seconda è che il processo giusto, il governo della legge e diritti umani sono opzionali se dobbiamo combattere lo stato immaginato secondo la prima menzogna.
Una guerra alla droga, giustificata, giustificabile e indiscutibilmente necessaria, ha perso l’ascendenza morale perché è sostenuta senza alcun bisogno da cifre irrealistiche. Lo ha detto in punta di piedi anche il presidente del Comitato delle Droghe Pericolose.
Come ha risposto il presidente? Lo ha licenziato insieme ai dati. Poveri stupidi: l’esagerazione non è per rafforzare la guerra alla droga ma per razionalizzare una stanca e imprudente insistenza a esonerare la polizia dalle catene delle regole e della professionalità. Dopo tutto c’è una scadenza di sei mesi che è già scaduta.
Nel frattempo, mentre cresce la certezza che la polizia ha già abusato tutte le assicurazioni di perdono, i politici hanno attaccato la Commissione dei Diritti Umani ed la più semplice nozione di diritti umani. Sono tutti e due concetti stranieri, imposizioni sul diritto di sovranità per fare casino con le nostre leggi. Liberiamocene, e saremo liberi di uccidere prima e fare domande dopo, e distruggere tutta l’opposizione ora che ci siamo.
Sprofondiamo sempre più giù. Duterte prende i segnali da una armata di falsari guidata da rappresentanti pagati dai cittadini, ed ora ammette con orgoglio di aver smerciato false notizie per attaccare un nemico. Non è un abuso di ufficio?
Il presidente si comporta come se sia immune dall’accusa di diffamazione fin quando ammetterà tutto e senza comunque mai chieder scusa.
I filippini sono stati portati all’esasperazione non dal dibattito ma da una deliberata faccia tosta per ignorare tutte le buone ragioni.
Duterte ha detto: assolutamente fate del 21 settembre il giorno nazionale della protesta. Non aspettatevi che qualcuno vi senta. Il governo non offre una base a cui appoggiarsi, ma solo un muro a cui parlare.
Ed ancora naturalmente assecondiamo. Spiacevolmente protestiamo. Non perché lo vogliamo.
La verità è, questo come tutti i giorni, i veri cittadini preferirebbero sostenere le arti, celebrare l’orgoglio ed i trionfi di ognuno, glorificare gli eroi e l’eroismo. Onestamente: preferiremmo piantare alberi, pulire le coste, insegnare ai figli, migliorare le scuole, lavorare, eliminare la corruzione, creare lavoro. Persino aiutare il governo a combattere il crimine. Preferiremmo piuttosto unirci nella guerra alla droga. Vorremmo aiutar a costruire i ponti, le piste ciclabili, marciapiedi, migliorare la mobilità per noi ed i parlamentari. Eppure siamo qui, ridotti a lamentarci dei diritti umani, costretti ad implorare i nostri capi politici perché rispettino il governo della legge.
Non è grottesco tutto questo?
Ma parlando di traffico… Ci vogliono da due a quattro ore per fare 10 chilometri sulla EDSA o sulla C5. Ai lavoratori filippini ci vogliono fino a due ore per entrare in una stazione della metropolitana. Pioggia o sole, milioni di cittadini sono incanalati su marciapiedi inesistenti, tetti inesistenti che dovrebbero proteggerli dagli elementi naturali, rischiando di finire in qualche buco che si apre, o di finire investiti dai bus o dai camion guidati da autisti esausti per il lavoro a causa delle lunghe code per uscire dal porto, e costretti a fare tardi nei mercati che innalzeranno i prezzi delle merci per compensare gli alimenti raffreddati o non serviti nelle case in tutte le città.
I loro bambini devono cavarsela da soli, chiamare chi fa alimenti da asporto, che non garantiscono l’ora della consegna, per essere pronti all’alzata alle cinque della mattina il giorno dopo per la solita tiritera, mentre strisciano la sfida del crimine da un lato e tokhang dall’altro.
E’ da tutta questa merda che il capo della maggioranza parlamentare Rudy Farinas chiede di essere esentato.
Parlando a nome del congresso che ci toglierebbe ogni garanzia e protezione dei nostri diritti, Farinas ha detto che quando il congresso si riunisce la polizia deve stare lontana dal percorso dei parlamentari. E’ un pass da VIP, nove mesi all’anno, per abusare la corsia contro mano o per investire chi è costretto ad andare sulla strada che i soldi delle tasse non riescono mai ad aggiustare. Dopo che termina la sessione del congresso, dice Farinas, la polizia avrà il parlamentare che ha sbagliato. Prima il lavoro del parlamentare è troppo importante per fermarsi davanti al pedone spiaccicato per terra e forse paralizzato, ma vivo.
Non è solo un arrogante diritto. E’ privilegio che ha il fegato di farsi riconoscere come male necessario, il privilegiato che ha la temerarietà di proclamarsi vittima.
Quando la scorta della polizia dei nostri capi politici corrono sulle strade, è perché sono carichi del dovere di correre a votare. Tagliate i soldi alla commissione di diritti umani a 1000 peso, perché, non lo sapete, è la nostra valutazione errata dei diritti umani a tenerci bloccati.
Immaginate cosa potrebbe fare la polizia, quanti contratti potremmo chiudere, quanto potremmo spendere per fare infrastrutture, se ci liberassimo della propaganda che ci siamo bevuti, a causa di tutti questi che hanno il diritto di domandare trasparenza, responsabilità ed uguale accesso alla giustizia.
Viviamo in un narcostato. I diritti umani sono un’imposizione straniera. Non sono garantiti nella nostra costituzione. Solo i pedofili dicono che esiste una cosa simile. E solo i traditori chiederebbero trasparenza e responsabilità.
L’informazione sbagliata è una cosa, la disinformazione è altro. Ci può essere un errore, onesto. L’altra è sempre un crimine. Si può teorizzare la prima perché la gente credi a tutto, ma chiaramente i nostri capi sono colpevoli di disinformare.
“Quando un numero sufficiente di persone fanno promesse false, le parole non hanno più significato e allora non ci sono più risposte, solo bugie sempre migliori” disse Jon Snow.
I filippini non si confrontano neanche per bugie migliori, perché i nostri capi non vedono neanche il bisogno di mascherare le loro intenzioni.
Dove la verità è sconveniente ed i diritti umani sono dichiarati totalmente un nemico, le menzogne non sono neanche una arma a disposizione.
Ora la faccia tosta è tutto quello di cui hanno bisogno i nostri politici perché davvero per cosa gli esausti filippini avranno la forza ancora di fare?