I capi di stato di tutto il mondo, che si riuniscono nel palazzo dell’ONU a New York questa settimana, affronteranno la campagna di pulizia etnica contro la popolazione Rohingya. Nel frattempo la giunta militare thailandese ha annunciato la sua politica disumana di respingimento dei disperati Rohingya, che cercano di sfuggire alle atrocità nello stato birmano Rakhine, negando così loro l’accesso alla protezione dei rifugiati.
Il 25 agosto i militanti del ARSA attaccarono 30 posizioni della polizia ed una base dell’esercito. I militari birmani in risposta hanno portato avanti incendi di massa, omicidi e saccheggi distruggendo centinaia di villaggi e costringendo mezzo milione di Rohingya a scappare in Bangladesh.
L’ONU lo ha definito un esempio libresco di pulizia etnica.
La Thailandia piuttosto che provare simpatia e sostenere le persone a rischio si prepara a prenderli a schiaffi. Il comando delle Operazioni di Sicurezza Interna, ISOC, presieduto da Prayuth, ha annunciato che le autorità rafforzeranno un piano fatto di tre passi.
Per prima cosa la marina reale intercetterà le imbarcazioni dei Rohingya che si avvicinano troppo alla costa thailandese. Nell’intercettazione forniranno carburante, acqua ed alimenti a condizioni che l’imbarcazione continui verso la Malesia e l’Indonesia. Le barche che in qualche modo riusciranno a raggiungere la costa saranno sequestrate e la polizia dell’immigrazione arresterà i Rohingya, uomini, donne o bambini, in carcere per un periodo non definito.
Queste misure disumane sono state annunciate appena dopo l’incontro tra il capo dell’esercito birmano Gen Min Aung Hlaing, responsabile delle operazioni militari contro i Rohingya, ed i capi della giunta thailandese il 31 agosto.
Nelle passate quattro settimane sono fuggiti oltre 400 mila Rohingya verso il Bangladesh. Le immagini satellitari ed i sensori di calore analizzati da HRW hanno mostrato che oltre 228 villaggi sono stati incendiati nel nord dello stato Rakhine. Questi rifugiati si uniscono agli oltre 300 mila già presenti in Bangladesh a causa della repressione ed abusi negli scorsi anni.
La Thailandia sa fin troppo bene che i governi birmani hanno perseguitato i Rohingya. I rappresentanti birmani e le autorità militari hanno regolarmente loro imposto restrizioni alla libertà di movimento, di assemblea e di associazione. Hanno anche fatto richieste di lavoro forzato, hanno fatto persecuzioni religiose e confiscato terre e risorse. Nonostante che i Rohingya sono in Birmania da generazioni la legge della cittadinanza del 1982 ha negato loro la cittadinanza lasciandoli apolidi. E’ negato loro persino il diritto alla autodeterminazione dal governo che li chiama Bengali definendoli come immigrati del Bangladesh.
Molti ricordano quando si scoprirono i campi sulla frontiera con la Malesia nel maggio 2015 dove molti Rohingya erano morti di fame e di malattie. Chi sopravvisse raccontò la propria disavventura nelle mani degli schiavisti. Ancora, se si considerano la mancanza di sicurezza e le condizioni povere dei campi in Bangladesh, ci si attende che molti Rohingya si verseranno in mare il prossimo mese, quando migliorano le condizioni atmosferiche del mare delle Andamane e provare a passare attraverso la Thailandia per cercare rifugio in Malesia e Indonesia.
Da anni le autorità thai rifiutano di accettare i rifugiati Rohingya. Secondo la legge internazionale la Thailandia non può rigettare alla frontiera chi afferma di chiedere asilo perché scappa dagli abusi e la violenza generalizzata. La Thailandia è obbligata a permetterli di entrare e cercare protezione.
La Thailandia deve aiutare i Rohingya birmani non esasperare il loro dolore. La politica inumana dei rispengimenti pensata per i nuovi arrivi deve esser immediatamente cancellata. La Thailandia deve invece da parte sua guidare gli sforzi per mettere in piedi un meccanismo di preparazione che sostenga la ricerca e le operazioni di salvataggio per aiutare le barche Rohingya in mare.
La Thailandia deve anche garantire l’accesso completo al UNHCR per proteggere tutti i Rohingya che arrivano in Thailandia, e permettere la loro identificazione e assistere chi chiede lo stato di rifugiato.
Le linee guide del UNHCR affermano che non si deve usare la detenzione come misura punitiva o per scoraggiare i rifugiati dal ricercare la protezione e le autorità thai devono lavorare insieme alla commissione UNHCR e all’agenzia internazionale della emigrazione, IOM per dare rifugio temporaneo ai Rohingya prima che siano sistemati in paesi terzi, Malesia e Indonesia. A questo scopo è fondamentale che gli altri governi diano assistenza necessaria alla Thailandia.
Un modo che ha la Thailandia di ridurre il flusso dei nuovi arrivi sarebbe di fare pressione sulla Birmania per fermare le atrocità da cui fuggono i Rohingya.
Vari governi thai comunque non hanno mai parlato in favore dei diritti Rohingya o per la soluzione nello stato Rakhine. Continuando a chiudere gli occhi sui dolori del Rohingya la reputazione della Thailandia è a rischio, ed i governo si troverà di fronte al continuato esodo di Rohingya disperati.
La Thailandia ha bisogno di agire in fretta se vuole giocare un ruolo di primo attore in una soluzione regionale per salvare la vita dei Rohingya che rischiano la pulizia etnica in Birmania.
Sunai Phasuk, HRW Thailandia, Bangkokpost