Suphap che ha 62 anni mantiene la sua calma nel parlare della sua vita in carcere. Ci assicura di avere molte amiche, di lavorare con i fiori artificiali. La vita nella prigione di Phu Khiew scorre normale.
Suphap viveva da decenni nella casa nel villaggio di Khok Yao nella provincia di Chaiyaphum dove aveva cura dei suoi cani e raccoglieva funghi.
Ora siede dietro le sbarre, definita dal governo una grande minaccia alla conservazione della foresta.
Abbassa il volto solo quando parla dei suoi cani. “Mi mancano” mormora con le lacrime che le gonfiano gli occhi.
Per tenerla su, gli amici le fanno visita tre volte a settimana. Un visitatore che lei non vedrà durante i sei mesi da scontare è il marito, Den, un importante attivista dei diritti di proprietà della terra.
Lo scorso anno, Den si incamminò a raccogliere i funghi. Quella sera tornarono solo i cani. I vicini dissero di aver sentito dei colpi di arma da fuoco.
Dopo una anno di ricerca nella foresta i membri della comunità ritrovarono i resti di Den all’inizio di questo anno.
Dopo la perdita del marito, della casa e del diritto ad una esistenza pacifica, le si strozza la voce in gola al pensiero dei suoi cani, l’unica connessione vivente a tutto ciò per cui ha lottato ed ora perso.
Le politiche governative in favore di foreste senza persone
Il caso di Suphap fa parte di una serie di arresti per il diritto di vivere sulle terre a foresta dello stato. Il numero di abitanti delle foreste continua a scendere. La loro resistenza incontra una rappresaglia dura e continua.
Dagli anni 60, le politiche thailandesi definiscono i parchi e le foreste nazionali come aree libere dalla gente. Sin dal 2014, un piano del governo di espansione delle aree coperte a foresta del paese fino al 40% ha dislocato centinaia di abitanti dei villaggi.
A giugno 2014, Il consiglio Nazionale perla pace e l’Ordine, NCPO, emise l’ordine 64/2014 con cui mirava a cacciare chi vive sulle riserve di foresta nazionale.
Alcuni giorni dopo la giunta emise l’ordine 66 del 2014 che interpreta l’ordine precedente affermando che non colpisce i poveri che vivono su terre protette, ma prende di mira gli investitori. Il termine investitori però è definito molto male. Con l’ordine 66 chiunque ha otto ettari di terra è un investitore.
Ma alcuni abitanti sono stati condannati per aver usato metà di quei otto ettari. Nel frattempo a Krabi un personaggio importante ha ricevuto il diritto su un’isola intera dentro il parco nazionale di Hat Noppharat Thara-Mu a Ko Phi Phi. L’ordine 66 che avrebbe dovuto proteggere chi non ha terra è stato invece usato per cacciarli e condannarli. Altri come Den il marito di Suphap sono andati incontro a destini più amari.
Scompare un cittadino ribelle
la mattina del 16 aprile 2016 Suphap diede al marito Den Khamlae un sacco di riso appiccicoso prima che si incamminasse nella foresta con i suoi due cani. Quella notte i cani tornarono storpiati e sanguinanti. Non c’era alcun segno di Den.
Gli altri abitanti dissero di aver sentito di colpi di arma da fuoco. Dopo mesi di vane ricerche si trovarono i vestiti di Den a confermare a grande paura di Suphap: il marito era morto.
Den era un militante schietto per la sua comunità del Villaggio di Khok Yao. Insieme alla Rete Per la Riforma Agraria del Isaan ILRN, Den incanalò le preoccupazioni della sua comunità in proposte politiche al governo. Partecipò agli eventi che volevano accrescere la coscienza e la solidarietà per Khok Yao e i movimenti più vasti della riforma agraria in Thailandia.
Al settimo festival annuale dei Diritti Umani del Isaan del dicembre 2014, il nuovo governo militare proibì agli organizzatori dell’evento di criticare la giunta NCPO, i quali fecero di tutto per ammutolire la critica nei video da essere presentati all’evento. I partecipanti osservarono confusi il breve documentario sullo sfratto dei cittadini della foresta diventato un film muto.
Al termine Den si alzò e parlò citando i messaggi che erano stati tagliati dal film. Sebbene Den fosse un partecipante dell’evento non un organizzatore le sue parole si opponevano ai desideri dei militari.
Nonostante gli arresti, la ricollocazione forzata, gli sfratti esecutivi, Den e Suphap rimasero nella casa di Kho Yao. La coppia rifiutò di sottostare alle minacce e al trattamento duro e concedere quello che il governo domandava soprattutto loro, il silenzio.
La scomparsa di Den lo scorso anno non intimidì Suphap e farle lasciare il villaggio né fermò il movimento dei diritti della terra dei villaggi.
“A quel punto dovevo continuare a fare quello che lui faceva.” dice Suphap “anche se significava andare in prigione”.
La condanna di Suphap a sei mesi di prigione fu una sorpresa per lei e i tanti suoi sostenitori che si attendevano solo la libertà vigilata. Secondo loro i precedenti legali dicevano che la libertà vigilata sarebbe stata la sentenza più estrema.
Pun Kunrahong ricordava il giorno in cui seppe della sentenza della sua amica Suphap: “Mi cadevano le lacrime a fiotti. Ero triste. Anche se non è una mia sorella lo è stata davvero per me”.
Samniang Kongtui, un ex residente di Khok Yao aveva messo in guardia Suphap del rischio di resistere al governo. “Le dicevo di fermarsi perché andava contro la gente che ha potere, e lei rideva”.
Ma Samniang sapeva di cosa parlava, perché era già stata in prigione una volta.
Una vita di prigione normale
Samniang, già militante dei diritti della terra di Khok Yao conosce la vita nella prigione provinciale di Chayaphum dove passò tre mesi in carcere nel 2012. Come Suphap fu accusata di essersi appropriata del suolo pubblico. “Il governo mi disse che vivevo a Khok Yao illegalmente.” dice l’anziana donna. “Non credo facessi qualcosa di sbagliato. Vivevo lì da molto prima che fosse dichiarata terra forestata protetta”.
Dopo il suo rilascio Samniang non ritornò a Khok Yao. “Mi manca quel posto e le mie vacche” dice. Ma promette di non ritornarvi. “Non tornerò. Anche se le guardie forestali dovessero dirmi che ci potrei vivere ”.
Quello che teme maggiormente è il rischio di arresto. “Sono già vecchia e non rivoglio vedere quella prigione. Dovetti passare da otto porte per uscire da quella prigione, e non mi sono mai voltata a guardarla.”
Samniang dice che la vita dentro la prigione è “normale”. Ma Pramote Pholpinyo, che dirige ILRN, che conosce molti casi di prigione di residenti di Khok Yao, nota che “naturalmente nessuno vuole finire lì. Non stanno affatto bene”
Pr militanti come Samniang, il rischio delle lotte per i diritti del suolo è troppo grande. Dopo dieci anni di condivisione con ILRN decise di smettere di lottare per una causa che giudica persa.
“Non ho mai considerato di avere un potere. Non immagino come sarebbe” dice la donna. “Non credo che abbiamo alcun potere nel combatterli.”
Ora vive una vita tranquilla allevando pesce con il marito.
Soluzioni dal passato: i titoli di proprietà della terra di comunità
Nell’ottobre 2009 il governo approvò il decreto del governo dei titoli di proprietà della terra di comunità che garantisce ai poveri senza erra thailandesi il titolo della terra della comunità. Secondo questa legge una comunità di membri senza titoli legali di proprietà possono chiedere il titolo di proprietà della terra di comunità e vivere su suoli di proprietà dello stato.
Per ottenere il titolo una comunità deve fare una proposta di gestione della terra con l’aiuto di rappresentanti provinciali. Una volta approvata la proposta, la comunità non possederà la terra, ma sarà rinnovata periodicamente come si fa con un fitto.
Ma alle agenzie del governo deputate non è chiesto di riconoscere i titoli garantiti dal governo. Per affrontare il problema il governo propose un memorandum di intenti, i cui firmatari dicono di riconoscere i titoli emessi dal governo centrale.
A gennaio 2012 il governo aveva approvato 55 dei 435 domande di titolo di terra di comunità. Ma solo due ebbero il riconoscimento dalle agenzie di governo locale responsabili idi quella terra.
Dal golpe del 2014 non ci sono stati progressi nella politica nazionale per poter accomodare i residenti delle foreste. ILRN impara ancora a muoversi nel clima politico dopo il 2014 attenendosi alla protezione dei membri e a mantenere il morale.
Proprio mantenere alto il morale del movimento è stato alquanto difficoltoso. “I militari fecero le loro ricerche sin dal golpe precedente. Questa volta hanno fatto di tutto per avere tutto sotto controllo a cominciare dal livello politico” dice Pramote.
Le condizioni di prigionia di Suphap riflettono questo clima politico. Dalla sua sedia nella stanza delle visite, conferma che la donna in blu, che siede alle sue spalle, le è stata assegnata per tenerla d’occhio. In risposta alla domanda su quale consiglio ha avuto dalle donne in simili situazioni lei dice che alcune cose sono “difficili da mettere in parole”
“Non c’è mai stata una situazione col monitoraggio in questo modo” dice Pramote. “ma talvolta i visitatori sono stati interrogati, è stato sequestrato loro il telefono o preso il numero di targa”.
Oltr ad aver cura di Suphap ILRN lavora con gli abitanti affinché presentassero le loro strategie di gestione della terra posseduta attraverso un titolo di terra di comunità. Nonostante l’inazione del governo sui titoli ILRN spera che alla fine avrà successo.
Le notifiche di sfratto sono affisse sulla porta di ogni casa a Kho Yao. Alcuni sono stati ricollocati e tornano per lavorare la terra durante il giorno se non riescono a trovar lavoro altrove. Prima vivevano 33 famiglie Khok Yao. Ora il numero è sceso a 16.
Rimangono ancora gli altri. Pun Kuntahong, suo marito e il nipote sono tra le sedici famiglie che ancora vivono a Khok Yao. Lei ed il marito hanno sopportato le ricollocazioni e gli arresti in tanti anni di lotta.
“Avevo paura prima” dice la donna “Non ho più paura. Moriremo su questa terra. Se vengono a prenderci, ci lasceremo uccidere. Non ci importa, mio marito ed io moriremo su questa terra”.
Mentre Suphap è in prigione e tante famiglie se ne vanno, il villaggio è diventato solitario. Pun raramente vede qualche vecchio vicino che ritorna al villaggio per lavorare di giorno. Le case che erano occupate ora sono vuote, circondate dai bagni che stanno intorno.
“Non siamo sicuri di quello che accadrà a questa comunità” dice Pun.
Eppure resta la fede. “Crediamo nella gente” dice Pramote. “Guardando alla nostra storia passata è sempreil movimento di persone che causano il cambiamento”
Laura Isaza, Isaan Record