Ora a Cox’s Bazar era sola nell’oceano di persone. “Non ho una casa, vivo così nelle strade” diceva con il suo piccolo di quattro mesi tra le braccia.
Erano in attesa non della distribuzione degli aiuti da parte delle agenzie internazionali – secondo molti Rohingya non avevano ricevuto nulla – ma per i tanti camion gestiti da persone del Bangladesh che lanciavano qualcosa d a mangiare e scarpe ai rifugiati Rohingya in attesa con le braccia protese. Per le strade le famiglie erano allineate sotto manti di plastica. Mucchi di robe da vestire sul suolo: i nuovi arrivi avevano bisogno di alimenti, acque, un rifugio, non magliette.
Ora , a quasi sei settimane dall’inizio della crisi, le condizioni nei campi sono ancora descritti come caotici mentre migliaia di persone esauste e traumatizzate continuano ad arrivare ogni giorno, e le agenzie degli aiuti si arrabattano per gestire gli afflussi di gente.
Mentre i rappresentanti dell’ONU e le ONG internazionali citano il bisogno urgente di ingrandire l’impegno, chi sta sul posto dice che la risposta umanitaria è stata ostruita dai problemi di finanziamento e da ostacoli burocratici che hanno lasciato le agenzie senza le approvazioni per lavorare e i rifornimenti vitali bloccati da qualche parte.
Ad una conferenza stampa a Cox’s Bazar il coordinatore degli aiuti dell’ONU Mark Lowcockha detto che le agenzie hanno consegnato 9 milioni di razioni alimentari in sei settimane e vaccinato oltre 100 mila bambini, eppure le condizioni continuavano ad essere terribili.
Chi lavora nell’aiuto teme un imminente scoppio di colera, endemico nel Bangladesh.
“Abbiamo bisogno di fare molto di più per ingrandire l’intervento oltre quello che abbiamo fatto finora” ha detto Lowcock.
Crisi umanitaria senza precedenti
Questa è una crisi umanitaria che è accaduta più velocemente, su una scala maggiore di quanto possa ricordare chi lavora nell’aiuto umanitario
Dopo il 25 agosto, quando i militanti Rohingya attaccarono i posti di polizia nella parte settentrionale del Rakhine birmano, centinaia di migliaia di Rohingya attraversarono la frontiera nel giro di qualche giorno. Da allora i Rohingya hanno continuato a scappare quello che Amnesty International definisce la “campagna da terra bruciata” de militari birmani, che sono accusati di incendi di massa, omicidi indiscriminati e stupri. Essi insistono nel dire che i militanti Rohingya invitano all’esodo come un metodo per attrarre simpatia per la popolazione.
Oltre 500 mila Rohingya sono ora in Bangladesh che si aggiungono ad una popolazione Rohingya stimata di oltre 300 mila.
“Questa crisi è stata uno dei più veloci spostamenti di persone che possa ricordare” ha detto Paolo Lubrano, gestore umanitario per la Oxfam per l’Asia. “E’ un’ondata immediata, un’iniezione di centinaia di migliaia di persone in pochissimi giorni ed in un’area relativamente povera”
“A giugno lavoravo nel Sudan Meridionale dove è arrivato in due o tre anni un milione di persone” ha detto Kyle Degraw, gestore della comunicazione umanitaria e dell’emergenza globale di Save The Children. “Si sente che è una crisi unica proprio perché ci sono così tante persone in un così breve periodo di tempo.”
Una vasta parte di nuovi arrivi sono bambini, molti dei quali erano già fortemente malnutriti prima di scappare.
“La risposta umanitaria è stata inadeguata ma questa crisi è per molti versi senza precedenti, particolarmente per la scala del movimento dei rifugiati in un periodo di tempo breve” dice Matt Wells, di Amnesty International. “I Rohingya sono anche estremamente vulnerabili a causa della sistematica discriminazione in Birmania che ha da tempo colpito il loro accesso agli alimenti e alla salute, e per il fatto che molti rifugiati non mangiano da alcuni giorni e scappano dagli attacchi dell’esercito birmano”
La logistica in crisi
Le condizioni a Cox’s Bazar, una regione collinare a rischio di smottamenti e quasi al centro della intera stagione dei cicloni, presentano un insieme unico di problematiche per la distribuzione degli aiuti. Lo scorso mese, un camion che portava rifornimenti di aiuto è finito nelle risaie uccidendo nove persone della Croce Rossa.
Non esiste un solo punto di entrata nel Bangladesh per i rifugiati Rohingya che continuano ad arrivare via terra e con le barche. I gruppi si diffondono un’area enorme. “Uno degli elementi è che la maggioranza delle persone giunte vive in luoghi di difficile accesso e stiamo uscendo dalla stagione delle piogge, quindi la logistica è alquanto messa male” dice Lubrano.
L’esercito del Bangladesh pensa di spostare gli oltre 800 mila Rohingya in un super campo di 1200 ettari attualmente in costruzione. Il governo ha firmato un accordo con la Birmania pr rimpatriare quelli che sono fuggiti ma ci si attende ben poco.
“Quello che credo sia importante è di far davvero crescere la coscienza nella comunità internazionale della grandezza di questa crisi” ha detto Lubrano. “Non abbiamo alcuna idea di quanto i rifugiati resteranno in Bangladesh. Non abbiamo alcuna idea di come si potrà essere questa risposta nel lungo periodo”.
Ritardato l’accesso delle ONG
Per anni il Bangladesh ha controllato strettamente l’accesso umanitario ai Rohingya che arrivano ad ondate sin dagli anni 70. Non sono ufficialmente riconosciuti come rifugiati e le agenzie che hanno il compito di guidare la risposta umanitaria è l’ Organizzazione Internazionale per la Migrazione.
Sin dall’inizio dell’ultima crisi moltissime agenzie hanno chiesto al governo il permesso di aiutare nei campi ma le autorizzazioni sono state rilasciate lentamente tanto che alcune organizzazioni non hanno potuto cominciare a lavorare. Medicine e materiali dei rifugi sono rimasti bloccati e il personale senza lavoro.
Dominic Bowen, che guida il gruppo di risposta per Medical Teams International, ha detto che poiché erano stati costretti a lavorare con accodi verbali col governo avrebbero potuti avere problemi ai posti di blocco della polizia che chiedevano il permesso di lavoro.
“Il fattore che più rallenta è quello di cui parlano tutti. Seiete registrati? Potete distribuire? E quello impedisce alle ONG di ingrandire. Scoraggia i nostri uffici finanziari dall’andare diretti a cercare direttamente i fondi” a detto Dominic Bowen.
Uno dei partner del Medical Teams International aveva denaro e rifugi per 4000 famiglie ma non poteva distribuirli senza il permesso ufficiale che tardava ad arrivare. “Se ne stanno letteralmente con le mani in mano”
I ritardi hanno colpito di più le agenzie minori ma anche quelle grandi attendono ancora l’approvazione, ha detto Lubrano dell’Oxfam che è riuscita ad avere l’accesso all’inizio di settembre con le conseguenze problematiche di finanziamenti e capacità. “I visti per lavorare in Bangladesh sono di un mese e c’è quel problema di rinnovo che non aiuta nella consistenza della risposta”
Qualche giorno fa c’è stato un incontro tra Gruppo di coordinamento intersettoriale che coordina le agenzie dell’ONU e l’Ufficio per le ONG del Bangladesh dove si pone il problema delle autorizzazioni. “L’ufficio si è impegnato ad accelerare le approvazioni per varie agenzie” ha detto Lubrano.
“Storicamente, il numero di agenti umanitari registrati in Bangladesh è sempre limitato” ha detto Wells di Amnesty. “Questo fatto deve essere ingrandito data l’enormità di quello a cui il Bangladesh e la comunità umanitaria rispondono. I paesi donatori devono anche aumentare il loro sostegno e impegno. Altrimenti, le avvisaglie sono lì che questa crisi umanitaria continuerà a peggiorare con un impatto devastante sulla gente che ha passato così tante cose; i dottori mi dicevano giorni fa che assistono ad un picco di malattie gravi”
Lo spettro di uno scoppio di colera si fa avvicina ai campi dove il rifornimento di acqua potabile è scarsa e tante famiglie prendono acque dalle buche fangose. L’ONU ha inviato 900 mila vaccini per il colera che giungeranno la prossima settimana, ha detto Jean-Jacques Simon del UNICEF, ma si richiedono altre dosi.
“Il maggior bisogno ora è di certo l’acqua e la servizi igienici ed anche assistenza sanitaria perché si è visto nelle settimane passate a molti casi di diarrea, e speriamo solo che non diventerà colera. E’ la più grande paura nei campi ora”.
Poppy MacPherson, DevEx