La speranza che l’Indonesia un giorno voglia guardare in faccia il proprio passato è ostacolata da tanti personaggi politici ancora attivi
Bedjo Untung mantiene una lista di 122 luoghi nell’isola di Giava lunga otto pagine. Ci sono i nomi di piccoli luoghi sperduti come Hutan Barisan e Bukit Wonosegoro.
Sembrano privi di nota, ma sono i luoghi di fosse comuni indonesiane.
Questa settimana quella lista si è accresciuta. Untung, che guida il gruppo più grande del paese di sopravvissuti alla purga dei presunti comunisti nel 1965, dice di aver presentato altri dieci nomi alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani indonesiana portando ad 14500 il numero di corpi che la sua organizzazione YPKP 1965, crede siano dispersi lungo il paese, risultato di una delle più grandi atrocità della fine del XX secolo, un periodo che ha preso la vita ad almeno 500 mila persone.
“Non c’è solo Giava. Cene saranno di più di fosse comuni. Le vittime sono disperse dvunque. E’ solo una questione di tempo”
La scorsa settimana la ricerca di Bedjo ha ricevuto una spinta quando il governo USA ha desecretato almeno 30 mila pagine di documenti provenienti dalla ambasciata USA a Giacarta che prendono il periodo della peggiore delle stragi. Per molti questa valanga di carte rappresenta una possibilità per spingere un governo riluttante a confrontarsi con la propria sanguinosa storia moderna.
“Se l’America vuole vedere la verità, forse seguirà l’Indonesia” dice Badjo.
Sarà complicato. I comunisti sono un po’ lo spauracchio da queste parti. Sono accusati di aver tentato il golpe nel 1965 che portò alla caduta di Sukarno e alla salita successiva di Suharto.
I documenti desecretatati giungono quando l’Indonesia vede un risorgere di alcune correnti settarie ed autoritarie che erano responsabili delle esecuzioni, degli stupri, del lavoro forzato e delle detenzioni che prendono gli anni 60 e 70.
Ad Aprile il governatore riformista Basuki Tjahaja Purnama, discendente cinese e cristiano, fu sconfitto alle elezioni in parte per le manifestazioni di massa di musulmani estremisti. A maggio fu incarcerato con l’accusa debole di aver insultato il Corano durante la sua campagna elettorale.
A settembre, vigilanti islamici circondarono la sede di una ONG dei diritti umani, minacciandola di assaltarla a Giacarta, perché sospettavano di proteggere dei comunisti.
Il gruppo, Lembaga Bantuan Hukum, che offre assistenza legale gratis alle vittime delle violazioni di diritti umani, presentava un evento in cui c’erano i sopravvissuti di quelle stragi.
“L’Indonesia ha bisogno di poter discutere di questo” dice Galuh Wandita presidente di Asia Justice and Rights. “Se solo discuti di quella purga sei definito comunista”.
L’ultimo risorgere di isteria anticomunista è giunta forse a causa della pressione estera e nazionale mirata a spingere Giacarta verso un’indagine ufficiale delle atrocità sulle fosse comuni che si estendono tra Sumatra, Giava, Bali e le Sulawesi.
La commissione nazionale dei diritti umani nel 2012 concluse l’indagine durata quattro anni sulle purghe. Il rapporto finale fu diretto concludendo che lo stato in modo esplicito cercò di “sterminare” i membri del partito comunista indonesiano, PKI.
Non hanno dato grandi risultati né la pubblicazione del documentario di Joshua Oppenheimer The Act of Killing, né il simposio dello scorso anno indetto dal presidente Joko Widodo.
Chi ha qualcosa da perder dalle indagini ufficiali sono nella posizione di poterle fermare.
Tre generali dell’era Suharto sono nel governo di Widodo, ed il suo ministro della sicurezza, Wiranto, è ricercato dall’ONU per crimini di guerra.
“Non c’è la volontà politica di indagare” dice Reza Muharam del movimento IPT1965. “Un passo avanti e due indietro”.
Nel 1965 l’Indonesia aveva il terzo partito comunista più forte al mondo dopo quello cinese e russo. Il presidente del momento Sukarno era un forte socialista ed antiamericano. La violenza iniziò dopo che i comunisti furono accusati di uccidere i sei maggiori generali in un tentativo di golpe.
I documenti appena desecretati aggiungono altre prove che i militari erano dietro una purga sistematica di presunti comunisti e ricevettero gli aiuti da parte di gruppi religiosi.
I documenti, desecretati il 17 ottobre scorso e costituiti da cablogrammi e rapporti compromettenti, mostrano che gli americani furono compiaciuti quando l’Indonesia pose la legge marziale.
I cablogrammi in qualche modo sottolineano perché dopo 50 anni l’elite indonesiana possa odiare di permettere che giungano alla luce i dettagli di alcuni omicidi sistematici.
Un cablogramma “La caccia alle streghe del PKI a Giava Centrale” dscrive come i commando cercarono l’aiuto dei gruppi religiosi locali, cattolici e musulmani, per “eradicare elementi del PKI” nella provincia di Giava centrale chiamata Kudus. Il comandante del momento era il generale Sarwo Edhie Wibowo, suocero del precedente presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono.
I militanti dicono che le atrocità vanno ben oltre le fosse comuni. Milioni di familiari furono gettati via dalle scuole, dal lavoro nelle strutture pubbliche o presi a scorno dai vicini. Molti di più come Untung che ora ha 70 anni, furono incarcerati per anni semplicemente perché faceva parte di un sindacato. Restò in carcere per molti anni e fu torturato regolarmente durante il suo primo ano di carcere.
“E’ un mio dovere particolare cercare la compensazione per le proprietà che mi furono confiscate dal governo e dal sostentamento che perdemmo” dice Untang.
Altri come Aris Irianto non furono incarcerati ma sono lo stesso perseguitati. Un uomo esile di 63 anni che muove la sua pipa più che fumarla, Irianto ricorda che portava due volte alla settimana da mangiare a suo padre. “Mia madre ed io andavano a fargli visita al campo, ma quando sentivo le guardie picchiare alcuni uomini mi giravo afferrandomi alla gonna di mia madre”
“Non li ho mai visti. Li sentivo. Facevano così per fare paura alle famiglie. Non lo dimenticherò mai” dice Arianto.
I militanti sono divisi sul futuro, se ci sono spazi per la speranza. Alcuni dicono che i giovani oggi hanno meno ostacoli sulle purghe e meno fascino dalla propaganda del tempo.
Untung non è sicuro. Dice che si deve fare pressione sugli USA e sugli altri paesi per incoraggiare l’Indonesia a guardare in faccia il proprio passato.
Un giovedì si preparava ad unirsi a circa una quarantina di altri membri del suo gruppo per una protesta piccola e pacifica fuori del palazzo presidenziale a Giacarta. Lo fanno da 550 settimane.
“Oggi è la 551^ settimana. La strada per la riconciliazione è ancora lunga e difficile”
Jeffrey Hutton, SCMP