I militanti politici malay hanno osservato la crisi politica spagnola con curiosità chiedendosi come la popolazione della Catalogna abbia sviluppato la loro piattaforma politica, come abbia rafforzato la base del movimento ed infine attraverso quali metodi democratici sfidato la nozione del governo spagnolo di sovranità nazionale indivisa.
Una simile piattaforma è fortemente desiderabile per molti attivisti thai, perché permetterebbe loro di capire meglio non solo come raccogliere meglio il sentimento locale, ma anche come trasformare le loro richieste contro lo stato centralizzato thai in una propria piattaforma politica potente.
Oltre 85% della popolazione nelle province dell’insorgenza di Yala, Narathiwat e Pattani si identifica come Malay. Eppure è sempre stato un tabù qualunque discussione di separatismo.
Durante i recenti negoziati con MARA Patani, gruppo ombrello di organizzazioni separatiste storiche, Bangkok disse chiaramente dall’inizio che l’indipendenza non sarebbe stata in discussione.
Mentre i militanti locali come PrMAS, Federazione dei giovani e studenti di Patani non chiedono specificamente l’indipendenza, il fatto che promuovano l’idea che il “diritto alla autodeterminazione” appartiene alla gente del posto è sufficiente ad irretire le autorità centrali.
Le autorità Thai vedono l’autodeterminazione come il passaggio fondamentale verso la creazione di uno stato separato e non tollereranno un tale pubblico dibattito. Di conseguenza ogni discussione su argomenti legati ai diritti di autodeterminazione sono necessariamente discreti.
L’atmosfera politica nei tre anni di governo militare non hanno favorito la discussione né di argomenti politici sensibili, né tanto meno sull’autonomia della patria malay conosciuta come Patani.
Non si vuol dire che sarebbero riusciti a discuterne di più con un governo eletto quando si tratta di reimmaginare il costrutto dello stato nazione thailandese e lo spazio Malay al suo interno. Infatti la società thailandese è stata estremamente ostile verso chi mette in dubbio la nazionalità.
Nel dicembre 2012 PerMAD portò quasi 8000 persone a manifestare nel campus universitario di Pattani dove uno dei suoi leader Arfan Wattana fece un sondaggio informale chiedendo se pensassero che lo stato thai dovesse portare avanti un referendum per pesare statisticamente il sentimento popolare nella regione.
Temendo vendette ufficiali possibili, Arfan chiarì che il suo sondaggio non chiedeva ai partecipanti se desiderassero l’indipendenza da Bangkok; piuttosto disse di chiedere solo se le persone lì presenti pensassero al referendum come un modo possibile di misurare il sentimento vasto della regione su questioni innominate.
La stragrande maggioranza dei partecipanti in gran parte Malay Musulmani disse che erano favorevoli ad un referendum di stato. Persino con l’estrema cautela Arfan disse che lui ed alri del PerMAS erano stati in seguito pressati dalle autorità per essersi spinti in territori democratici sconosciuti.
“Fecero pressione in facoltà chiedendo loro di spingermi a non fare attività politica” disse Arfan.
Tre mesi dopo, a febbraio 2013, i militanti malay trovarono un momento favorevole quando il primo ministro del tempo Yingluck Shinawatra lanciò ufficialmente un processo di dialogo per aprire la strada a negoziati formali per risolvere il conflitto lunghissimo tra l’insorgenza malay musulmana e lo stato thailandese.
Mentre quell’iniziativa non ebbe risultati significativi, i militanti politici della regione trassero vantaggio del clima politico più aperto per avanzare le loro proposte. Divenne di conseguenza uno slogan comune il diritto alla autodeterminazione, RAS in breve.
Il governo thai vede comunque questa richiesta come un pretesto velato di portare avanti l’idea di uno stato separato. Per contrastare queste proposte, le autorità thai si sono rivolte ai media sociali per condurre quelle che chiamano Operazioni di Informazione, OdI per i militanti.
Questa campagna OdI ha approfondito la sfiducia tra la società civile locale e le agenzie della sicurezza. Importanti avvocati dei diritti umani come Angkhana Neelaphaijit, che è commissario della Commissione Nazionale per i Diritti Umani, NHRC, e Sunai Phasuk di HRW hanno esplicitamente preso di mira l’offensiva della propaganda.
Angkhana, che è stata senatrice musulmana conosciuta per il suo modo franco di parlare sulla cultura dell’impunità tra le forze di sicurezza, è un membro del subcomitato del NHRC per il Profondo Meridione. Sunai da tempo segue gli abusi dei diritti umani delle forze di sicurezza e dell’insorgenza nella regione.
Sebbene non sia stata approvata ufficialmente dal governo questa campagna di OdI, fatta di vignette fatte proprio male, spesso coinvolge la descrizione di chi difende i diritti umani come creature assetate di guadagni finanziari dal conflitto.
Angkhana ha denunciato due volte ufficialmente alla polizia locale per vessazioni dai media sociali sebbene non siano state accusate o identificate persone in particolare.
“E’ il regno dei discorsi di odio che potrebbero portare facilmente a crimini di odio” ha detto Angkhana.
Non è cambiato nulla finché le agenzie dell’ONU non hanno posto la questione al ministro della giustizia sui casi di vessazione di militanti politici e di diritti umani nel paese. Da quel momento quasi tutti quei post sono stati come per magia tolti, ha detto Angkhana.
Quei critici anonimi si lasciarono sfuggire l’enorme budget da 220 miliardi di baht, 6.5 miliardi di euro allocati al ministero della difesa per il 2018, 7.7% della spesa totale del governo ed un incremento del quasi 9% su base annua.
Non si conosce ancora pubblicamente una singola voce del budget della difesa, ma la parte maggiore sarà destinata verso le operazioni nel profondo meridione per affrontare l’insorgenza contro lo stato che ora entra nel suo XIV anno disastroso.
Quasi 7000 persone sono morte di violenza legata all’insorgenza senza che si riesca a vedere né un referendum sulla autodeterminazione né un’altra soluzione
Don Pathan, Atimes.com