Quando si parla di violazioni di diritti umani si assiste all’ assordante silenzio del ASEAN.
E’ un silenzio assordante che si fa più pesante quando la maggioranza dei cittadini della regione vivono una forma di oppressione dai loro proprio governi.
Il crescente autoritarismo menoma le varie forme di libertà di cui si dovrebbe godere in modo universale.
Per nominarne solo alcune c’è stata la macellazione delle personalità della droga nelle Filippine, in Birmania i Rohingya musulmani sono oggetto di attacchi sistematici che hanno costretto oltre 600 mila persone a fuggire oltre i confini, e una repressione del governo in Cambogia ha soppresso la libera stampa e l’opposizione.
In Vietnam c’è una repressione crescente dei dissidenti e di chi difende i diritti umani mentre continua il governo militare thailandese.
ASEAN. Fu fondata nel 967 per promuovere la pace, la stabilità, la sicurezza e la prosperità ed è cresciuta da cinque membri a dieci membri. Sarebbe potuta diventare l’influenza perfetta sgli standard dei diritti umani tra i suoi stati membri.
Phelim Kine, però, vicedirettore per l’Asia di HRW, sostiene che l’associazione non è riuscita affatto ad usare la propria influenza. Non è mai all’altezza di assicurare che i paesi seguano i riferimenti quando si tratta di proteggere i diritti dei propri cittadini.
“I diritti umani sono stati i figli orfani della cartella politica del ASEAN” ha detto a Rappler.
Forse il passo maggiore è stata l’adozione della Dichiarazione dei Diritti Umani del ASEAN del 2012. Si cercava di riaffermare l’obbligo dei paesi nei confronti della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani tra i tanti trattati dell’ONU.
Ma secondo Kine tutto quello che ASEAN ha fatto in questo campo è un “facilissimo gioco di parole”. Questo è chiaro nella mancanza di una politica o di azioni “significative e sostanziali” nei suoi decenni di storia.
La non interferenza che tiene insieme l’organizzazione ASEAN
L’inazione del ASEAN è per lo più evidente nei modi in cui ha gestito la attuale violenza contro i Rohingya Musulmani in Birmania. L’associazione è stata pesantemente criticata per non fare abbastanza nel far rispondere le forze di sicurezza del governo ed altri gruppi interni responsabili per il macello di migliaia di persone della minoranza musulmana.
A settembre scorso, la dichiarazione della Presidenza del ASEAN rilasciata sulla situazione umanitaria nello stato birmano Rakhine non riuscì a citare i Rohingya. Ma la Malesia disse che era un “errore di interpretazione della realtà”.
“La crisi Rohingya è tra le peggiori catastrofi umanitarie in Asia da molti anni e richiede un’azione globale concertata” dice Brad Adams di HRW. “I capi di stato di tutto il mondo non devono tornare a casa d questi summit senza accordarsi su sanzioni mirate per far pressione sulla Birmania per farle porre fine agli abusi e permettere l’entrata di osservatori neutrali e agli aiuti”.
Allora perché sembra come se i paesi membri del ASEAN stiano chiudendo un occhio sulle accuse di abusi?
Secondo Kine di HRW, il silenzio è principalmente radicato nel cosiddetto principio di non interferenza.
E’ uno dei sei fondamentali principi adottato con il Trattato di Amicizia e Cooperazione del 1976:
Mutuo rispetto per l’indipendenza, sovranità, uguaglianza, integrità territoriale e identità nazionale di tutte le nazioni; Diritto di ogni stato a condurre la propria esistenza nazionale libra da interferenze esterne, sovversioni o coercizioni;non interferenza negli affari interni degli altri stati;
sistemazione delle differenze e dispute in modo pacifico; rinuncia all’uso della forza e cooperazione efficace tra gli stati membri.
Apparentemente potrebbe sembrare che sia un modo per migliorare l’indipendenza di ciascun paese se si considera che i paesi del ASEAN condividono una storia di paese coloniale.
La non interferenza però, secondo Kine, può servire come un codice di fatto del silenzio particolarmente sulla questione dei diritti umani. Mentre questo conduce alla coesione interna, lo fa spese dei diritti umani e delle libertà democratiche di tanta gente.
“ASEAN in questo momento particolare della storia ha così gravi problemi di diritti umani da aver disperatamente bisogno di un’azione regionale” dice Kine. “Ma il fatto è che ASEAN è impastoiata da questa sua clausola di non interferenza e quindi non c’è un’azione significativa verso i diritti umani”
Nel frattempo ad aprile scorso, persino Duterte sottolineò il principio di non interferenza che governa l’associazione.
“Le relazioni di dialogo possono essere più produttive, costruttive se si osserva il principio apprezzato di non interferenza negli affari interni degli stati membri del ASEAN” disse allora.
Molti hanno richiesto la rimozione di questa clausola per dare modo di gestire efficacemente i diritti umani nella regione. Ci si domanda della sua necessità per il bisogno di affrontare varie questioni critiche per l’organizzazione, dalla questione Rohingya alla disputa nel Mare Cinese Meridionale.
Il bisogno di maggior forza
Persino l’esistenza della Commissione Intergovernativa del ASEAN sui diritti umani, AICHR, creatasi nel 2009, è per puro effetto visuale.
“Non assolve ad alcuna funzione” dice Kine. “E’ usata per pararsi dalle critiche internazionali sulla storia di diritti umani del ASEAN”.
AICHR è stata pesantemente sotto accusa perché non ha potere e non ha strumenti da quasi otto anni da quando fu creata. Opera essenzialmente attraverso consultazione e consenso tra i dieci rappresentanti dei paesi membri che godono anche del poter di veto. Questo rende difficile l’emissione di rapporti da parte della commissione sulle presunte violazioni dei paesi membri.
Inoltre non esistono penalità esistenti da poter imporre sui paesi che si scoprano aver tollerato violazioni dei diritti. Questo è vero persino se le violazioni vanno direttamente contro la dichiarazioni dei diritti umani del ASEAN.
Diversamente dalla UE e dall’ONU che indagano ed, all’occasione, danno sanzioni su chi non agisce sulla propria storia di diritti umani, i paesi membri non sono essenzialmente controllati.
Questa è essenzialmente la ragione per cui molti di loro hanno gravi questioni di diritti umani, secondo Kine di HRW.
“C’è una politica di fatto di silenzio complice contro tali abusi” dice Kine “Non si tenta di affrontar quelle questioni e spinger il governo a migliorare il proprio comportamento.”
L’ assordante silenzio del AEAN quando si parla di diritti umani è scoraggiante, se si considera il suo potere nella regione. Sarebbe potuto essere il perfetto difensore, la voce centrale nella protezione dei diritti umani di tutta la sua popolazione.
Perché sia più efficace e abbia più forza contro gli abusi di diritti umani, Kine dice che gli stessi stati membri hanno bisogno di avere volontà politica per essere meno violenti e più responsabili.
Per iniziare i paesi membri non dovrebbero tollerare la pena di morte. Non dovrebbero, tra i tanti, limitare la libertà di espressione ed associazione. Si dovrebbe muoversi verso un serio apprezzamento e rispetto dei diritti umani universali.
Questi standard, simili a quelli adottati dall’ONU e alla UE, dovrebbero essere imperativi per i paesi che vogliono mantenere l’appartenenza al ASEAN. L’essere espulsi dall’associazione potrebbe comportare di perdere significativi e sostanziali benefici economici e finanziari.
“ASEAN attualmente ha la forza per spingere i membri a fare la cosa giusta sui diritti umani” dice Kine “E’ che non c’è mai stato il consenso a far così perché così tanti dei suoi membri perderanno perché molti di loro sono famosi nell’abuso dei diritti”
Siate la resistenza
Per la situazione attuale, non può essere raggiungibile nel prossimo futuro l’obiettivo della difesa e protezione dei diritti umani come punto fondamentale nel ASEAN.
La mancanza di una posizione più aggressiva contro la violazione dei diritti umani nell’associazione serve sfortunatamente all’interesse dei paesi membri che hanno una storia brutta di violazioni.
Ci si aspetta che non possa prosperare una discussione o che possa aversi un cambio nel breve periodo poiché questi paesi “preferiscono ASEAN così come è perché dà perfetta impunità agli abusi nel passato e presente”.
“Poiché i governi autoritari e violenti che costituiscono gran parte del ASEAN non vedono vantaggi nel difendere o essere legati agli standard dei diritti umani, non esiste la possibilità di una forzatura”
Ma la cosa migliore è riconoscere che sono tempi duri non solo nel Sudestasiatico ma in tutto il mondo.
La lotta è difficile e mentre non è certo una causa che vince, si deve ricordare che denunciare gli abusi non è una causa persa.
Secondo Kine, difendere la protezione dei diritti in questi periodi duri ha i suoi “momenti alti e bassi”.
Mentre ASEAN e le altre organizzazioni regionali possono possono avere influenza almeno per tenere alto il problema quando si parla di diritti umani, l’inazione non deve fermare i cittadini dal continuare la propria lotta.
“Richiede di radunare le forze dentro il paese dove questi abusi hanno luogo per controbattere” dice Kine “Noi siamo la resistenza. Società civile, attivisti ed i media che perseguono uno sforzo basato sui fatti per documentare quello che accade nei loro paesi sono la resistenza. I fatti sono la resistenza”
Jodesz Gavilan – Rappler.com