E così si è dimostrato nell’incontro molto atteso tra il presidente Trump e il presidente Duterte.
Nel passato anno e mezzo, sono state uccise tantissime persone, un numero difficile da calcolare esattamente, molti dei quali bambini, nella guerra alla droga del presidente Duterte, e tanti con una fragilissima prova di legame al commercio della droga.
Sono stati uccisi da ufficiali di polizia, presumibilmente in autodifesa, ma la quasi universale similarità dei resoconti di polizia di questi omicidi suggerisce che molti siano esecuzioni extragiudiziali.
Sono stati uccisi da sicari mascherati, alcuni dei quali legati alla polizia, o forse poliziotti senza uniformi. E’ una catastrofe di diritti umani, ma una che il presidente Duterte ha difeso come necessaria per liberare le Filippine dal problema della tossicodipendenza.
Dopo qualche critica soffusa degli omicidi l’allora presidente Obama ricevette una reprimenda da Duterte che lo apostrofò col memorabile “figlio di puttana”.
L’irascibile presidente ha detto anche di essere disposto a fare lo stesso se fosse Trump a porre la questione. Non deve preoccuparsi.
Da quello che traspare dal suo portavoce l’argomento dei diritti umani non è stato affatto sollevato da Trump, e fu citato nella loro dichiarazione congiunta in un modo tanto vago da non avere alcun senso-
La stessa cosa è accaduta in Cina e Vietnam, due paesi dove i dissidenti sono sottoposti di regola a violenze, ad arresti e lunghe sentenze di carcere.
Un blogger vietnamita, Nguyen Ngoc Nhu Quynh, conosciuta come Madre Fungo, ricevette a marzo un premio al coraggio proprio dalla First Lady Melania Trump.
Tre mesi dopo un tribunale vietnamita la condannò a dieci anni di prigione “per propaganda contro lo stato”. Non ci sono prove che il presidente Trump l’abbia neanche citata ai suoi ospitanti vietnamiti.
A Manila Trump ha fatto una foto sorridente e col pollice in alto insieme al premier Cambogiano Hun Sen che non solo arresta politici e smantella il partito di opposizione ma ha anche espulso il National Democratici Institute finanziato dagli USA, ed ha accusato gli USA di guidar un golpe contro il suo governo.
L’ambasciatore USA in Cambogia ha definito l’accusa “assurda” e senza un pezzo di prova seria o credibile”. Non è chiaro se allo scatto della foto col premier Cambogiano Trump lo sapesse o se ne importasse.
In tutto il sudestasiatico, dalla Thailandia che vive il suo quarto anno di governo militare e dove i critici della monarchia sono condannati a decenni di carcere, alla Malesia dove chi parla dello scandalo enorme di corruzione del 1MDB rischia l’arresto secondo un arsenale di leggi repressive, democrazia e diritti umani sono respinte indietro in un modo che non si vedeva dagli anni 70.
Eppure la preoccupazione principale di Trump è il commercio, non i valori. Nelle sue dichiarazioni ai giornalisti nel lasciar Manila, il presidente parlò di acquisti di 12 miliardi di dollari di aeroplani, e del successo nel riparare le relazioni con le Filippine che ha descritto “il più prezioso pezzo immobiliare da un punto di vista militare”.
Un rappresentante americano a cui fu chiesta la ragione per cui Trump non parlò dei diritti umani, ha chiesto perché gli altri paesi della regione, come il Giappone, non lo abbiano fatto. Ma il Giappone ha sempre evitato ogni manifestazione di approccio contrario nella sua politica estera preferendo un linguaggio blando e gli attributi lubrificanti dell’aiuto generoso internazionale.
Sono gli USA dalla fine della Guerra Fredda a portare avanti la bandiera della democrazia e dei diritti umani nella regione, non solo ricordando ai governi i loro obblighi secondo la Carta dell’ONU, ma finanziando, addestrando incoraggiando organizzazioni non governative e politici di opposizione che cercavano di far rispondere quei governi delle loro azioni.
“Proteggere i diritti umani nella regione ha sempre significato difenderli contro i capi di governo preparati a calpestare i politici di opposizione, ONG e attivisti di comunità che si oppongono alla accumulazione di potere assoluto da parte dei loro capi, e contro i ricchi corrotti che li accompagnano” dice Phil Robertson di HRW Asia. “L’abdicazione dei diritti umani da parte di Trump era al centro di questo summit del ASEAN lasciando un grande vuoto in quella difesa”.
Non avendolo fatto gli USA, era diventato compito del premier Canadese Justin Trudeau porre la questione degli omicidi extragiudiziali nelle Filippine e l’espulsione di massa dei Rohingya dallo stato Rakhine in Birmania.
Il suo commento è stato molto misurato, provocando lo stesso l’ira del presidente Duterte che ha accusato il premier canadese di aver insultato le Filippine.
Tragedia Protratta
Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha sottolineato quella che ha definito una “tragedia protratta” dei Rohingya, offrendo aiuto per aiutare rafforzare la poco conosciuta la Commissione intergovernativa del ASEAN sui diritti umani,AICHR. Ma nessuna delle loro voci è stata così forte come quella del presidente americano.
La AICHR fu creata nel 2009 ma è solo un corpo consultivo ed i membri sono nominati dal governo.
Poi venne nel 2012 la prima dichiarazione dei diritti umani dl ASEAN. Ma questo primo passo storico fu lasciato cadere dai militanti come inefficace, indebolito dal fatto che non era vincolante su chi l’aveva sottoscritto, diversamente dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani, e che la lista dei diritti individuali doveva essere bilanciata dagli obblighi della comunità e della società.
Fu redatta senza consultazione dei 600 milioni di abitanti che vivono nella regione.
Tempi preoccupanti
Affrontare le preoccupazioni dei diritti umani è anche difficile a causa del sacro principio di non interferenza negli affari interni reciproci. Duterte ed i suoi sostenitori insistono nel dire che gli omicidi della campagna contro la droga sono solo un questione per i filippini, nessun altro.
Il governo birmano ha provato a fare la stessa difesa delle azioni delle forze di sicurezza nello stato Rakhine, sebbene l’arrivo di 600 mila Rohingya in Bangladesh ne ha fatto una questione transnazionale.
Il commissario dell’ONU per i diritti umani Zeid Ra’ad al Hussein ha detto che l’approccio del ASEAN alla questione è “molto molto deludente”.
“Ci si deve chiedere la domanda: cosa ci sta succedendo? Se lasciamo che accada questo a costo zero, e questo Summit del ASEAN va verso questa direzione, quanti altri paesi con minoranze farebbero altrettanto in modo simile se volessero rimuovere un cosiddetto “problema” dalla loro società?
Per tutte quelle ONG e gruppi della società civile nella regione che sono solite al sostegno americano, sono tempi preoccupanti.
I loro governi sono così ringalluzziti, forse dalla dichiarazione del presidente Trump che è solo interessato a ciò che è benefico per gli americani, forse dalla costante ascesa della Cina che non ha alcun interesse a promuovere i diritti umani, o forse dal collasso della fiducia nei paesi occidentali, dopo la disastrosa guerra in Iraq, la crisi finanziaria del 2008 e la legittimazione sempre minore del modello occidentale di democrazia.
Non tiene più l’assunzione che i paesi in questa regione devono inesorabilmente andare verso il governo democratico e una maggiore protezione dei diritti civili
Jonathan Head, BBC