La nostalgia autocratica nata dalla delusione della democrazia liberale apre la strada a popolusti come Duterte e l’immagine di Uomo Forte
“Se prende piede la vostra destabilizzazione e c’è caos, non esiterò a dichiarare il governo rivoluzionario fino alla fine del mio mandato” ha dichiarato ad ottobre quella testa calda del presidente filippino Duterte di fronte alla crescente opposizione nazionale alla sua presidenza.
La minaccia di sospendere la costituzione democratica del paese è stata un’altra ripetizione nella lunga storia di amore del presidente Duterte del governo totalitario.
Nelle settimane seguenti comunque, mentre il paese si preparava ad ospitare il summit dell’Asia Orientale, il presidente ha cercato di ridimensionare quella dichiarazione provocatoria, dicendo chela minaccia non era ancora la decisione finale, quanto invece un’esplorazione di vari scenari per affrontare il bisogno di ordine e stabilità del paese.
Eppure ciò non ha impedito ai sostenitori di Duterte di chieder apertamente la sospensione della costituzione democratica a favore di una presidenza da impero. Il 30 novembre le organizzazioni dei sostenitori di Duterte tennero manifestazioni nelle grandi città dove sostennero la creazione diretta di un “governo rivoluzionario”.
La democrazia filippina non è mai parsa tanto fragile di recente mentre sempre più cittadini sono delusi profondamente della democrazia ed abbracciano fantasie autoritarie nella persona di Duterte. E quello che accade nelle Filippine echeggia in modo inquietante in tutte le democrazie dei mercati emergenti.
L’arte populista del governo
Come ogni altro populista moderno Duterte si presentò come la voce della gente filippina, il cavaliere nella sua armatura scintillante che protegge il paese dai criminali e dalle minacce straniere, e, con una vena di milleniarismo, come l’ultima speranza per la salvezza nazionale.
Come sostiene nel suo ultimo libro Jan-Werner Muller, i populisti sono di per sé illiberali e nel lungo periodo rischiano di sfociare nell’aperto autoritarismo quando implementano la loro visione di revival collettivo. La ragione è perché affermano in modo esclusivo di rappresentare quello che il filosofo Rousseau definiva come “la volontà generale”, o il comune interesse del popolo.
Per i populisti, dice Muller, solo loro ed i loro sostenitori hanno il monopolio del vero interesse della società, mentre chi li critica è automaticamente rigettato come cittadino ingrato, o peggio, elementi traditori opposti al cambiamento. Si rigetta ogni opposizione che è derisa come complotto del nemico della repubblica.
Il dibattito pubblico legato alle prove e pluralistico, che il filosofo Habermas definì “razionalità comunicativa” è soppiantato da una lotta più acuta di noi contro loro per conquistare l’anima della nazione.
Non ci deve meravigliare per questo che Duterte attacca spesso i suoi critici accusandoli di preparare un disegno destabilizzante contro il governo per preservar uno status quo oligarchico.
Il presidente dal linguaggio duro spesso parla con convinzione morale accusando i suoi oppositori di sabotare le politiche chiave della sua amministrazione. Nella narrativa della cospirazione di Duterte, una cabala di oligarchi, gruppi liberali, insorti e sindacati criminali sono decisi a cacciarlo.
Altri capi populisti eletti democraticamente, come il primo ministro indiano Narndra Modi e il presidente Turco Erdogan hanno spesso usato un linguaggio simile contro i propri oppositori.
L’esito del populismo è spesso il progressivo degrado delle istituzioni liberali che mira a delimitare i poteri dei capi liberali basati sul governo della legge. D i principi di pluralismo che presumono che nessun singolo gruppo o individuo ha il monopolio della verità dell’interesse pubblico.
Nostalgia autocratica dell’uomo forte
Importante non è tanto la retorica di Duterte quanto il fatto che un numero crescente di filippini accettano la “sindrome da uomo forte”: il credo simplicistico che un capo decisivo con forte volontà politica vorrà in modo testardo affrontare i problemi complessi del XXI secolo che affliggono le nazioni in rapido sviluppo come le Filippine.
Secondo l’ultima indagine Pew, il 50% dei filippini sostiene il governo autocratico nel loro paese.
Nelle altre democrazie dei mercati emergenti come Indonesia (52%) ed India col 55%, la maggioranza sostiene un Uomo Forte che ha poco rispetto per i sistemi di controllo democratici.
Un altro studio recente apparso all’inizio dell’anno in Journal of Democracy, mostra che la maggioranza dei cittadini filippini, come in India e Turchia, preferiscono un Uomo Forte che non si deve preoccupare affatto delle elezioni.
E’ precisamente nel contesto di questa nostalgia autocratica che migliaia di sostenitori di Duterte scesero per le strade di Manila il 30 novembre a supplicare Duterte di istituire “misure straordinarie” per sistemare il “sistema politico in crisi”.
Tra le tante cose, chiedevano unba legislazione di misure di sicurezza interna contro i nemici dello stato, una spesa accresciuta sulla sicurezza nazionale e l’applicazione della legge, come anche la sospensione dei diritti democratici a favore di una presidenza potente ed una forma federale di governo.
Ad essere giusti le manifestazioni dei sostenitori di Duterte non erano folte, con poche migliaia di persone. In una chiara dimostrazione di forza, i militanti democratici tennero le loro contro-manifestazioni accusando l’amministrazione Duterte di voler dirottare il paese verso un autoritarismo completo. Ancora più importante i militari finora si oppongono apertamente all’istituzione di un governo rivoluzionario.
Eppure la diffusa nostalgia autocratica, come anche le vittoriose elezioni e la continua popolarità dei capi populisti come Duterte, sottolineano la crescente insoddisfazione con la democrazia liberale in tutto il mondo postcoloniale.
La democrazia ha semplicemente perso la sua forza nell’immaginario di troppe persone, aprendo piano piano la via per la realizzazione delle fantasie autoritarie più pericolose da Uomo Forte.
Richard Javad Heydarian AlJazeera