La mattina del 29 aprile 2017 i soldati si presentarono davanti la casa a Bangkok di Prawais Praphanukul, avvocato thailandese ultracinquantenne dei diritti umani, per arrestarlo. Gli sequestrarono computer e telefonino.
Passò quattro giorni in un carcere militare, senza poter comunicare, prima di essere trasferito nelle celle della polizia del TCSD. Solo in quel momento Prawais poté vedere il mandato di arresto e la lunga lista delle accuse: dieci violazioni dell’articolo 112 di legge di lesa maestà. Avrebbe diffamato Re Rama X, Re Vajiralongkorn, divenuto re alla morte del padre ad ottobre 2016. Fu anche accusato di aver violato l’articolo 116 di sedizione.
Il perno di tutte queste accuse sono tredici articoli posti su Facebook.
Prawit nel caso sia condannato rischia 171 anni di carcere. All’inizio di maggio fu trasferito dalla detenzione militare alla prigione di custodia cautelare a Bangkok.
Gli sono state negate tutte le richieste di libertà su cauzione, e la prima udienza davanti alla corte per il patteggiamento e per stabilire l’audizione dei testimoni si tenne a settembre 2017.
Ho incontrato per la prima volta Prawais un avvocato penalista e dei diritti umani, nella causa di lesa maestà per Daranee Charnchoengsilpakul, soprannominata “Da Torpedo”.
Prima del suo arresto, spesso prendeva casi che altri avvocati temevano di prendere, come quello di Da Torpedo per il suo parlare duro.
Quello di Da Torpedo fu il primo grande processo dopo il golpe del 2006 che aprì la strada ad un’era di grandi divisioni.
La società thailandese si divise tra chi poneva il valore della monarchia sopra ogni cosa e chi vedeva nella democrazia il futuro del paese.
La netta crescita dei casi di lesa maestà e le lunghe condanne sono uno degli indicatori drammatici di questa crescente polarizzazione.
Nel 2009, Daranee fu condannata a 18 anni di carcere per un discorso di un’ora ritenuto diffamante del Re Bhumibol che regnò dal 1946 fino ad ottobre 2016.
Una decisione della corte di appello del 2011, pur lasciando la condanna, modificò la sentenza a 15 anni. In tutti questi anni, fino al secondo golpe del NCPO nel maggio 2014, la criminalizzazione di ogni discorso o azione che non esalta la monarchia è diventata sempre più severa.
Le circostanze intimidatorie del recente arresto di Prawais Praphanukul e la pena spropositata, cui si trova ora di fronte per la sua pacifica espressione di dissenso contro la corona e contro lo stato, rappresentano quello che è diventata la norma della repressione sotto il regime attuale del NCPO.
All’apparenza la vita in Thailandia fila tutto in ordine. Ma per chi osa criticare la dittatura o la monarchia le conseguenze sono gravi.
Come per il regime totalitario cecoslovacco pre-1989 descritto da Vaclav Havel, la giunta NCPO mira ad eliminare persino lo spazio per immaginare un futuro politico differente. Con una combinazione di leggi di sedizione in uso, di legge di lesa maestà e vari ordini emessi dalla giunta, studenti, studiosi, avvocati, giornalisti ed altri ora rischiano l’accusa e la prigione per qualunque atto di dissenso pacifico.
Mentre si avvicina il quarto anniversario del golpe nel 2018, la giunta NCPO non mostra segni di voler passare il potere ed il dissenso è ancora cosa pericolosa. Le proteste sono velocemente chiuse, e i militanti rischiano la detenzione militare e il processo in un sistema legale unito contro di loro.
Sebbene fosse ben cosciente di questi pericoli, Prawais Praphanukul ha scelto di rispondere alle accuse contro di lui con uno sprezzo che gli costerà una sentenza di prigione lunga. Eppure nonostante questo possibile risultato, o forse a causa di questo, le sue azioni stravolgono la normalità della repressione.
Sebbene la Thailandia sia una monarchia costituzionale sin dalla fine della monarchia assoluta nel 1932, le relazioni tra corona e stato sono rimaste oscure. Chi attacca questa relazione, come Prawais Praphanukul, è spesso accusato di lesa maestà.
Con la crescita costate della lesa maestà dal golpe del 2006, l’aumento sia dei casi che della lunghezza delle condanne dal golpe del 2014 è diventato esponenziale. Chiunque può fare una denuncia di per lesa maestà alla polizia che deve agire per legge.
Sebbene la giunta abbia sempre rifiutato di rilasciare statistiche sul numero degli arresti e benché molto accusati abbiano paura di accedere all’assistenza legale o a parlarne alla stampa, la ONG TLHR, avvocati thai per i diritti umani, associazione di documentazione e di difesa, ha registrato almeno 138 casi di accusa e di processo nei primi tre anni di governo NCPO.
Azioni come tenere una conversazione in un tassì sulla monarchia, fare dei graffiti contro il governo in un bagno pubblico, fare un’azione teatrale e, soprattutto, usare i media sociali per commentare sulla monarchia, sono ora reati gravi punibili con tanti anni di carcere. Sebbene l’articolo 112 specifichi che si parla di “diffamare, insultare o minacciare” il monarca, in pratica qualunque discorso o azione che non valorizzi acriticamente la monarchia è ritenuto un reato.
Per chi è accusato in base a post sui media sociali, un post rappresenta un’accusa la cui pena può variare da 3 a 55 anni di carcere. La grande maggioranza degli accusati scelgono di confessare perché i verdetti di innocenza sono rari ed una confessione comporta automaticamente un dimezzamento della pena oltre ad essere eleggibile per un perdono reale.
Scegliere di dichiararsi innocente, come fecero inizialmente Da Torpedo, che nel 2016 invece si dichiarò colpevole ottenendo così il rilascio ed il perdono reale, ed il giornalista e sindacalista Somyot Preuksakasemsuk prima del golpe del 2014, può causare una pena enorme.
Nei casi di lesa maestà un accusato è presunto colpevole fino a prova contraria, e la sola prova di innocenza e giurare fedeltà alla monarchia. Somyot fu condannato a 11 anni di carcere per il suo ruolo di editore di una rivista che pubblicò due articoli di altro autore ritenuti diffamanti del re.
Prawais ha scelto di discostarsi dalla grande maggioranza degli accusati. Ha rifiutato di confessare o di resistere affermando la propria innocenza. Ha rifiutato di partecipare al processo ed ha inviato una serie di dichiarazioni alla corte spiegandone le ragioni. In un linguaggio scarno pieno di logica legale acquisita in trentanni di esperienza, le dichiarazioni sottoposte alla corte a settembre e poi pubblicate nel Fa Diew Kan ad ottobre, spiegano l’illegittimità del processo contro di lui.
Come fece nei 13 post di Facebook che portarono al suo arresto, Prawais Praphanukul osa porre forti domande fondamentali sulla relazione tra la corona e lo stato in Thailandia. Nella prima dichiarazione, sostiene che il sistema giudiziario Thai serve il re piuttosto che il popolo, e poiché il re è la parte offesa in questo caso, il processo contro di lui può solo essere di parte.
Citando l’affermazione frequente del tribunale di agire in nome del re e notando che la parte lesa è il re, Prawais scrive: “Il sistema giudiziario è perciò nella posizione di essere un organo della parte lesa. Il sistema giudiziario ha un interesse preciso nel risultato di questo processo .. e quindi privo di imparzialità”. Di conseguenza Prawais dichiara:
“Non accetto la procedura del processo di questo caso … Non parteciperò al processo. Non nominerò un avvocato per parteciparvi, per interrogare i testimoni o presentare propri testimoni. Non firmerò alcun documento del tribunale”.
Nella seconda dichiarazione, Prawit sostiene che la ragione per cui gli è stata negata la cauzione indica che c’è un verdetto preordinato di colpevolezza contro di lui. Nel rigetto della cauzione si dice “questo è un caso di un’azione grave contro l’istituzione della monarchia che è rispettata, amata e riverita dal popolo”.
La Corte penale ha risposto col silenzio alle dichiarazioni di Prawais Praphanukul e si aggiornerà a maggio 2018 per ascoltare i testimoni. Come promesso da Prawais Praphanukul, non ci saranno testimoni della difesa e non parlerà in sua difesa. Le sue azioni, prima e dopo il suo arresto, gli assicureranno un duro verdetto.
Il suo rifiuto a sottomettersi davanti ad un sistema ingiusto è un atto unico di sfida contro un regime che si assicura l’applicazione attraverso la repressione selettiva, dura di chi dissente contro la corona e lo stato. Eppure la paura di essere associati implica che il caso e le azioni di Prawais hanno ricevuto una rarissima diffusione nella stampa nazionale thai se si eccettua per qualche giornalista progressista e qualche giornale.
Per la stampa internazionale la sua sentenza stratosferica è degna di fare notizia, ma la sua unica risposta dissenziente è stata ignorata.
Anche se nessun altro seguirà la sua strada, la decisione di Prawais Praphanukul di sacrificare la propria libertà ha scosso la dittatura, proprio perché illustra i limiti della repressione nella Thailandia di oggi.
Tyrrel Haberkorn, Dissent