L’attacco ad un bus di turisti nel meridione thai è il modo di dire che rispettano certi confini anche se non ci sono regole di ingaggio scritte tra le parti in conflitto.
I militanti separatisti hanno di recente bloccato un bus a due piani e lo hanno bruciato dopo aver fatto scendere i passeggeri nel profondo meridione thailandese.
L’incidente ha dato un sussulto alla sicurezza nella regione dove i militari si vantano di essere riusciti a conquistare la gente del posto, malay musulmani.
I militari hanno detto che centinaia se non migliaia di militanti pensano di deporre le armi attraverso un programma di amnistia del governo, “Far tornare la gente a casa”.
L’attacco avvenuto a dicembre ha irretito Bangkok e pone questioni sulla sicurezza lungo la strada che lega Yala, una delle tre province del conflitto, a Betong, città di frontiera importante dove si sta costruendo un aeroporto internazionale.
Le reazioni iniziali all’attacco furono confuse. Il comandante regionale dell’esercito Piyawat Nakwanich pensò per prima cosa ad un cartello criminale dietro l’attacco.
Ma mentre le indagini sono andate avanti e varie fonti di militanti si sono espresse, l’attacco è apparso come parte di una strategia separatista per minare l’apparato della sicurezza. Fu infatti un avviso duro al governo thailandese che la strada non era sicura da percorrere.
Per dimostrare che non sono dei fanatici a cui piace il conto dei morti, i militanti non hanno fatto alcun male ai passeggeri. Anzi hanno fermato il traffico perché potessero passare la strada aiutando persino gli anziani a scendere i loro bagagli dal bus.
Fu il loro modo di dire che rispettano certi confini anche se non ci sono regole di ingaggio scritte tra le due parti in guerra.
I militari hanno risposto all’attacco incendiario due settimane dopo portando avanti un’operazione di pulizia nel distretto di Bunnang Sata e nei villaggi intorno. Alla fine delle operazioni furono arrestati 50 sospetti.
Le autorità hanno detto di aver avuto preziosi informazioni. I parenti degli arrestati radunatisi attorno ai centri di arresto, dove figli e mariti erano rinchiusi secondo la legge marziale che permette la detenzione senza rappresentante legale. Proprio questa assenza di avvocati ha acceso le paura delle famiglie che hanno temuto il peggio per chi era rimasto in cella dopo che i militari hanno liberato molti di loro.
Le organizzazioni dei diritti thai ed internazionali hanno documentato accuse di tortura e di abusi contro i detenuti, accuse che le autorità lasciano cadere senza indagini minacciando persino azioni legali contro i loro accusatori.
Non tutta la sicurezza si è detta d’accordo con le operazioni di gennaio. Alcuni sostengono che mina lo sforzo totale di controinsorgenza che mira a conquistare il sostegno da parte della popolazione malay musulmana che è la stragrande maggioranza dei residenti nel profondo meridione.
Un’operazione alla cieca potrebbe essere percepita come esagerata e provocare rappresaglie.
Queste paure si sono realizzate il 22 gennaio quando una cellula di Yala ha fatto detonare una bomba su motocicletta uccidendo tre civili tra i quali uno studente religioso islamico.
Il messaggio allo stato thai è stato forte e chiaro: Le vostre azioni hanno conseguenze mortali. Alla fine ad una violazione percepita dei militari l’insorgenza risponde con un’altra violazione.
Per chi osserva il conflitto la condotta amichevole dei militanti nel caso dell’attacco al bus e i militanti arrabbiati dietro la bomba su motocicletta sono due mondi opposti. Se non altro riflettono le diverse visioni dei militanti sul terreno.
“Sembra che alcuni militanti non si fanno problemi nell’allargare i confini di ciò che è accettabile, mentre altri credono che i principi umanitari debbano essere rispettati” dice Artef Sokho, di una organizzazione della società civile, Patani, che chiede l’autodeterminazione per la gente delle province meridionali.
Mentre esiste il danno collaterale in questo conflitto di cui tutte e due le parti sono colpevoli, è molto raro che le cellule di militanti prendano di mira obiettivi soffici.
Fu ad ottobre 206 l’ultimo attacco nel meridione thailandese su un obiettivo soffice, quando scoppiò una bomba in un’area di ristoro serale nel cuore di Pattani che fece un morto e ferì 18 persone.
Fu una vendetta contro l’arresto di oltre 100 giovani e studenti malay che vivevano a Bangkok, alcuni dei quali hanno denunciato violenza da parte dei militari, sostiene una fonte dell’insorgenza.
Poiché non ci sono regole di ingaggio scritte, dipende dalle due parti in guerra decidere se disegnare una linea da non superare. Quello che è chiaro è che gli attacchi di rappresaglia contro le violazioni percepite sono mortali.
Ma non ha impedito alle forze di sicurezza Thai di spingere la linea delle loro operazioni sul terreno, per non citare altre forme di pressione che spingono la gente del posto a non riconciliarsi con lo stato.
Inoltre poiché non ci sono pressioni da parte di Bangkok e i responsabili centrali della sicurezza hanno vicende più importanti da affrontare, il comando regionale dell’arma è lasciato solo a costruirsi la propria narrazione.
I militari si definiscono superiori moralmente all’insorgenza perché il governo non è responsabile della violenza. Credono che più i militanti usano violenza più si allontanano dalla comunità.
Spesso hanno indicato il costante calo della violenza e degli atti violenti sin dal 2007, ma le fonti separatiste dicono che la decisione di ridurre quegli incidenti violenti era una scelta fatta da loro. In altre parole ai militanti è stato detto di fare il loro conto dei colpi ce significa maggiore intensità con ogni singolo attacco.
Non si vuol dire che non bisogna dare il credito ai militari per aver portano giù il numero degli incidenti. La decisione di metter i paramilitari nelle aree remote ha aiutato ad espandere la griglia di sicurezza ed a migliorare i tempi di risposta.
Nel frattempo il movimento ha mostrato che i militanti possono colpire dovunque ed in ogni momento, e persone contro obiettivi al di fuori del loro abituale teatro di violenza. Secondo loro finché esisterà il movimento il governo non potrà dire di aver vinto.
Finché non si riesce a portare le due parti a raggiungere un accordo sulle regole di ingaggio la violenza di vendetta andrà avanti senza alcuna soluzione.
Don Pathan, pataniforum.com, Benarnews