Il racket degli orfanotrofi sfruttò la povertà delle donne creando, in molti casi, falsi documenti per far adottare i bambini senza il consenso dei genitori.
Quando Kim Bunnath entrò a casa sua un giorno del 2001, dopo aver fatto visita alla madre malata nella provincia di Kampot, non vide alcun segno del suo piccolo.
Dice che a sua insaputa il marito di allora aveva lasciato il loro piccolo di nove mesi, che soffriva di una malattia cronica, in un orfanotrofio. Quando lo vide lì, Kim Bunnath si convinse che il centro avrebbe facilitato la ricerca di cure mediche del piccolo all’estero. Poi si separò dal marito e faceva visita al suo piccolo ogni domenica, il suo giorno di riposo dal lavoro in fabbrica.
Non passò molto tempo che il ragazzo fu adottato da una famiglia negli USA. Da allora non l’ha più visto.
“Non riuscii a dargli l’addio” dice mentre si asciuga le lacrime. “Ho paura che pensi che lo abbia abbandonato”.
Mentre si avvicina il diciottesimo compleanno del figlio, Bunnath stringe un gruzzolo di vecchie fotografie dove il figlio è in una serie di foto di un piccolo tipico americano, che spegne le candeline della torta di compleanno, sorridendo in un foto di un campo estivo, vestito dei colori chiari del suo gruppo sportivo.
Bunnath è una delle tre donne intervistate nell’ultimo rapporto del gruppo dei diritti LICADHO nell’indagine sui bambini rubati della Cambogia.
Le donne furono vittime di pratiche ingannatrici da parte del racket degli orfanotrofi che sfruttarono la loro povertà creando, in molti casi, falsi documenti per far adottare i bambini senza il consenso dei genitori.
Le strazianti circostanze che hanno visto le madri separate dai figli hanno spinto alla richiesta di scuse ufficiali da parte del Governo Cambogiano e di passi più seri per assicurare che non abbiano più luogo nel futuro adozioni internazionali fraudolente.
Secondo le stime governative, 3696 bambini cambogiani sono stati adottati all’estero tra il 1987 ed il 2009, quando la Cambogia vietò la pratica pericolosa di fronte alle accuse di traffico umano e di accuse di vendita di bambini.
Comunque il rapporto mette in luce il fatto che il numero è probabilmente molto più alto, poiché non tutte le adozioni erano trattate dal ministero degli affari sociali e gli archivi sono incompleti.
I tre casi messi in luce nel rapporto di LICADHO potrebbero essere emblematici di centinaia se non migliaia di altri casi.
Nel caso di Bunnath il figlio fu mandato inizialmente in Thailandia per le cure e tornò dopo una settimana. Quando l’orfanotrofio disse che lo avrebbero mandato negli USA per altre cure mediche, lei si attendeva che sarebbe tornato.
Dalle indagini di LICADHO, sembra che suo figlio fu prima dato in affido negli USA e poi adottato, contravvenendo il divieto americano di adozioni dalla Cambogia posto in essere nel 2001.
Anni dopo, le fu chiesto di firmare documenti da un membro dell’orfanotrofio e fu emesso un certificato di nascita. Sembra “essere un tentativo a posteriori di creare la documentazione per legittimare il viaggio negli USA e certificare che il bambino era stato abbandonato dai genitori ed era perciò adottabile”.
La cadenza della voce di Bunnath si contorce per l’emozione nel raccontare la cura per il piccolo e sofferente piccolo, nel vederlo cambiare da uno stato febbrile ad uno stato quasi freddato, quasi due decenni fa.
“Non voglio nulla da mio figlio, solo vederlo” dice. “Almeno fategli sapere che sono io la madre”.
Due sorelle Neang Phal e Neang Yorn ricordano i sentimenti di Bunnath. Tra loro, sette dei loro figli furono mandati in Italia senza il loro consenso informato.
Yorn, che lottava per riuscire a sopravvivere lavorando in una piantagione di caucciù, mise i suoi quattro figli, il più piccolo dei quali aveva sette mesi, in un orfanotrofio nel 2007 seguendo il consiglio di un vicino che poi si scoprì essere un mediatore. “Siamo molto poveri e speravo che mio figlio avrebbe potuto studiare lì.”
Phal, che ha tre figli adottati in Italia, dice che sapeva che i figli sarebbero stati mandati all’estero, ma dice di essere stata ingannata sulle circostanze. Alle sorelle fu detto che avrebbero ricevuto le foto e notizie ogni sei mesi e che i figli sarebbero potuti tornare per far loro visita. Non fu così.
“Sono proprio desolata. Continuano a mancarmi e non so se li potrò mai incontrare” dice “ ho poche speranze”.
“Penso molto spesso a loro. Talvolta svengo”.
Nutrendo il più giovane bambino, un piccolo di otto mesi dagli occhi sognanti ed uno dei tre che ebbe dopo che i suoi quattro maggiori furono mandati in Italia, Yorn dice di aver pensato al suicidio. Ma sapeva che non doveva farlo per i figli più piccoli.
“Se li avessi cresciuti in Cambogia, non avrei avuto la preoccupazione di perderli. Anche se non c’era molto da mangiare, si poteva sempre condividere” dice “Saremmo stati felici insieme ma ora non sono sicura se potrò vederli ancora”.
Il rapporto di LICADHO mette in luce un altro caso in cui quattro piccoli di un’altra madre furono mandati in Italia. I genitori furono convinti dal direttore dell’orfanotrofio che sarebbe stato un bene per i piccoli sebbene non capissero le conseguenze complete dell’adozione.
Sebbene avessero accettato all’inizio, poi scelsero di voler tenere i piccoli con loro, mentre li avevano in visita per la festa del Pchum Ben prima della loro partenza. Quando il direttore venne a prenderli, la madre si nascose col più piccolo nella piantagione di caucciù. Vedendo il piccolo giocare con la madre a poca distanza, il direttore prese il più piccolo e le disse che era troppo tardi per cambiare idea, tutte le carte erano pronte.
Mentre alcuni paesi iniziarono a vietare le adozioni di bambini cambogiani agli inizi del 2000 per la diffusa corruzione, molti paesi continuarono questa brutta pratica nel decennio successivo.
L’Italia accettò la maggioranza dei piccoli in quel periodo.
Il ministero degli esteri italiano e l’ambasciata italiana a Bangkok non hanno risposto, entro il periodo prefisso, alla richiesta di commenti.
La direttrice di LICADHO Naly Pilorge descrive il caso come “tragico”.
“Le famiglie di nascita furono ingannate, i genitori adottivi aggirati ed i bambini sono stati derubati della loro vera identità” dice la direttrice. “Meritano tutti di sapere la verità di quanto accaduto e chi è responsabile di questo crimine odioso deve finire in tribunale”.
Dal 2009 da quando la Cambogia ha posto un proprio divieto non ci sono adozioni internazionali, sebbene ci siano notizie in conflitto che fanno dire che il divieto è stato tolto.
Sou Key, il responsabile della gestione dati presso Amministrazione delle adozioni tra Paesi, afferma che le adozioni internazionali son tornate legali nel 2014, ma un documento del 2015 mostra che il ministero degli affari sociali pensava di riaprirli in un momento successivo.
Key dice che le adozioni internazionali sarebbero ora sicure e che nessun caso si è presentato a causa del processo nuovo e più accurato.
“Con la nuova procedura, ci vogliono ora oltre 200 giorni e un bambino costa 5000 dollari, il 75% di cui va al benessere del bambino.” dice Sou Key.
Eppure LICADHO sostiene che non dovrebbe aver luogo nessuna adozione internazionale finché non si stabilisce un sistema di risarcimento per indagare i casi fraudolenti e non si previene il ripetersi degli abusi del passato.
Gli studiosi concordano ricordando “un riconoscimento pubblico delle malefatte del passato in relazione alle adozioni tra paesi, le scuse a chi è stato colpito ed un invito a tutte le famiglie colpite a farsi avanti, a raccontare le loro storie e cercare la riparazione”.
David Smolin, direttore di Center for Children, Law and Ethics presso Samford University, dice che gli stati che hanno ricevuto devono anche condividere il peso delle indagini e della riparazione, dando ai bambini, ai genitori e alle famiglie adottive “l’opportunità di scoprire la verità e riconnettere i legami della famiglia che sono stati recisi in modo errato”.
“Questi reati strappano in modo non necessario i bambini dai genitori e famiglie, mentre minano e avvelenano le relazioni delle famiglie adottive” dice in una email. “Questi reati distruggono anche i sistemi di adozione tra stati”
Patricia Fronek della Griffith University, specializzata in adozioni e maternità surrogata, dice che “i casi di adozioni tra paesi fraudolente e di traffico umano di cui si sa sono solo la punta di un iceberg”.
“L’adozione tra paesi ha conseguenze che durano una vita” dice in una email. “Madri, padri e famiglie soffrono dolori interminabili e altre conseguenze di salute mentale particolarmente quando non sanno cosa sia successo ai loro figli”
Secondo Patricia Fronek, sono necessari servizi di riunificazione oltre che assistenza sociale e psicologica. Anche quando i figli vivono in buone famiglie di adozione “soffrono di problemi di identità e separazione dalle famiglie, dalle comunità e di cultura.”
La portavoce dell’UNICEF Iman Marooka dice che un appropriata gestione del caso è di importanza critica se si vuole che riprendano le adozioni internazionali, e che devono avvenire solo dopo che si sono esaurite le opzioni nazionali.
“C’è attualmente una grave mancanza di lavoratori di assistenza in Cambogia e questa è un’area che richiede investimenti urgenti da parte del governo” dice la portavoce.
Fronek mette in guardia contro il cadere preda dei paesi influenti che spingono per le adozioni per rispondere alle richieste dei loro cittadini. “C’è un mercato di bambini. La Cambogia non ha i mezzi per gestire un programma di adozioni tra paesi”.
Persino senza un mercato delle adozioni internazionale, lo sfruttamento di bambini e genitori avviene ancora. La vasta maggioranza dei bambini che vivono negli orfanotrofi cambogiani ha almeno un genitore che vive. Talvolta danno false promesse ai genitori secondo cui i figli riceveranno un’istruzione migliore lontano da casa, talvolta in orfanotrofi che hanno molti introiti dai turisti.
“In Cambogia non sono state ispezionate o regolate tutte le case dei bambini da parte del governo” dice la Fronek. “Il turismo degli orfanotrofi esiste ancora e ci sono bambini e famiglie a rischio, vulnerabili per mano di tante persone che li sfrutteranno”.
In una dichiarazione l’ambasciata USA ha detto che il suo governo “continua a sostenere gli sforzi della Cambogia nel promuovere il benessere del fanciullo in Cambogia e a stabilire un processo di adozione tra paesi secondo la convenzione dell’adozione de L’Aia” che stabilisce le pratiche etiche.
“E’ fondamentale che la Cambogia costruisca queste misure di salvaguardia prima che gli UA possano riprendere qui le adozioni tra paesi.”
Due persone legate agli orfanotrofi, che sono state identificati dalle mamme delle interviste come quelli che hanno inviato all’estero i bambini contro la volontà dei loro genitori biologici, prendono le distanze dai casi del passato.
Ouk Narom, direttore esecutivo di Sacrifice Families and Orphans Development Association, ha detto che era stata al centro, dove erano ospitati 40 bambini, per quattro anni scorsi e ha sottolineato che non è stata fatta alcuna adozione in quel periodo. “Ho cura solo dei bambini. La decisione della scelta delle famiglie è il ministero che decide. Non ho alcun diritto a farlo”.
La donna ha detto che c’erano “pochissimi casi” dove i genitori adottivi domandavano dei genitori dei bambini.
Quando le è stata presentata l’accusa di adozioni fraudolente internazionali verso l’Italia, Meas Yuth, che ha diretto 7 Makara Solidarity Association, ha sottolineato che si è congedato dall’orfanotrofio cinque anni fa.
“Quando i bambini erano adottati da genitori stranieri e vivono all’estero, è questione del ministero degli affari sociali. Non lo facciamo mai direttamente” ha detto il direttore. “I genitori adottivi ci danno del denaro, che è un loro atto di buona volontà.” ha aggiunto negando che ai bambini fosse associato un prezzo.
Ma il prezzo per le donne rimaste sole è fin troppo alto. Unadi loro, In Maly siede con i capelli tirati indietro e legati con un fermaglio alla base del collo. Nel 2005 due suoi figli furono mandati in Austria senza il suo consenso.
Come tante altre si sentì costretta a mettere i suoi figli nell’orfanotrofio per la sua povertà ed il marito malato grave.
Quando scoprì che su figlia era stata mandata via, affrontò il direttore di un orfanotrofio che l’aveva prima rimproverata per fare visita troppo spesso all’orfanotrofio.
“Perché vuoi saperlo?” le chiese il direttore. “Saresti svenuta se avessi visto tua figlia andarsene via da te”
Maly si sentì devastata. Incapace di concentrarsi sul lavoro, faceva continui errori nelle confezioni che cuciva. Quando venne a sapere che si preparava l’adozione all’estero di suo figlio più giovane, si precipitò al centro, ma il figlio se ne era già andato.
I bambini le diedero le bambole che ricevevano dagli stranieri al centro, che Maly tiene ancora nella sua stanza, piccoli segni del figlio e della figlia che le furono rubati.
“Da mamma mi sento molto ferita” dice. “Non mi è stata data la possibilità di vederli per l’ultima volta”
Erin Handley e Kong Meta, PhnomPenhpost.com