Appena dopo un anno dall’istituzione del sistema democratico nel 1932, la Thailandia si allontanò dal percorso democratico e fu necessario un golpe guidato dal suo fondatore Phraya Phahol Pholpayuhasenaper riportare il paese sul suo percorso. Fu davvero un golpe per porre fine a tutti i golpe. Ma non fu così.
I militari lo videro come un espediente per armare il colpo di stato per imporre la loro presa del potere per un periodo indefinito.
Al momento, questa unica tolleranza verso il governo autoritario si manifesta nella classe media urbana thailandese che sembra aver interamente abbracciato il golpe militare del 2014, che rovesciò un governo democraticamente eletto, e che sopporta o pretende di sopportare la dittatura militare senza troppi effetti negativi.
La loro triste devozione ad un sistema politica medioevale antiquato li ha resi sostenitori di un regime dittatoriale ma antagonisti a norme di governo accettate internazionalmente.
La tolleranza per la dittatura della classe media l’ha paradossalmente resa intollerante verso la libertà di espressione ed il processo democratico. Li ha resi insensibili e persino resistenti all’ingiustizia e alla chiara violazione dei diritti fondamentali dei Thailandesi che spesso sfidano il regime per dare voce alle loro problematiche.
Il loro cuore è così malleabile da poterlo forgiare in un mezzo per la demagogia e la tirannia che è l’antitesi della moralità perché presenta indifferenza verso l’ingiustizia, disprezzo verso le parti marginali della società, sdegno verso il processo democratico, sospetti della libertà e della libertà di espressione, ed esibiscono la gioia sfrenata nella soppressione dei dissidenti che esercitano il loro diritto inalienabile.
Perché allora la classe media urbana thailandese, sebbene non del tutto monolitica, provi un’infatuazione insolita verso l’autoritarismo? La spiegazione più ovvia e comprensibile è l’interesse acquisto nel sistema autoritario dei professionisti, burocrati e uomini di affari compresi.
La massa della classe media comunque è apatica o ha poca capacità intellettuale per comprendere le sottigliezze della politica thailandese e peggio ancora per comprendere la democrazia, la globalizzazione e le norme universali.
Inoltre un patriottismo mal riposto ha reso la classe media urbana thailandese sospettosa di elezioni e governi rappresentativi, che considera un’importazione straniera, ed ha la propensione a favorire l’autoritarismo o la dittatura militare che erroneamente vede come incarnazione dei valori thailandesi tradizionali. Non è meno importante la timidezza dei grandi media che lasciano tanto a desiderare nella presentazione della verità complessiva.
La classe media urbana thailandese incolpa il governo democratico passato e lode il regime totalitario per aver riportato la calma e la stabilità nel paese dopo un lungo periodo di caos politico che ha menomato la capitale del paese.
Essa aderisce alla narrazione secondo cui “il golpe ferma la corruzione”, sebbene paradossalmente la corruzione sotto il regime dittatoriale irresponsabile non sia mai stata così rampante.
Inoltre essa ignora il fatto che la democrazia è stata sempre sabotata dai militari e non ha mai avuto la possibilità di crescere. Essa chiude un occhio sul fatto che il disordine politico del 2013-14 fu creato dai militari in collusione con gli alleati politici per creare un pretesto per un golpe militare e poi vantarsi della stabilità del periodo successivo al golpe.
Comunque la stabilità imposta sulla gente con l’inganno, i doppi standard, la censura dei media, la soppressione della libertà di espressione e la detenzione di civili in luoghi militari segreti non è sostenibile.
La falsa stabilità non sostituisce il progresso. Chi ritiene la stabilità la cosa più importante tende a perdere di vista le più vaste prospettive politiche ed economiche necessarie per accelerare il paese nel futuro.
Non si dovrebbe porre invece la loro priorità sull’economia ed i suoi effetti sul sostentamento delle persone che si è deteriorata da quando è giunto il golpe?
Non è meglio posto, rispetto ad un regime autoritario, un governo democraticamente eletto per riportare l’onore ed il prestigio di un paese sul palcoscenico internazionale ed essere più intonato con la globalizzazione? Non dovrebbe il regime mantenere le ripetute promesse fatte all’ONU e agli altri capi di stato di restaurare il governo democratico?
Non riesce la classe media thai a vedere le contraddizioni nel regime dittatoriale rispetto alla cosiddetta Road Map delle elezioni generali che è diventato un viaggio che non finisce mai; nella dichiarazione pretenziosa di una Agenda Nazionale dei diritti umani mentre il regime colpisce i diritti umani, le libertà di espressione; nella sua affermazione della preponderanza della democrazia in Thailandia mentre è attenta a impedire il processo democratico e a presiedere alla stesura ed approvazione della costituzione non democratica del 2017 per assicurare la continuazione del potere militare e di politici tradizionali deboli, mentre istituisce un senato non eletto per dare fondamento al prolungato e forse indefinito controllo militare; nella su audacia nel prendersi il merito per aver iniziato un processo di riconciliazione mentre la mano pesante dei militari aggrava solo la polarizzazione?
Parlare di riconciliazione non ha senso quando il regime detiene ancora il potere assoluto senza responsabilità o supervisione; quando criminalizza la critica e descrive erroneamente politici, studenti, studiosi e media che non si adeguano; quando detiene i civili senza garanzie contro gli abusi; quando usa i doppi standard per distruggere l’opposizione.
Una tale dicotomia così confusa e paradossale ha reso unico questo regime rispetto alla forma bruta della dittatura degli anni 60 e 70, ma la sua unicità non è servita al paese o alla sua gente per gli scorsi quattro anni.
Ci vorrà molto di più di questi esercizi di studio per spingere la classe media thai ad uscir dalla propria delusione.
Pithaya Pookaman, AsiaSentinel