Con un segno rivelatore del cambiamento radicale avvenuto nelle loro relazioni, Cina e Filippine hanno di recente deciso di perseguire un accordo di sviluppo congiunto sui depositi di idrocarburi nel mare cinese meridionale.
Nella sua ultima visita di marzo il ministro degli esteri Cayetano salutò il periodo di eldorado nelle relazioni diplomatiche dei due paesi, reiterando l’impegno del proprio paese ad assicurare che le dispute nel Mare Cinese Meridionale non avrebbero fatto cambiare il corso ai legami con Pechino.
Piuttosto, il diplomatico filippino espresse la propria speranza che le dispute in mare “si sarebbero trasformate in una fonte di amicizia e cooperazione tra i due paesi.”
I diplomatici discussero in modo specifico della possibilità di un progetto di “esplorazione di petrolio e gas in mare” basato su un “quadro legale adatto” che aggiri le dispute di sovranità e produca qualcosa di utile per entrambi.
Il ministro degli esteri cinese Wang Yi, comunque, ha provato a riassicurate tutti sul fatto che un accordo di condivisione di risorse sarà perseguito in modo prudente e costante per assicurarsi della sua fattibilità.
In una precedente visita in Cina in occasione del Boao Forum, il presidente Filippino Duterte disse anche dei piani di sviluppo con la sua controparte cinese, Xi Jinping, il quale sottolineò il proprio impegno ad assicurare che “il compito di questo anno sarà di migliorare la relazione diplomatica”.
Il problema comunque è che fino ad ora non ci sono dettagli specifici come il luogo, la modalità e le condizioni per un accordo di sviluppo congiunto, JDA, nel mare cinese meridionale.
Inoltre non esiste un singolo precedente di incoraggiamento, poiché la storia recente è piena di accordi di condivisione di risorse tra Cina e paesi vicini finiti male. In modo particolare un JDA che sia fatto secondo le indicazioni del UNCLOS potrebbe violare sia la Costituzione Filippina e la decisione dell’arbitrato del 2016 sul Mare Cinese Meridionale.
Salto nel buio
Durante lo scorso anno, il presidente Duterte ha più volte espresso la preferenza per una “comproprietà” delle risorse di idrocarburi e di mare con Pechino. Nel porre al cuore della sua politica estera la normalizzazione dei legami bilaterali, Duterte sembra determinato ad esaltare i legami con la potenza asiatica, anche se dovessero moderare i diritti legittimi di sovranità e gli interessi del paese nel mare cinese meridionale.
In particolare il presidente filippino scommette su un grosso afflusso di investimenti cinesi, un premio per aver adottato una posizione più accomodante sulle dispute in mare. Nei due anni passati la Cina, per addolcire un accordo potenziale, ha fatto balenare la possibilità di accordi commerciali e di commercio per il valore di 24 miliardi di dollari.
Gli ultimi dati comunque mostrano che a condurre il panorama degli investimenti nelle Filippine sono gli alleati tradizionali come Giappone, USA ed Europa.
Nel primo anno di presidenza Duterte gli investimenti giapponesi sono cresciuti da 490 milioni di dollari del 2016 a 600 milioni del 2017 con un aumento del 23,4%. Gli investimenti americani sono caduti di quasi il 70% ammontando comunque a 160 milioni di dollari. Di contro gli investimenti cinesi sono andati da 27 milioni di dollari del 2016 a 31 milioni del 2017. Gli investimenti giapponese equivalgono a 23 volte quello attuale cinese.
Per quanto attiene al piano infrastrutturale “build, build, build” il Giappone è di gran lunga il partner straniero di punta. La Cina deve ancora fissare ed investire in un qualunque progetto di grande valore. Ma il presidente Filippino spera ancora di assicurarsi la partecipazione cinese in vasta scala nei progetti di ferrovia, di idroelettricità e ponti nel paese.
Il suo consigliere di politica estera è l’ex presidente Gloria Macapagal Arroyo che assistette ad un altro eldorado di breve durata nelle relazioni tra Cina e Filippine. Lei ha promosso con forza il fatto che nella sua lunga presidenza, dal 2001 al 2010, le Filippine “si concentrarono sullo sviluppo di legami economici e di affari più stretti con la Cina” e di come questa sia la “politica del presidente Duterte oggi, molto simile alla mia”.
Per lei “la Cina non è un rivale” quanto un fondamentale “mercato, un investitore e donatore.” Il problema comunque è che il suo periodo vide scandali così grossi di corruzione da colpire i suoi accordi di grandi progetti infrastrutturali con la Cina.
Un incerto percorso in avanti
L’accordo di condivisione delle risorse firmato dalla Arroyo con Cina e Vietnam nel Mare Cinese Meridionale fu anche attaccato perché era una possibile violazione della costituzione filippina e perché comprometteva la sovranità del paese.
L’accordo sulla ricerca marittima sismica JMSU del 2005 fu avvolto dalla segretezza e rischiò di legittimare le rivendicazioni cinesi della mappa dalle nove linee. Secondo questo accordo, che decadde nel 2008, la CNOOC di proprietà dello stato cinese era di fatto la guida e si assumeva il compito dell’esplorazione sismica delle risorse di idrocarburi in aree nelle aree in cui i paesi avevano rivendicazioni sovrapposte.
A Petrovietnam e Philippine National Oil Company restava solo il trattamento e l’interpretazione dei dati eventuali. La pressione politica interna filippina, ed il deterioramento delle relazioni diplomatiche tra Cina e Vietnam, impedirono il rinnovo e l’estensione dell’accordo.
Nel frattempo, la delimitazione marittima cinese e l’accordo di condivisione con il Vietnam nel golfo del Tonchino del 2002 devono ancora essere applicati in buona fede.
Il JDA del 2008 nel mare cinese orientale tra Cina e Giappone ha patito un destino simile, poiché Pechino iniziò in modo unilaterale ad esplorare le risorse nell’area e sfida le rivendicazioni di Tokyo alle isole Sensaku.
Non è chiara la modalità con cui il nuovo accordo di condivisione di risorse Cina Filippine produrrà un differente risultato dal JMSU. Secondo la legge internazionale un JDA è la soluzione preferita quando due paesi hanno diritti marittimi sovrapposti. Ma secondo l’arbitrato del 2016 a L’Aia, che rese nulle le rivendicazioni totali della mappa dalle nove linee cinesi, le Filippine e la Cina non hanno reclami che si sovrappongono nelle aree che si crede abbiano depositi importanti di idrocarburi; essi cadono per intero dentro la piattaforma continentale filippina.
Soprattutto, la costituzione filippina vieta ogni progetto di esplorazione e sviluppo con entità straniere che rifiutino di riconoscere i diritti assoluti delle Filippine dentro la sua Zona Economica Esclusiva. Quindi un JDA per sua natura potrebbe andare contro sia la costituzione filippina e la decisione arbitrale finale e vincolante del tribunale dell’arbitrato secondo UNCLOS.
Antonio Carpio, facente funzione di presidente della Corte Suprema, ha senza equivoci avvisato Duterte che ogni accordo di condivisione con la Cina dentro la ZEE filippina è anticostituzionale.
Quello che sembra più probabile è che Manila faccia un contratto con un’impresa cinese per esplorare e sviluppare risorse energetica nelle acque filippine, ma al di fuori della mappa dalle nove linee.
Attualmente c’è la proposta in cui la Philippine National Oil Company affiancherà e darà un contratto di servizio con CNOOC per esplorare e sviluppare risorse di idrocarburi vicino alle isole di Calamian, a Palawan, che si trova fuori della mappa delle nove linee.
Si considera anche la zona ricca di energia di Reed Bank, ma poiché cade dentro la ZEE Filippina e la mappa delle nove linee la sua fattibilità politica è in dubbio.
Alla fine la sola discussione di una JDA rischia di legittimare le eccessive rivendicazioni espansive cinesi nel bacino del Mare Cinese Meridionale, contro le rivendicazioni degli stati dell’ASEAN e in violazione della legge internazionale.
Se non altro, l’acquiescenza strategica chiara di Manila potrebbe rafforzare il comportamento di Pechino sulle acque adiacenti, come visto nell’area di Benham Rise oltre al continuo reclamo di Pechino sulle isole artificiali nel mare cinese meridionale.
Richard J. Heydarian, AMTI