Mentre l’amministrazione del premier Prayuth insiste nel dire il contrario, la posizione internazionale della Thailandia è caduta al suo livello più basso.
Uno dei compiti immediati che si trova di fronte il governo eletto dalle elezioni sarà di rettificare e ripristinare la reputazione internazionale della Thailandia.
L’ultimo promemoria di quanto spiacevole sia la posizione diplomatica thailandese è il prossimo summit USA e Corea Del Nord tra Trump e Kim Jong-un. Mentre erano emerse alcune possibili località per questo straordinario ed unico testa a testa, il ministero degli esteri thailandese ha segnato una nota stonata.
Una dichiarazione del suo sito ha detto: “La Thailandia spera che il risultato di questo Summit e degli ulteriori sforzi, particolarmente l’incontro previsto tra il presidente USA e il capo della DPRK nel prossimo futuro, apri la strada all’eventuale realizzazione della denuclearizzazione della penisola coreana… La Thailandia è pronta a dare il proprio contributo verso questi obiettivi condivisi”
Sarebbe stato un golpe diplomatico per qualunque paese ospitare un tale straordinario incontro di apertura tra due grandi nemici. La Mongolia tramava per fare il paese ospitante. La stessa Singapore era interessata, quando il primo ministro Lee Hsien Loong diceva “riguardo alle speculazioni che Singapore possa ospitare il previsto incontro tra USA e Nord Corea, non abbiamo inviti o richieste da nessuna delle parti.”. Sembra che i colloqui tra Trump e Kim avranno luogo nella zona demilitarizzata dove Kim incontrò il 27 aprile la sua controparte del presidente Moon Jae-in.
Quello che è rilevante è che la mancanza di conquiste di politica estera della Thailandia che le permetta di diventare il luogo del Summit USA Corea Del Nord. Dovunque si guardi dallo spazio ASEAN alle relazioni con le maggiori potenze alle questioni dei diritti e libertà, le conquiste della Thailandia nel periodo del golpe sono state orrende.
Da luogo di nascita cofondatore dell’ASEAN la Thailandia ha abrogato il suo ruolo tradizionale astuto di costruttore e mediatore della pace e stabilità regionale.
Per esempio, da paese che non ha reclami nella disputa nel mare cinese meridionale tra Cina da un lato e Filippine e Vietnam dall’altro, la Thailandia sarebbe dovuto essere un arbitro e facilitatore ottimale. Eppure la sua voce sui reclami di terra e sull’elusivo codice di condotta è stato debolissimo e vuoto.
Nel frattempo, le sue relazioni con le grandi potenze è diventato sbilenco e troppo vicino a Pechino dopo il golpe. Essendosi avvicinata troppo alla Cina, il primo ministro Prayuth è parso troppo contento e voglioso di fare visita lo scorso ottobre alla Casa Bianca lo scorso ottobre, quando la Thailandia doveva provare a recuperare un po’ del suo intelligente bilancio tra le superpotenze.
Sui diritti umani e le libertà fondamentali, il governo della giunta è gravemente colpevole avendo detenuto centinaia di cittadini contro la loro volontà e averne attaccato tanti altri. Eppure il ministro degli esteri Don Pramudwinai ha insistito nei consessi internazionali che andava tutto bene nel campo de diritti umani della Thailandia, fingendo orgoglio e sfida che mostrava solo ambiguità e la delusione.
La Thailandia era vista come un rifugio neutrale ed imparziale per chi aveva bisogno, che fossero rifugiati o emigrati che fuggivano conlitti o individui perseguitati che cercavano un rifugio.
Ora nessuno può sentirsi totalmente al sicuro in Thailandia. Mentre i Thai possono essere arrestati, gli stranieri che cercano la pace, la sicurezza e opportunità per il futuro possono essere rispediti indietro molto facilmente.
Negli scorsi anni, centinaia di Uighur furono deportati in Cina verso un destino incerto. Ora nonostante la decisione corretta del governo di Prayuth di rimandare il capo dell’opposizione cambogiana Sam Serey in Danimarca sotto la pressione internazionale dal momento che ha i documenti diplomatici giusti, altri politici cambogiani che sono scappati dai tentacoli repressivi e violenti di Hun Sen non si sentono più sicuri in Thailandia.
La vittima più riprovevole e semplicemente triste di tutto questo è il professionale e capace corpo diplomatico thailandese che ha dovuto piegarsi al regime militare per la sopravvivenza della carriera e la mobilità o semplicemente per prendere tempo nella speranza che giunga presto un governo più accettabile per la comunità internazionale.
Nel suo interregno militare le figure carismatiche diplomatiche del paese hanno dovuto passare i primi due anni a spiegare al mondo esterno perché c’era stato il golpe, e molto dei due ultimi anni a spiegare agli stessi stranieri le ragioni di una mancanza di elezioni.
Che il compito principale della diplomazia sia divenuto il dover spiegare il golpe e difendere il ritardo delle elezioni comporta un costo incalcolabile per le relazioni estere e la reputazione della Thailandia, specialmente per un paese famosa nel mondo per aver perseguito una rotta saggia ed intelligente nel restare estranea alle guerre e alle strade pericolose degli altri.
I governi golpisti non sono sempre stati così. I passati governi militari davano e rafforzavano i professionisti della politica estera per vendere la loro merce sul palcoscenico mondiale. Nel periodo del governo militare autoritario dal 1947 al 1988, i diplomatici di allora sapevano come ottenere che si facessero le cose, dal creare l’ASEAN nel 1967 al trattare con le guerre di Indocina, al mantenere il paese come il paese di frontiera sicuro dall’espansionismo comunista negli anni 80. Persino il golpe del 1991 produsse un governo tecnocratico che strumentalmente coltivò l’Area di Libero Commercio dell’ASEAN nel 1992.
Ci sarà tantissima gente opportunista che vorrà insistere e pretendere che tutto è soddisfacente, se non splendente, per la posizione internazionale della Thailandia.
Ma non è proprio il caso se si guarda davvero a ciò che la Thailandia ha conseguito nel passato e ai limiti attuali.
Il problema con le relazioni estere attuali è che questo regime è restato al potere troppo a lungo e non vuole andarsene a qualunque costo. Invece di andare avanti con le relazioni col mondo esterno la Thailandia è regredita ad un punto morto.
Thitinan Pongsuhdirak, Bangkokpost.com