Primo, una lezione importante merita attenzione.
Alcuni analisti hanno giudicato il risultato elettorale massiccio a favore dell’opposizione del PH, alleanza della speranza, come uno tsunami di modernizzazione. PH ha guadagnato 113 seggi ed il 47% del voto popolare battendo il Fronte Nazionale, BN, al potere che ha vinto 79 seggi ed il 35% del voto popolare.
I risultati sbilenchi erano inattesi perché tutte le indicazioni e sondaggi dicevano che il BN avrebbe tirato fuori una vittoria come fece nel 2008 e 2013.
Altri partiti che hanno conseguito una presenza in parlamento sono stati il PAS, partito islamico Malese con 18 seggi, il Warisan di Sabah con otto seggi e altri due con e seggi complessivi.
La vittoria risonante del PH che è una coalizione di quattro partiti è stata salutata nei circoli democratici come un fermo ed inversione di marcia dell’autoritarismo.
Poiché negli ultimi anni erano in crescita regimi autocratici e caratteristiche autoritarie, dai movimenti di estrema destra europei al presidente Trump in America al presidente Filippino Duterte ed il governo militare thailandese, la democratizzazione con le sie libertà civili e libertà fondamentali hanno ricevuto un colpo dietro l’altro.
Il risultato elettorale deludente del BN, guidato da un primo ministro Najib Razak corrotto e abusivo, potrebbe originarsi da un “voto di protesta” contro le frodi e la corruzione.
L’ex primo ministro è finito con 681 milioni di dollari del fondo statale nel suo conto bancario personale, ma il suo partito gli ha sempre permesso di farla franca. L’elettorato si è espresso quando gli è stata data la possibilità.
L’idea che lo sviluppo economico sostenuto e le crescenti entrate abbiano attirato la liberalizzazione politica ed il fervore democratico che ha cacciato Najib è sospetto. La correlazione non è chiara.
Se il BN si fosse liberato di Najib ed affrontato le elezioni con un leader pulito, avrebbe potuto vincere come accaduto prima.
Inoltre è ancora presto per trarre conclusioni dal voto di protesta contro la corruzione malese.
Se la democrazia si riprenderà nel sudestasiatico dipenderà da quello che accade andando avanti.
Se si instaura un ordine politico più liberale, tollerante ed antiautoritario, allora l’esempio malese potrebbe essere un elemento catalizzatore per le democrazie altrove.
Seconda cosa, la guida politica sarà decisamente conseguenziale. Che Mahathir sia ritornato da primo ministro a 92 anni e dopo 15 anni di interruzione, non è stato sorprendente perché ha spinto il PH. Finora mantiene l’accordo con i suoi partner di coalizione, specie il PKR il cui capo di fatto è Anwar Ibrahim. Il PKR ha vinto 47 seggi ed il DAP 42, mentre il Bersatu di Mahathir solo 13 e il PAN solo 11.
Anwar ha ricevuto il perdono reale ed è stato liberato dal carcere solo qualche giorno dopo il risultato elettorale, mentre allo stesso tempo è stato vietato a Najib e alla moglie Rosmah di lasciare il paese per le indagini dirette e complete senza l’apparato dello stato e del partito ad aiutarli.
Mahathir ha detto che sarà primo ministro per appena uno o due anni prima di consegnare le redini del potere ad Anwar. Questo era l’accordo.
Ma nel futuro Mahathir potrebbe essere tentato di stare più a lungo se diventa più duro lasciar andare la presa sul potere. Inoltre il figlio politico Mukhriz forse è in ascesa, che incentiverebbe il premier Mahathir a favorire la sua propria stirpe. Forse no, ma non si deve lasciar perdere una lotta di potere nei mesi venturi.
Anwar stesso all’età di 70 anni potrebbe voler trasformare in vendetta contro chi lo ha perseguitato le sue rivendicazioni. Potrebbe sentirsi adatto e titolato a governare su tutti perché il suo partito ha fatto molto bene nelle elezioni.
La lezione per Mahathir viene dalla Thailandia. Se le istituzioni ed i meccanismo di cambio di governo e di mobilità politica non sono chiari e forti, i capi tendono a mantenersi al potere il più a lungo possibile. In luoghi come Indonesia e Filippine, dove ci sono limiti temporali alla presidenza, i capi devono lasciare quando viene il momento, ma vogliono lasciare eredità durevoli, persone nominate e procuratori.
Un buon esempio di capo che se ne andò secondo la sua promessa, anche se sarebbe potuto restare più a lungo, è il generale nominato dal golpe Surayud Chulanont che insistette a tenere le elezioni nel dicembre 2007, mentre i militari volevano prolungare il proprio periodo di golpe.
Il miglior risultato di guida politica per la Malesia è che l’anziano Mahathir lasci quando promesso e che Anwar lasci anche appena dopo essere subentrato. In quel modo la Malesia potrebbe generare una nuova generazione di capi per un nuovo orizzonte.
Infine, l’ondata contro la corruzione e gli abusi in Malesia suggerisce che si potrebbe ripetere in Thailandia particolarmente con i poteri da quantificare dei media sociali.
I Thailandesi sono famosi per sopportare i cattivi governi ma c’è un limite. Nel 1973 e 1992 scesero per strada e rovesciarono le dittature militari. Altre volte, attesero le elezioni.
E’ molto plausibile che si assista ad uno tsunami contro i militari nel possibile giorno delle elezioni in Thailandia.
La vera e profonda differenza è che la Thailandia in questo momento non ha una coalizione possibile ed attraente come il PH. Questo è ciò che serve al paese, non solo di liberarsi del governo militare ma anche di dare un nuovo, rinnovato percorso in avanti per la politica thailandese.
Thitinan Pongsudhirac, Bangkokpost.com