In una importante svolta degli eventi, l’amministrazione Duterte ha per la prima volta provato a tracciare delle linee rosse nella sabbia del Mare Filippino Occidentale. E’ una svolta ben accetta sebbene i fatti risuonano più delle parole.
Dopo mesi di dichiarazioni di sconfitta, mentre il presidente ha detto in modo falso che le scelte che abbiamo di fronte sono una guerra suicida o acquiescenza ignorando però l’intero spettro di altre opzioni sul tavolo, ci sono segni che il governo sta indurendo la propria posizione di contrasto all’incessante armamento delle contestate caratteristiche di terra nell’area.
Dopo tutto la diplomazia conciliante del presidente deve ancora domare l’appetito marittimo e territoriale cinese. Forse ha invece rafforzato la potenza asiatica. Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una accelerazione della militarizzazione cinese a scapito per lo più dei paesi minori come le Filippine che hanno dei reclami nell’area.
A maggio la Cina ha dispiegato i bombardieri H6K nell’isola di Woody nel mare cinese meridionale che hanno preso parte ad esercitazioni le quali, secondo l’esercito di liberazione cinese, consistevano in “addestramenti a decolli e atterraggi sulle isole e barriere del mare cinese meridionale per migliorare la nostra capacità di raggiungere tutti i territori cinesi, di condurre attacchi in ogni tempo e direzione”.
L’isola di Woody è reclamata dal Vietnam ma non dalle Filippine. Eppure i bombardieri hanno un raggio di 1000 miglia nautiche entro cui si trova gran parte del nostro paese.
Fondamentalmente è fortemente probabile che la Cina dispiegherà i bombardieri strategici nel gruppo delle isole Kalayan nelle Spratly dove le Filippine occupano dieci caratteristiche di terra.
LaCina dop tutto ha costruito grandi piste e installazioni militari nelle isole reclamate da Manila come Mischief, Subi e Fiery Cross, che ora ospitano tutti i tipi di aerei cargo compresi. Precedentemente la Cina aveva posto i missili terra aria HQ9B ed anche i missili balistici ACBM.
Un mese prima ha installato i Radar ed equipaggiamenti di interferenza elettronica. Nessuno di questi sono puramente sistemi di difesa, ma riflettono invece l’intenzione cinese di mantenere ed estendere la sua grande superiorità militare rispetto agli altri paesi reclamanti.
Lo scorso anno la Cina ha anche accelerato le sue attività di reclamo per accrescere le sue isole create artificialmente. Nel solo la potenza asiatica ha reclamato 290 mila metri quadri di suolo nelle Spratly.
E’ solo una questione di tempo prima che la Cina imponga una zona esclusiva nel mare cinese meridionale che copre grandi parti del mare filippino occidentale (la nostra zona economica esclusiva e piattaforma continentale). Infatti la sola minaccia o implementazione parziale di una ADIZ, zona di identificazione di difesa aerea, porrà una minaccia diretta alle nostre linee di rifornimento nell’area. Le nostre truppe e il personale nelle Spratly si affida per acqua, alimenti e altre necessità fondamentali all’arrivo dall’esterno.
E come se questo non sia abbastanza, la Cina ha accresciuto la propria presenza a Benham Rise che giace sulla parte orientale delle coste filippine. Secondo il ministro della difesa Lorenzana, la Cina potrebbe aver impiegato e stazionato navi da guerra e sottomarini nell’area senza il permesso filippino, invece di “esercitare il diritto ad un passaggio innocente”.
Si è saputo che la Cina ha unilateralmente rinominato cinque caratteristiche sottomarine dentro la zona di Benham Rise senza il nostro consenso. Ed hanno ripetutamente cercato di condurre Ricerca Scientifica Marina, rifiutandosi per anni di accettare nostri scienziati nei loro viaggi.
La concatenazione di questi sviluppi inquietanti nel mare occidentale filippino ha provocato l’ira della popolazione filippina oltre che dei nostri soldati i quali hanno espresso la loro volontà a lottare per i nostri diritti nel mare e proteggere la nostra integrità territoriale secondo i dettami costituzionali.
L’amministrazione Duterte ha più volte ignorato la necessità ed utilità do fare proteste diplomatiche contro l’armamento delle caratteristiche di terra. Il presidente, che all’inizio dell’anno aveva fatto battute sulle Filippine come una provincia cinese, ha anche detto che per piccoli paesi è meglio essere umili per riuscire a guadagnarsi la grazia di Pechino.
Ora il governo presenta una serie di linee rosse il cui attraversamento da parte di Pechino potrebbe mettere in pericolo le nostre sempre migliori relazioni bilaterali.
Secondo il ministro degli esteri Peter Cayetano la prima linea rossa sono le attività di reclamo sulla Scarborough Shoal, o Panatag. La seconda è l’aggressione ed espulsione forzata del nostri distaccamento marittimo a Second Thomas, Ayungin.
In entrambi i casi l’assistenza da parte dei nostri alleati come gli USA è stata strumentale alla protezione dei nostri interessi, cioè di impedire a Pechino di dominare completamente entrambe le isole. L’ultima linea rossa è una estrazione unilaterale di risorse petrolifere e gassose nelle nostre zone economiche esclusive.
Per essere giusti Duterte fece simili dichiarazioni a dicembre 2016 quando avvisò la Cina che avrebbe sollevato il premio arbitrale se e “quando sono stati già estratti” dalla Cina.
Il presidente ha già invitato ad uno sviluppo congiunto od esplorazione congiunta di idrocarburi nell’area. Si devono ancor conoscere i dettagli di un tale piano. Il ministro Cayetano ha detto che il presidente è disponibile alla guerra se la Cina oltrepassa una di queste linee rosse.
Il ministro degli esteri ha anche offerto di dimettersi se il paese perdesse altri pezzi di territorio a favore della Cina nel Mare Filippino Occidentale. “Se perdessimo una sola isola durante il periodo di Duterte faccio fagotto e vado a casa”.
Sono parole dire ed opportune da parte dell’amministrazione Duterte. Ovviamente nessuno Cina compresa vuole la guerra. Dopo tutto una guerra Sino Filippina sarebbe disastrosa diplomaticamente per la Cina. Spingerebbe tutti gli altri stati minori verso un abbraccio americano. La Cina sarebbe vista come un nuovo bullo della regione ed una minaccia dando all’occidente, al Giappone e all’India una scusa perfetta per accrescere la loro presenza militare nell’area.
Una guerra con le Filippine minaccerebbe i legami commerciali cinesi che passano per gran parte nel mare cinese meridionale e lo stretto di Malacca. Soprattutto la Cina rovinerebbe tutto quello che ha guadagnato con duri sforzi come potenza dolce e la sua autorità nella regione se entrasse in guerra con uno stato più debole e piccolo come le Filippine.
Quindi qui la questione non è mai stata tra scegliere la guerra o la sottomissione alla Cina. E’ una falsa alternativa. Nessuno vuole la guerra ma nessuno nelle Filippine deve cercare la sottomissione.
Invece dovremmo prepararci a rivendicare i nostri diritti e fare i sacrifici necessari quando le cose si fanno difficili.
Il mare filippino occidentale è più di tutto un test di volontà, una guerra psicologica che dà benefici a chi osa contro i deboli. Non rientriamo tra i secondi.
Richard J. Heydarian, GMANetwork