Il comitato consultivo speciale, composto di esperti e giuristi importanti scelti dal presidente ha di recente portato a termine la bozza di una nuova costituzione che propone di cambiare fondamentalmente la struttura politica e le relazioni di potere del paese.
Porre fine al regno della cosiddetta “Manila Imperiale”, dove la capitale nazionale domina da tempo politicamente ed economicamente, è stata una delle promesse fondamentali nella sua campagna elettorale.
Duterte, che è il primo presidente a venire da Mindanao, ha fatto della decentralizzazione politica dal nord industrializzato verso un meridione più agricolo una priorità fondamentale da quando è diventato presidente.
Il completo cambio costituzionale, piuttosto che il semplice emendamento, è secondo Duterte il solo modo per raggiungere una equa distribuzione di potere tra il centro e la periferia.
Secondo la nuova proposta costituzionale le Filippine avranno ancora un presidente eletto col voto nazionale popolare, ed anche 18 regioni federali con le proprie assemblee regionali.
Ci sarà anche una nuova Camera federale di 400 membri che saranno eletti da una combinazione di voto diretto, secondo le circoscrizioni geografiche, e rappresentanti proporzionali per i settori marginalizzati.
Il Senato non sarà più eletto nelle elezioni nazionali ma attraverso elezioni su base regionale. I governi regionali riceveranno maggiore autonomia per imporre le proprie tasse e determinare le priorità di sviluppo come anche la legislazione locale.
In un paese dominato da signori della guerra di provincia e dinastie politiche, il federalismo sarà caldamente salutati da gran parte del potere politico locale.
Studi stimano l’esistenza di 178 dinastie politiche che attualmente dominano 73 su 81 province. La maggioranza dei legislatori circa 70% proviene dalle cosiddette dinastie politiche per legami di sangue e di parentela e spesso assumono uffici politici in rapida successione per aggirare i limiti sui singoli rappresentanti.
La nuova costituzione proposta cerca di imporre limiti all proliferazione di dinastie politiche restringendo le elezioni simultanee o successivi di aspiranti politici che abbiano legami di secondo grado di consanguineità e affinità.
Non c’è alcuna assicurazione che questi articoli saranno adottati dal Congresso che è attualmente dominato da dinastie politiche.
La transizione del paese verso una nuova era potrebbe iniziare a maggio 2019 s una maggioranza di cittadini approverà la nuova costituzione proposta in un referendum nazionale.
A maggio 2022, quando termina il periodo di sei anni per Duterte ed altri rappresentanti, il paese sarebbe teoricamente nella transizione da un governo unitario ad uno federale tramite nuove elezioni.
Questo potrebbe aprire la strada ad un nuovo ordine politico per la prima volta dalla caduta della dittatura di Marcos nel 1986.
Potrebbe anche portare ad una cosiddetta Presidenza Imperiale, in cui Duterte non solo presiederebbe il processo di transizione costituzionale, ma anche estendere potenzialmente il suo mandato da presidente fino al 2030, se dovesse partecipare e vincere per due volte come presidente federale. (Attualmente l’incarico a presidente filippino dura sei anni per un solo mandato; nel sistema federale sarebbe di due mandati di quattro anni l’uno, NdT)
Gli alleati di Duterte sostengono che il federalismo è il solo modo di affrontare le ineguaglianze profonde del paese ed i cronici problemi politici.
Fuori da ogni semantica, il governo deve fornire ancora un caso convincente a sostegno dell’urgenza della spinta federalista. Non ci si deve meravigliare se una maggioranza della popolazione è poco entusiasta sul cambiamento proposto.
Secondo l’indagine statistica di marzo di Pulse Asia, il 64% dei filippini si oppone ad una nuova forma di governo che è sostenuto solo dal 23%.
Infatti nei due anni passati il numero di persone che si oppone al cambiamento costituzionale è cresciuto del 20%, mentre i livelli di sostegno sono scesi del 14% a riflettere un profondo scetticismo tra il vasto pubblico sul reale bisogno di cambiamento.
Uno spostamento verso il federalismo rappresenterebbe una grande sfida amministrativa dal costo che oscilla tra i 44 miliardi ai 72 miliardi di peso (tra 700 milioni ed 1,1 miliardi di euro) secondo il governativo Philippine Institute for Development Studies (PIDS).
La maggioranza dei governi locali nelle Filippine ha capacità limitate di autogoverno e si affidano moltissimo sui trasferimenti fiscali dalla regione della capitale per i loro bilanci.
Poche regioni solo hanno abilitò e risorse sufficienti per raccogliere tasse sufficienti per cono proprio. Non è chiaro come la trasformazione federale affronterà tale debolezza fondamentale senza aggravare le diseguaglianze che già crescono nel paese.
Alcuni pensano che le regioni più ricche potrebbero diventare più attraenti per gli investitori sotto un ordine federale, poiché i centri stabili di produttività economica potranno innalzare ed investire maggiori risorse fiscali per sviluppare le loro infrastrutture, le risorse umane e le istituzioni amministrative.
Christian Monsod, un avvocato importante che partecipò alla stesura della costituzione attuale, ha accusato l’amministrazione di usare il cambio costituzionale come il cavallo di troia per il programma nascosto di estendere la presidenza di Duterte. Il vero scopo di questa spinta, a suo dire, è di costruire un Autoritarismo Costituzionale.
“Se Duterte vuole restare al potere oltre il 2022, il solo modo legale di farlo è mediante un cambiamento costituzionale che gli permetta di partecipare ancora alle elezioni” afferma Monsod in un forum su Democrazia e Governo.
“In altre parole la domanda è: il federalismo è un cavallo di Troia per restare al potere?”
Julio Teehankee e Ranhilio Callangan Aquino, due membri importanti del comitato, dicono che la nuova costituzione proposta non permetterebbe di estendere il proprio mandato oltre il 2022.
Coloro che criticano la bozza dicono che non è del tutto chiaro se ci sarà un articolo specifico o della giurisprudenza contro una tale prospettiva nella versione finale della bozza costituzionale, che deve essere approvata o dal Congresso o da un referendum popolare.
Duterte resta inamovibile nel dire che non cercherà un’estensione della sua presidenza. “Fatemi smettere di essere presidente nella transizione (2019)” ha detto il sei luglio. Il presidente ha continuamente detto di esserci scocciato di essere presidente e che non è interessato a governare per un singolo secondo mandato al di là della presidenza attuale.
Eppure molti si domandano perché la bozza costituzionale non vieti espressamente uno scenario da presidente fino al 2030, accendendo tutte speculazioni su Duterte che potrebbe essere tentato di estendere il suo potere sotto un nuovo ordine federale poiché varie controversie attendono il suo governo.
Richard Javad Heydarian, Atimes.com