Questa missione creata dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU a marzo 2017 ha trovato che le forze armate birmane hanno fatto azioni che “senza dubbio sono dei crimini tra i più gravi secondo la legge internazionale”.
Il presidente della missione Marzuki Darusman, parlando a Ginevra, ha detto che i suoi investigatori hanno raccolto moltissima informazione primaria costituita di 875 interviste con testimoni e vittime, immagini satellitari e foto e video verificati.
I racconti delle vittime, secondo Marzuki, erano “tra le violazioni di diritti umani più scioccanti” con cui era venuto in contatto ed avrebbero lasciato un “segno su tutti noi per il resto delle nostre vite”.
I militari birmani, ha detto Marzuki, hanno mostrato “un chiaro disprezzo per le vite umane” e mostrato “livelli estremi di brutalità”
“I Rohingya si trovano in una situazione continua di oppressione sistemica grave ed istituzionalizzata dalla nascita alla morte” ha detto Marzuki.
Il rapporto dell’ONU afferma che i generali birmani tra i quali il comandante in capo generale Min Aung Hlaing devono essere indagati e processati per genocidio nello stato del Rakhine settentrionale oltre a crimini contro l’umanità e crimini di guerra negli stati Kachin, Shan e Rakhine.
Il rapporto elenca i militari birmani, conosciuti come Tatmadaw, aggiungendo anche che altre agenzie della sicurezza erano coinvolti negli abusi.
“La necessità militare non giustifica mai uccidere indiscriminatamente, né lo stupro di gruppo di donne, le violenze contro i bambini e gli incendi di interi villaggi” si legge nel rapporto.
“Le tattiche del Tatmadaw sono esageratamente e regolarmente sproporzionate rispetto alle minacce di sicurezza reale specialmente nello stato Rakhine ma anche nella Birmania settentrionale.
Il disprezzo del Tatmadaw per la vita umana, l’integrità e la libertà e per la legge internazionale in generale deve essere una ragione di preoccupazione per tutta la popolazione”
I militari birmani sono accusati di essere coinvolti in omicidio, false incarcerazioni, tortura, schiavitù sessuale e stupri.
Nello stato Rakhine c’erano prove di sterminio e deportazione, denuncia il rapporto.
“I crimini nello stato Rakhine ed il modo in cui sono stati fatti, sono simili in natura, gravità e vastità a quelli che hanno permesso che in altri contesti si stabilisse un’intenzione di genocidio” ha concluso la missione conoscitiva dell’ONU che ha aggiunto che ci sono “informazioni sufficienti” per perseguire la catena di comando del Tatmadaw.
Christopher Sidoti, un membro della commissione di indagine, ha invitato il consiglio di sicurezza dell’ONU e l’Assemblea generale ad agire in base a quanto descritto nel rapporto.
“Siamo persuasi che la comunità internazionale ha gli strumenti per smantellare il distruttivo velo di impunità in Birmania”. AJ Jazeera
L’inviato di Al Jazeera a Cox’s Bazar Mohammed Jamjoom ricorda che nel passato il termine più usato dai governi è stata Pulizia etnica. Ora però si chiede che la catena di comando delle forze armate del Tatmadaw sia inquisita e portata in giudizio per genocidio.
Ma non basta: deve essere eliminato il velo dell’impunità che permette che si ripeta il ciclo della violenza in Birmania, non solo contro i Rohingya ma anche contro le altre minoranze etniche.
Mohammed Jamjoom ricorda anche che questo rapporto troverà la sua strada verso il Consiglio dei diritti umani di Ginevra se non il consiglio di sicurezza dell’ONU.
Ma è difficile dire cosa ne uscirà fuori anche perché la Birmania non ha ratificato il trattato di Roma sulla Corte Penale Internazionale e quindo il Tribunale Penale Internazionale non ha giurisdizione.
Sul ruolo di Aung Sang Suu Kyi la commissione ha detto “le autorità civili avevano poco spazio per controllare le azioni del Tatmadaw. Nota che attraverso le loro azioni ed omissioni le autorità civili hanno contribuito al commettere i crimini di atrocità. Il consigliere di stato Daw Aung San Suu Kyi non ha usato la posizione di fatto di Capo del Governo, Né la sua autorità morale per condannare o prevenire gli eventi che si svolgevano nello stato Rakhine”
“L’impunità è profondamente radicata nel sistema politico e legale birmano, ponendo di fatto il Tatmadaw al di sopra della legge” e poiché la giustizia resta elusiva per le vittime nel paese da decenni, “la spinta per la responsabilità deve giungere dalla comunità internazionale”.