Aveva solo detto, nel 2016, ad una vicina che gli altoparlanti della vicina moschea erano assordanti e questo commento poi circolato in modo più vasto accese una folla che bruciò una vicina pagoda buddista ed altre proprietà di un locale cinese.
Colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio, disse il giudice, per un atto di ostilità, blasfemia verso una delle religioni indonesiane. Fortissima è stata la pressione psicologica sul giudice che ha dato la sentenza.
L’arresto ed il successivo processo giunsero dopo pressioni enormi da parte di gruppi fondamentalisti islamici ed una fatwa del Consiglio degli Ulema Islamici di Sumatra settentrionale. La condanna a diciotto mesi è stata giudicata lieve.
Per blasfemia fu condannato a due anni di carcere l’ex governatore di Giacarta durante la campagna elettorale il quale perse anche le elezioni.
In vista delle prossime elezioni generali del 2019 questo movimento è considerato fortemente rischioso per il presidente in carica Joko Widodo.
Su questo fatto traduciamo un commento dell’analista Sidney Jones.
Le lezioni di un altro caso di blasfemia in Indonesia
Quando Meliana, una donna indonesiana di etnia cinese di Medan fu condannata il 21 agosto 2018 a 18 mesi per blasfemia per essersi lamentata del volume degli altoparlanti che invitano alla preghiera, azan, nella moschea di fianco, scoppiò la rabbia per tutta l’Indonesia.
Oltre 50 mila persone aderirono ad una petizione online per liberarla. I rappresentanti delle due organizzazioni islamiche di massa, Nahdlatul Ulama e Muhammadiyah, si misero in gioco affermando che il volume degli altoparlanti non deve costituire la base per un’accusa di blasfemia.
Il vicepresidente indonesiano Jusuf Kalla, che ha spesso inveito contro l’alto volume degli altoparlanti delle moschee, ha detto che non si sarebbe dovuto arrivare al processo.
Ma perché si è giunti alla incriminazione, in primo luogo, se così tante persone erano sbalordite dalla condanna?
Ci sono varie possibilità: intimidazione dei rappresentanti locali da parte dei vigilanti islamici, la debolezza delle corti, la polarizzazione religiosa locale a Medan e l’influenza crescente del consiglio degli ulama del posto.
Nessun di queste cause porta bene all’Indonesia, anche se la forza delle proteste per il suo trattamento significa che forse sarà prosciolta in appello.
Più si guarda al caso e più ingiusto diventa. Tutto cominciò il 22 luglio 2016 quando Meliana si lamentò che azan alla mosche del posto si era fatto altissimo facendole male alle orecchie.
Gli amministratori della moschea descrissero quello che disse la donna e come lo disse come un insulto. Il marito della donna andò dalla moschea per porgere le scuse.
Ma sui media sociali circolò una falsa notizia secondo cui Meliana chiedeva che azan fosse messo al bando.
Una settimana dopo il 29 luglio una folla si recò alla casa di Meliana costringendola ad andare da un ufficio locale e firmare una lettera di scuse formale.
Anche in questi momenti una folla si aggirava attorno alla casa di Meliana e provò ad incendiarla, per poi incendiare il vicino tempio buddista e a fare vandalismo contro altri sei templi.
La polizia ha negato di essere rimasta in disparte lasciando che la violenza eruttasse.
Il portavoce della polizia ha anche scritto:
«Provammo ad avere un dialogo ma la folla si mosse da sola. Fu così veloce, provammo a chiedere di disperdersi e di non usare violenza. Ma eravamo in pochi. Esamineremo la cosa e troveremo i colpevoli ed i sobillatori. Saranno puniti perché hanno fatto dei reati.»
Quando otto persone furono individuate e condannate a gennaio 2017, sette furono condannati a meno di due mesi e il presunto aizzatore ebbe due mesi e 18 giorni, in modo molto differente dalla condanna eventuale di Meliana per un atto che non aveva coinvolto violenza e che non doveva mai essere un reato.
I tempi del caso di Meliana l erano contro. Fu incriminata a marzo 2017 dopo che le fazioni islamiche avevano mobilitato con successo centinaia di migliaia per abbattere il governatore di Giacarta, Basuki Tjahaja Purnama, Ahok. La campagna contro Ahok aveva mostrato che la polizia avrebbe piuttosto arrestato e condannato una figura pubblica per accuse di blasfemia che rischiare conseguenze di sicurezza da parte di folle islamiche dopo un processo giusto.
I rappresentati locali di Medan avranno imparato la lezione. Il processo di Meliana iniziò a giugno 2018 ala fine della campagna elettorale per il governatorato di Sumatra settentrionale in cui il partito che vinse seguì il copione dei militanti anti-Ahok che invitavano i votanti musulmani a rigettare i candidati infedeli, kafir.
Non fu di aiuto il fatto che il rivale era un exufficiale di Ahok, Djarot Saiful Hidayat, che fu inevitabilmente legato ad Ahok nella mente pubblica sebbene fosse musulmano. L’atmosfera pubblica era decisamente contro Meliana.
Quindi c’è la domanda sullo stato sconfortante dei tribunali indonesiani, istituzione che non è stata toccata dalla riforma. Corruzione e abusi permeano il sistema giudiziario in Indonesia che rendendo una pia illusione la percezione di sé del paese come un paese che segue il governo della legge.
Sono innumerevoli i casi che non sarebbero mai dovuti arrivare in tribunale in cui i giudici hanno ignorato le prove lasciando tantissimi innocenti vittime nei loro guai.
Se i giudici del caso di Meliana fossero stati migliori o più forti, non sarebbe mai stata condannata.
Una settimana dopo il verdetto, uno dei quattro giudici di Medan fu arrestato dalla commissione anti corruzione per un caso di sospetta corruzione che non aveva nulla a che fare col caso di Meliana, ma fu poi rilasciato.
Questo caso sottolinea un altro sviluppo inquietante in Indonesia: fino a che punto i consigli degli ulama del luogo, MUI, abbiano acquisito potere politico al punto che alcuni ufficiali trattano le loro deliberazioni come legge.
I giudici nel suo caso citarono una decisione del 24 gennaio 2017 del MUI di Sumatra settentrionale, dove si affermava che le azioni di Meliana erano state blasfeme, come una prova piuttosto che trattare il caso sulla sua base di merito legale.
La tendenza a cedere autorità ai locali MUI ha effetti disastrosi in tutto il paese, dal momento che decidono contro le vaccinazioni e su altre questioni che devono essere sola prerogativa del governo.
Nel caso di un vaccino contro il morbillo e la rosolia, che ogni anno uccidono migliaia di bambini in Indonesia, il MUI delle isole di Riau inizialmente decise che i musulmani nn si sarebbero dovuti vaccinare perché contenevano prodotti del maiale.
Alla fine l’associazione nazionale del MUI entrò in campo su richiesta del ministero della sanità ed emise una fatwa che in considerazione del bisogno impellente e che non esistevano vaccini halal, era permesso ai musulmani inoculare il vaccino ai piccoli.
Ma molti musulmani sono rimasti dell’impressione che sia meglio rigettare l’immunizzazione che accettare un prodotto non halal.
Questa è una conseguenza della capitolazione alle autorità religiose su cose dove dovrebbero comandare standard non religiosi.
Nel caso di Meliana lo standard è che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge secondo la costituzione indonesiana. La protesta in suo favore solleva ma i tribunali sembrano andare in direzione opposta.
Sidney Jones, LowyInstitute.org