L’uomo, che proviene dalla provincia centrale di Phetchaburi, andò a fare visita ad un proprietario di barche a Samut Song Kram che lavora nel Golfo della Thailandia e fu presto assunto come pescatore. Da allora è stato in mare quasi di continuo per due anni, fino al 2015.
Racconta di essere stato costretto a lavorare continuamente per 24 ore, di non essere stato pagato, e quando si è lamentato, fu picchiato dallo skipper e minacciato di essere buttato in mare.
Alla fine di quel periodo, ha detto di “essere stato scaricato e buttato in galera”.
Chairat marcì per mesi in una delle lugubre carceri a Benjina, un’isola lontana indonesiana che le compagnie hanno per lavoratori di cui non hanno più bisogno.
“Non sapevo come fuggire” racconta Chairat, che ora guida un Gruppo Sindacale dei Pescatori Thai e Migranti, TMFG. “Mandammo dalla prigione una lettera all’ambasciatore thailandese in Indonesia senza avere risposta. Non accadde nulla. Chi mi salverà? pensavo. Non avevo speranze.”
La Thailandia è uno dei primi tre esportatori al mondo di frutti di mare e il maggior produttore di tonno in scatola.
La metà dei suoi 600 mila lavoratori nell’industria del pesce proviene da Birmania e Cambogia, secondo dati dell’ONU.
Insieme con i Thailandesi sono trafficati e costretti con la forza a lavorare su pescherecci di tutta la regione, fornendo prodotti del mare ai consumatori di tutto il mondo.
Il settore della pesca ha guadagnato 5.5 miliardi di dollari nel solo 2017 ed è il settore che fa più moneta pregiata del paese dove i prodotti alimentari costituiscono il 10% delle esportazioni.
Human Rights Watch (HRW) ad agosto ha invitato la Thailandia a ratificare ed implementare l’accordo del ILO aulla convenzione della pesca.
Secondo Labour Rights Protection Network, (LPN), almeno uno su dieci lavoratori della pesca sono lavoratori schiavi, e la LPN ha confermato che l’esperienza di Chairat non è insolita.
Come Chairat i pescatori sono costretti a lavorare per vari anni in mare, tagliati dalla famiglia e dal resto del mondo terreno.
Lek della provincia occidentale di Kanchanaburi, fu salvato due anni fa da un’altra speciale isola indonesiana usata per scaricare quei pescatori schiavi che non servono più, Ambon.
Ha una foto di sé sul suo telefono quando era costretto in mare. Non ha posto per dieci anni quasi mai piede a terra mentre era schiavizzato dai suoi padroni.
Nell’immagine sembra giovane e ha capelli lunghi. Ora i suoi capelli sono all’indietro ed ha uno sguardo misero e gli occhi incassati. “Ora voglio aiutare i miei amici pescatori” dice.
Benjina, un punto nell’arcipelago indonesiano, è diventata un luogo famoso per pescatori schiavi abbandonati. Molti dissero a Radio Free Asia nel 2014 che alcuni erano stati assassinati e seppelliti da qualche parte in tombe comuni senza segno.
Il governo thailandese, preoccupato per gli accordi internazionali su mercati americani ed europei da dove è nata la preoccupazione dei diritti umani, ha lavorato per porre fine al traffico e la schiavitù di pescatori thai e della migrazione in Thailandia.
Dal 2017, i proprietari di pescherecci hanno dovuto assicurare per legge che c’era un’adeguata tecnologia di telecomunicazione su ogni nave e permettere a tutti i lavoratori di contattare liberamente le famiglie mentre erano a bordo.
Negli sforzi contro la schiavitù il governo ha vietato a chi ha meno di 18 anni di lavorare nella pesca e ha cercato un sistema di trasferimenti bancari online per le paghe e verificare se i pagamenti avvenivano realmente.
Come ricompensa per questa spinta nel settore della pesca, la Thailandia a giugno è salita di un gradino nel rapporto del dipartimento di stato USA TIP, salendo dal Tier 3, il peggiore.
Istituito nel 2015 come un’iniziativa del LPN, il TMFG monitora i satelliti per rintracciare le navi che restano in mare per periodi lunghi, segno questo che usano lavoratori schiavi.Le navi possono restare in mare per anni perché trasferiscono il loro carico verso navi più grandi che portano il prodotto a terra.
Il sistema di monitoraggio si basa sulle ispezioni regolari e l’attività di polizia, costosi e difficili da mantenere.
“Il governo thai non ha fatto i passi necessari per porre fine al lavoro forzato ed ad altre violazioni serie sui pescherecci” scriveva a gennaio HRW. Il governo thai rispose direttamente al rapporto offrendo una lunga lista di misure che diceva di aver preso.
“Il governo reale thailandese riafferma il nostro impegno a combattere lo sfruttamento dei lavoratori della migrazione in maniera olistica … e si dice pronto a lavorare con tutte le parti per migliorare le pratiche del lavoro in linea con gli standard del lavoro internazionali” diceva la dichiarazione.
Secondo la direttrice di LPN Patima Tungpuchayakul uno dei grandi ostacoli legislativi è la grande e complessa catena di rifornimento in questo settore.
“Ci sono così tanti in questa industria. Molti operano nella pesca, nel trattamento e nei legami di esportazione nella catena e questo vuol dire che il settore è difficile da seguire”.
Il dipartimento della pesca registra 82 imprese per il trattamento del pescato per l’esportazione.
LPN stima che ci siano da 10000 a 20000 imbarcazioni che riforniscono le industrie di trasformazione.
La fuga di Chairat avvenne tre anni fa.
Fu visto da una delegazione che comprendeva Patima e i membri del TMFG in visita all’isola per rimpatriare i pescatori schiavi.
“Pensavamo che ci fossero un centinaio di ex-pescatori lì, ma erano un migliaio” dice Patima. Chairat da parte sua dice che fu fortunato ad essere stato ritrovato.
“Alcuni abitanti riferirono alla delegazione di noi che eravamo in carcere”
Ora lavora con TMFG per trovare, registrare e eventualmente rilasciare e rimpatriare i pescatori schiavi. L’organizzazione stima di aver trovato e organizzato il rilascio di circa 4000 pescatori schiavi dal 2014.
Sebbene lavorino mediante canali ufficiali il lavoro può essere pericoloso. Non è raro che le compagnie della pesca paghino mazzette alle autorità del posto lasciandoli senza protezione su posti isolati. Chairat teme di poter essere ucciso.
Chairat, Patima e gli altri del TMFG hanno messo su un sistema in cui i lavoratori schiavi possono chiedere aiuto dai loro telefonini mentre sono in mare senza essere individuati. E’ un sistema che vogliono tener segreto.
Ora il suo obiettivo centrale è il rilascio di pescatori schiavi e si è impegnato a liberare i lavoratori e far crescere la coscienza delle loro sofferenze.
“Non vogliamo far pressione sui consumatori perché non comprino frutti di mare” dice Chairat. “Il boicottaggio colpisce anche i pescatori. La soluzione è che i lavoratori devono aver potere. Deve esserci l’azione collettiva”
J.J. ROSE, AlJazeera