La trentenne Che Ruhanee Asmaae è una professoressa di Lingue Malay nella provincia meridionale thailandese di Yala, presso la Scuola della Principessa Madre Srinagarindra.
Nata nella vicina provincia di Pattani, Cikgu Che, Professoressa di lingue Che, come la chiamano gli studenti, ha un atteggiamento calmo ma determinato.
“La lingua dice chi siamo. La lingua non è la religione: trascende i credi ed è per questo che è bello. Persino un buddista può parlare Malay, non c’è nulla di sbagliato in quello. Così se un musulmano può parlar Thailandese altri possono parlare Malay, no?”
In un contrasto forte con il centro essenzialmente buddista e di lingua thailandese, le tre province più meridionali del Regno Yala, Pattani e Narathiwat, sotto tutte a maggioranza Malay e musulmane. Sono anche sconvolte dall’insorgenza più duratura ancora viva del Sudestasiatico, iniziata nei primi anni 60, accesa dalle politiche di assimilazione insensibili e applicate brutalmente che erano emanate dalla capitale Bangkok.
Al pari di Myanmar, Filippine ed altre nazioni del ASEAN che continuano ad essere alle prese con i diritti delle minoranze, è importante imparare dall’esperienza complessa e spesso amara della Thailandia.
Lingua, religione e cultura sono quando va bene questioni spinose. Qui nel meridione musulmano sono questioni incendiarie.
Eppure la conta dei morti è salita e scesa nei decenni. Nonostante innumerevoli sforzi la pace sfugge di mano. Nel 2007 infatti il numero delle morti raggiunse il picco di 892, una risposta diretta alla violenza straordinaria e alla crudeltà del massacro di Tak Bai del 2004 che lasciò almeno 85 morti.
Per fortuna, da allora la violenza è scesa in modo considerevole e finora nel 2018 ci sono stati record di minimo di 61 morti e 130 feriti.
Mentre si vuole essere ottimisti, è estremamente improbabile che farà la differenza un rinnovato impegno malese lanciato dal primo ministro Malese Mahathir Mohamad.
Infatti con oltre 7000 vite perse sin dal 2004, vale la pena ricordare che gran parte del conflitto si concentra all’identità, la religione e la lingua. Ed inevitabilmente gli insegnanti, particolarmente quelli di lingua malay si trovano in prima linea.
Cikgu Che vestita con cura è implacabile: “Sono una insegnante molto orgogliosa. Insegno da oltre due anni. Sono anche responsabile per i sussidi nella facoltà. Ho cento studenti nella classe quinta e sesta. Loro parlano a casa il dialetto malay di Patani. Ma a scuola imparano la lingua formale malay che è molto simile al malese parlato in Malesia. Sebbene sia un insegnamento opzionale, lo prendo molto seriamente come fanno i miei studenti”
Per chi non ha dimestichezza, il Malay di Patani è un dialetto locale parlato dalla vasta maggioranza della popolazione di 2 milioni di persone della regione. I suoi toni lirici dolci sono molto simili al malese parlato nello stato malese vicino del Kelantan.
L’apertura attuale alla lingua locale è in fortissimo contrasto con la situazione che Cikgu Che ha vissuto nella sua gioventù.
Allora gli studenti erano multati se usavano la lingua malay. E’ da vedere se queste piccole dispense come questa sono servite non certo a fermare ma ad allentare la tensione.
Cikgu Che che è la seconda ed unica figlia di quattro figli non ha l’apparenza di una agitatrice. Ma non è colei che rimane silenziosa.
“Ero una militante in tutti i miei anni universitari nella vicina università di Principe di Songkla. Scrissi una lettera al rettore quando vietò le sessioni di dialogo sul campus. Guidai i miei amici e colleghi a protestare contro la condotta spropositata dell’esercito contro i militanti, come l’attacco alla moschea di Patani di Krue Se e il massacro di Tak Bai. Non o paura di farmi sentire contro il governo”.
Molti della comunità del meridione e della comunità internazionale hanno criticato l’approccio superficiale per affrontare quella strage.
Nel marzo 2005, l’amministrazione dell’allora primo ministro Thaksin Shinawatra creò la Commissione di Riconciliazione Nazionale presieduta dal rispettato Anand Panyarachun.
L’attenzione dell’agenzia si concentrò su alcune raccomandazioni sugli sforzi di costruzione della pace con una serie di riforme proposte tra le quali rendere il Malay di Patani la lingua di lavoro ufficiale della regione e creare un’unità governativa disarmata per incontrare nel dialogo i militanti.
Purtroppo ma forse senza alcuna sorpresa, l’ex primo ministro generale Prem Tinsulanonda e capo del Consiglio della Corona rispose: “Non possiamo accettare quella proposta perché siamo thailandesi. Il paese è la Thailandia e la lingua è il Thai”.
Chingku è diretta: “Il governo ha paura della lingua malay, è una minaccia. Thai è importante, ma questo è un paese di tanti popoli”
Karim Raslan, AstroAwani