Due ex rappresentanti dei Khmer Rossi, Nuon Chea e Kieu Samphan, sono stati dichiarati colpevoli di genocidio e crimini contro l’umanità dopo un processo durato quattro anni.
Nuon Chea, 92 anni, il numero due del regime dopo Pol Pot, è colpevole di genocidio contro Vietnamiti e la minoranza musulmana Cham.
Khieu Samphan, 87 anni, capo di stato della Cambogia, è colpevole di genocidio contro i Vietnamiti ma non contro i Cham.
Sono stati condannati anche di altri reati come stupro e matrimoni costretti, purghe interne, e reati contro la Convenzione di Ginevra dalla ECCC, camere dei tribunali straordinari della Cambogia, creata dall’ONU per perseguire chi aveva commesso i crimini dell’era dei Khmer Rossi.
In quel periodo di quattro anni di regime dei Khmer Rossi tra il 1975 e 1979, scomparvero da 1.7 a 3 milioni di cambogiani.
A gennaio prossimo ci sarà il quarantesimo anniversario della caduta del regime che fu cacciato da ribelli al regime col sostegno vietnamita. La Cambogia fu controllata da un governo sostenuto dal Vietnam il cui primo ministro fu Hun Sen per tutti gli anni 80.
Dopo la loro cacciata i Khmer Rossi continuarono ad esistere nelle are lungo la frontiera thailandese da dove portarono avanti una guerriglia fino a metà degli anni 90, sostenuti da Cina ed USA che non accettarono per ragioni opposte l’occupazione vietnamita della Cambogia.
Ad agosto 2014, Khieu Samphan e Nuon Chea furono condannati alla prigione a vita per l’evacuazione forzata di Phnom Penh nell’aprile 1975. Successivamente cominciò il processo più recente, caso 002/02, per genocidio e matrimoni costretti in cui 185 testimoni ed esperti hanno testimoniato.
Questo verdetto si crede sia l’ultimo grande processo istruito dal tribunale dei Khmer Rossi. Mentre alcuni investigatori internazionali sperano di portare in giudizio altri presunti colpevoli, questioni politiche e finanziarie probabilmente lo impediranno.
Dal suo inizio nell’ottobre 2014, hanno seguito nel tribunale il caso 80 mila persone mentre in centinaia erano stati invitati a seguire il verdetto. Le audizioni si erano concluse a gennaio 2017.
“Voglio vedere giustizia” ha detto uno degli spettatori, un anziano della comunità Cham.
Parlando dopo il verdetto il vice primo ministro Bin Chhin ha chiamato “una giornata storica per tutta l’umanità” ed ha aggiunto che dopo decenni la Cambogia non ha vacillato nel perseguire la giustizia. Era presente anche uno dei figli di Hun Sen, Hun Many.
Secondo il tribunale Nuon Chea “giocò un ruolo fondamentale nel gettare le fondamenta per Kampuchea Democratica .. dall’inizio della rivoluzione”
Egli era coinvolto in tutti gli incontri e decisioni storiche “come braccio destro leale di Pol Pot” e nei periodi dal 1976 al 1977 assunse il comando dopo l’assenza di Pol Pot.
Nuon Chea per le cattive condizioni di salute ha seguito oltre metà del processo lontano dall’aula via televisione.
Il tribunale ha ritenuto Khieu Samphan colpevole di tutti i crimini ascrittigli tranne che di genocidio contro i Cham per il quale la corte “non è riuscita ad identificare o stabilire l’intento di genocidio”.
“Il processo fa parte del procedimento per dare giustizia alle vittime che furono uccise durante il regime della Kamphchea Democratica, oltre a coloro che sono sopravvissuti” ha detto il portavoce del tribunale Neth Pheaktra. “La pronuncia del verdetto è un evento storico per il tribunale dei Khmer Rossi, per la Cambogia e per il mondo oltre che per la giustizia internazionale”
“Il verdetto contro i capi dei Khmer Rossi deve aiutare i cambogiani a mettere questo sordido capitolo della loro storia alle spalle dando loro un senso che si è fatta e che si può fare un po’ di giustizie” ha detto Paul Chambers del College of ASEAN Community Studies in Thailandia.
La storia stessa di questo tribunale è incerta. Sebbene se ne fosse discusso a lungo alla fine degli anni 90, dopo la fine della guerra civile e dopo la resa degli ultimi capi dei Khmer Rossi, il tribunale si formò solo nel 2006.
Dopo oltre un decennio sono stati condannati solo 3 persone con un costo di quasi 300 milioni di euro che è qualcosa di grande per la povera Cambogia.
Nel 2010, il primo ad essere condannato fu il Compagno Duch, Kang Kek Iew, capo della prigione Tuol Sleng a Phnom Penh dove furono uccisi migliaia di prigionieri politici e civili. Ora è un museo del genocidio aperto al pubblico.
Ieng Sary e Ieng Thirith, altri due colpevoli di genocidio, morirono nel 2013 e 2014 durante il loro processo.
Mentre molti sopravvissuti dicono di essere contenti che si è fatta giustizia, molti pensano che le indagini non sono state esaustive e che qualcuno l’ha fatta franca.
Ci sono state lamentele per gli elevati costi del processo finanziato quasi per un terzo dal Giappone.
“Il tribunale non è stato molto efficace, 300 milioni di dollari per tre persone. 100 milioni l’uno. E questi sono responsabili per 1,7 milioni di morti, cioè 566mila morti a testa?” dice scettico Sophal Ear del Occidental College at Los Angeles. “Ma naturalmente Duch fu responsabile per le oltre 12 mila morti, e Khieu Samphan e Nuon Chea si tengono il resto?”
Dall’inizio si decise che i soli crimini da indagare da parte del tribunale sarebbero stati quelli commessi tra il 1975 e 1979 quando i Khmer Rossi erano al potere.
Ma i Khmer Rossi controllavano vaste parti del paese molto prima di prendere Phnom Penh e continuarono con le loro atrocità negli anni 80 e 90.
La Cambogia si trova davanti al duro compito di liberare dalle mine poste dai Khmer Rossi vaste aree lungo la frontiera con la Thailandia.
Dopo la fine del regime dei Khmer Rossi nel 1979, il governo sostenuto dal Vietnam creò un Tribunale Rivoluzionario del Popolo a Phnom Penh che condannò in contumacia Pol Pot e Ieng Sary per genocidio.
Il governo cambogiano a metà anni 80 chiese il sostegno di un tribunale internazionale, ricevendo il diniego da parte di vari paesi occidentali che sostenevano allora il governo dei Khmer Rossi.
Molti sostengono che il governo in carica abbia provato a limitare lo scopo del tribunale negli anni recenti impedendogli di indagare sul comando intermedio dei Khmer Rossi.
“Perseguire i responsabili per gli omicidi di massa fatti sotto il regime dei Khmer Rossi è uno sforzi necessario e nobile. Ma il modo in cui si è creato ECCC lascia molto a desiderare” dice Sam Rainsy, capo del disciolto CNRP, partito di opposizione. “Ha reso una giustizia selettiva e frammentata, quindi insoddisfacente permettendo al regime di Hun Sen di controllare i processi e le procedure giudiziarie”.
Alcuni dei più anziani capo del CPP di governo, che è al potere sin dalla caduta del regime dei Khmer Rossi nel 1979, erano essi stessi ufficiali dei Khmer Rossi, compreso lo stesso Hun Sen, il quale era vicecomandante della regione orientale, vicino alla frontiera vietnamita, e che perse un occhio quando combatteva per i Khmer Rossi.
Lo stesso Heng Samrin, ex presidente del partito rivoluzionario del Popolo Kampuceo, ed ora presidente dell’assemblea nazionale, era un quadro intermedio del regime.
Hun Sen ha detto che un nuovo processo porterebbe alla guerra civile in Cambogia. Il processo è stato spesso complicato da agende in opposizione e desideri diverso di investigatori e giudici locali ed internazionali in questa corte mista.
All’inizio dell’anno, il giudice investigatore internazionale del tribunale annunciò l’idea di indagare Ao An, vice segretario della zona centrale del regime dei Khmer Rossi. Ma mesi dopo il contingente cambogiano del tribunale chiese che si lasciasse cadere il caso.
Lo scorso anno il governo affermò che l’ex Khmer Rosso Im Chaem non apparteneva alla categoria dei più responsabili nonostante fosse accusato di aver presieduto alle morti di decine di migliaia di persone nei campi di lavoro.
Ci sono formalmente altre 4 persone accusate nel tribunale del ECCC, sebbene resta da vedere se andranno sotto processo.
“Il governo attuale della Cambogia di certo vorrebbe vedere una fine veloce del ECCC” dice Paul Chambers.
Ma nonostante le critiche al tribunale molti cambogiani hanno detto di essere felici di vedere che della giustizia per quanto limitata era stata fatta.
David Hutt, Asiatimes.com