Dopo oltre quattro anni dal golpe del maggio 2014, la giunta thailandese ha fissato una nuova data per le elezioni, febbraio 2019.
Sebbene i militari abbiano spesso spostato nel passato la data delle elezioni, sembra probabile che si faranno queste elezioni mentre tutti i partiti politici hanno iniziato la loro campagna, a cominciare dai partiti vicino alla giunta.
Questo periodo di transizione riporterà la Thailandia sul tracciato democratico?
Per riassumere, è improbabile.
Con la nuova costituzione sostenuta dai militari ci sono alcuni articoli fatti per indebolire le istituzioni democratiche, mentre nel frattempo il potere dei militari si radica.
Nel futuro la politica thai potrebbe ben assomigliare a quella birmana, dove la posizione dei militari in politica è garantita dalla costituzione.
Come fa notare il rapporto dell’Indice di Trasformazione di Bertelsmann, BTI, sulla Thailandia, la nuova costituzione “vuole indebolire i partiti politici e stabilire il controllo dei militari e della monarchia sul parlamento e sull’esecutivo”.
Includendo la possibilità che possano essere candidati al governo individui non eletti, come per esempio i militari, permette ancora l’influenza politica dei militari sulla politica. E’ perciò possibile che il paese si trasformi dall’essere sotto il governo militare ad un regime influenzato dai militari con un velo sottile di democrazia.
E’ vero che i partiti politici opposti alla giunta si guadagnano l’attenzione degli elettori. Tra loro c’è il FFP, Partito del Futuro Progressista, guidato dal miliardario Thanathorn Jutangroongruangkit che si presenta con una piattaforma democratica che promette di sradicare l’influenza politica dei militari.
Nel frattempo, l’ex partito di governo del Phuea Thai, sotto la guida della famiglia Shinawatra, mostra la sua prontezza a competere nella corsa elettorale creando delle proprie ramificazioni, dei partiti più piccoli che devono raccogliere il massimo dei voti e fare all’occorrenza come partiti di coalizione, se il Puea Thai non dovesse vincere la maggioranza dei voti.
Ma ci sono grandi ostacoli da superare per i partiti contrari alla giunta. Sono stati tutti minacciati di essere disciolti dalla Commissione Elettorale nel caso che la loro campagna dovesse essere vista in violazione delle regole poste dal governo militare.
Le elezioni prossime riforgeranno la struttura politica thai ridefinendo la vecchia classe dirigente.
Sarà la prima votazione sotto il regno di Re Vajiralongkorn. Si potrebbe dibattere che il golpe del 2014 fu fatto per la dirigenza politica potesse gestire la successione reale. La fine dell’era Bhumibol accese ansie nella elite conservatrice sul come mantenere lo status quo. In questo senso le elezioni potrebbero essere viste come una facilitazione alle elite a mantenere il pugno di ferro sul potere politico.
La disperazione dei capi conservatori ha iniziato ad impedire lo sviluppo democratico del paese che si sviluppò all’indomani della costituzione del 1997, la costituzione popolare. L’indice del BTI illustra questo declino e fa cadere lo status di democrazia della Thailandia ad un 3.3 su dieci punti totali, nella categoria delle forti autocrazie.
Non sorprenderà se il premier attuale che comandava i golpisti, generale Prayuth, resterà ancora nel dopo elezioni. Dopo tutto, i militari hanno dimostrato che va tutto bene col nuovo re, la cui posizione sul trono dipende dal loro sostegno.
Se Prayuth dovesse continuare ad essere primo ministro della Thailandia, la politica thailandese avrà una svolta verso l’autoritarismo. Ma anche se vincessero le elezioni coloro che si oppongono alla giunta, troverebbero grandi ostacoli negli elementi antidemocratici della costituzione.
Il golpe è ancora un’opzione come ha confermato dal generale Apirat Kongsompong scelto dallo stesso Re Vajiralongkorn per comandare l’esercito. La Thailandia sprofonderebbe ancor di più nel suo circolo vizioso.
Al momento i suoi vicini restano spettatori passivi ad osservare lo sviluppo di questa saga politica.
Alla fine ASEAN resterà fermamente ancorata alla sua regola di non interferenza. Inoltre la crescita all’interno del ASEAN di elementi illiberali ha reso la maggioranza degli stati politicamente vulnerabili.
Ma il Sudestasiatico non è il solo a mostrare una crescita delle tendenze illiberali. Le incertezze politiche negli USA sotto Trump, la presenza militare cinese, il dilemma della Brexit in Europa, sono indicazioni che la democrazia si trova in un momento negativo. Questa tendenza globale ha incoraggiato alcuni regimi nel Sudestasiatico a minare i principi democratici a casa propria.
L’attenzione si è concentrata sulla crisi Rohingya in Birmania, la crescente efferatezza del regime vietnamita contro i propri dissidenti, il restare al potere della guida politica cambogiana, la differenza crescente tra ricchi e poveri a Singapore e il crescente clima totalitario nelle Filippine.
Questi sviluppi hanno distolto l’attenzione dalla Thailandia e hanno fatto finta di non vedere le pressioni continue sull’opposizione politica da parte della giunta, né l’indebolimento crescente delle liberà democratiche.
Alla lunga il Sudestasiatico soffrirà per la mancanza di buon governo della Thailandia e la scomparsa dei valori democratici. L’insicurezza politica che comporta sconvolgerà probabilmente le economie nazionale e regionale perché la crescente tendenza illiberale della nazione avrà conseguenze sulla fiducia degli investitori esteri.
Pavin Chachavalpongpun, TheDiplomat