Resta incerto il futuro del Mekong mentre la Thailandia accende la miccia del progetto di far saltare le rapide
All’alba del nuovo anno, le acque del fiume Mekong restano turbolenti per l’incertezza. Mentre gli altri hanno festeggiato il nuovo anno, la gente del Bacino del Mekong ha davanti un futuro sconosciuto.
A Chiang Rai la gente si era preparata a partecipare ad una audizione pubblica sul progetto di canalizzare il Mekong, o Lancang per i Cinesi, conosciuto come il “progetto di far saltare le rapide”. Il gruppo di difesa ambientale Chiang Kong Conservation Group ha saputo dal Dipartimento del Mare che si sarebbero organizzate otto audizioni nei distretti lungo il Mekong a Chiang Rai dal 12 al 18 dicembre.
Comunque appena un giorno prima dell’inizio degli incontri il gruppo ha ricevuto una lettera in cui si avvisava che le audizioni sarebbero state spostate ad un momento non definito.
Cambio inaspettato di direzione
E’ appena cominciato il nuovo anno che arriva l’annuncio in cui si convocano le audizioni tra il 3 ed il 5 gennaio. E’ un cambio che ha sorpreso i gruppi ma segue il percorso contraddittorio di dichiarazioni sul progetto del far saltare le rapide.
Quasi due decenni fa, Cina, Birmania, Laos e Thailandia firmarono un accordo sulla Navigazione Commerciale sul fiume Mekong con cui si vuole permettere la navigazione di navi da 500 tonnellate tra lo Yunnan cinese meridionale e il confine Thai Laotiano fino a Luang Prabang.
L’accordo diede le basi per la proposta di canalizzazione delle rapide per permettere la navigazione alle imbarcazioni commerciali. Secondo questo progetto si converte il Mekong in una via d’acqua commerciale.
Il progetto è stato applicato già lungo la frontiera con la Birmania fino al confine con il Laos alla frontiera Thailandese del Triangolo d’Oro.
Per le comunità Thailandesi il piano pone gravi preoccupazioni sulla minaccia all’ecosistema del fiume che è l’habitat e luogo di riproduzione del pesce, e al sostentamento locale.
La proposta canalizzazione in Thailandia rimase sospesa per oltre dieci anni dai precedenti governi per gli impatti ambientali e la questione della sicurezza nazionale e la sovranità sul confine con il Laos.
Alla fine del 2016, l’impresa cinese China CCCC Second Harbor chiese di incontrare il Chiang Kong Conservation Group e propose di condividere informazioni sul progetto di canalizzazione del Mekong indicando che il progetto aveva ricevuto nuova linfa.
A pochi giorni dall’incontro il governo thailandese adottò una risoluzione che sosteneva i piani di “indagine e disegno”. Fu una decisione fortemente inattesa ed uno shock per la comunità del Mekong di Chiang Rai.
In seguito ad una forte campagna delle comunità locali, alla fine del 2017, il ministro degli esteri Don Pramudwina, dopo aver partecipato al III Incontro dei ministri degli esteri del Mekong Lancang nello Yunnan, annunciò che la Cina aveva deciso di fare un passo indietro dalla decisione di far saltare le rapide.
Il ministro thai disse che il governo cinese aveva riconosciuto che il progetto di far saltare le rapide avrebbe danneggiato le comunità lungo il fiume. Lo definì un “Regalo dell’Anno Nuovo”.
Le comunità in un limbo
Ma le audizioni annunciate da poco, anche se spostate, dicono che il progetto è fin troppo vivo e sarà portato avanti. Continuano le sospensioni e le dichiarazioni contraddittorie e creano un prolungato senso di incertezza nelle comunità locali che lottano per conservare il carattere e le ricche risorse del loro fiume.
Resta la questione del perché questo progetto è continuamente portato avanti nonostante le precedenti sospensioni e dichiarazioni contrarie.
Il Mekong a Chiang Rai ha già visto una grave devastazione ambientale per la costruzione delle dighe nel versante cinese a monte. Sono state completate almeno dieci dighe nel Lancang, o Mekong Superiore, e la più vicina al confine Thai, la Jinghong, si trova a 350 chilometri. Altre tre dighe sono pronte ad essere costruite nel Laos tra le quali la Pak Beng, proposta da una ditta cinese a Oudomxay, a 90 chilometri dal confine thailandese
Il progetto della Pak Beng prevedono le chiuse di navigazione per permettere la discesa delle chiatte commerciali. Se si dà uno sguardo più vasto, la proposta di canalizzazione la si può inquadrare nel contesto di un quadro più vasto del fiume che deve essere convertito da un bacino con rapide veloci a via d’acqua e bacino di potere, sotto la forma di canali e riserve che producono energia e profitti e facilitano il commercio transfrontaliero e le attività commerciali.
L’impresa cinese della Pak Beng ha anche provato a incontrare le comunità thailandesi che denunciavano gli impatti ambientali contrari del progetto. Alla fine del 2017 la Datang Corporation contattò il gruppo Chiang Kong per un incontro in cui condividere le informazioni sulla diga proposta. Si ebbe un incontro a Chiang Khong a gennaio seguita da una consultazione tecnica a novembre favorita dall’Università di Chiang Mai.
Nell’incontro Network of Thai People in Eight Mekong Provinces propose una nuova indagine di valutazione degli impatti transfrontalieri per rivalutare gli impatti ecologici e la probabilità di danni estesi alla pesca, alla cultura, al sostentamento e risorse naturale del fiume.
La Commissione Del Fiume Mekong ha scoperto che lo studio esistente per la diga di Pak Beng è gravemente falsata, basata su dati vecchi. L’impresa deve ancora rispondere.
Da abitante della zona che lavora alla protezione del fiume da venti anni, prevedo grandi preoccupazioni sugli impatti dei progetti che si portano avanti mentre la gente attene confusa e piena di paura il prossimo sviluppo.
Milioni di persone osservano mentre le imprese cinesi dei progetti provano a convincere la gente con incontri e dialogo. Potrebbero essere delle considerazioni politiche alla base di questi tentativi, perché la Cina guarda ad accrescere l’influenza a valle attraverso gli auspici di un quadro di cooperazione del Lancang Mekong, una copia in miniatura della Nuova Via della Seta che globalmente ha già posto grandi preoccupazioni. Potrebbero essere spiegati anche con gli obblighi legali con le leggi cinesi che sono sempre più stringenti riguardo agli effetti ambientali contrari degli investimenti all’estero.
Ma approcciare la gente del Basso Mekong per la mera informazione sui progetti non ha senso se non coinvolge un dialogo reale che si basi sulla mutua comprensione di trattare il Mekong come una risorsa condivisa.
Importante al fine di un dialogo sensato è il riconoscimento da parte degli stati del Mekong del danno che si infligge ora al fiume a causa della costruzione delle dighe, della canalizzazione e di altri sviluppi. Finora non c’è stata volontà politica di trovare soluzioni collettive tra gli stati.
I governi invece sembrano intenti a servire interessi forti del settore privato anche nello spregio dei costi ambientali e sociali. Nella sua visita in Laos il Premier Thai Prayuth ha discusso dell’acquisto di elettricità a basso prezzo dal Laos, quasi tutta generata dalle dighe sul Mekong e sui suoi affluenti con gli impatti gravi sul sistema fluviale.
Allo stesso tempo la Thailandia gode di un eccesso di energia senza precedenti, e le tecnologie alternative di energia rinnovabile sono sempre più fattibili e competitive.
Mentre svoltiamo la pagina del nuovo anni, si deve ascoltare la voce delle comunità del Mekong da parte di governi, imprese ed investitori.
Abbiamo davvero bisogno di sviluppare risorse naturali senza prezzo per il profitto di oggi senza preoccuparsi delle conseguenze irreversibili per il fiume e per le generazioni presenti e future?
Pianporn Deetes TheNation