La diciottenne Rahaf Mohammad al-Qunun è stata sia brava con i media che fortunata nell’evitare di essere rispedita dall’aeroporto di Bangkok con la forza in Arabia Saudita dove potrebbe incontrare una possibile morte.
L’uso dei media sociali, che in questo caso è stato Twitter, è diventato fondamentale nel permettere alla ragazza saudita di chiedere aiuto dalla sua stanza dell’hotel dell’aeroporto.
“@PravitR se conosci qualcuno che possa fermarli dal costringermi a salire sul voto, per favore contattami quanto prima” è stata la sveglia che mi è stata tuittata da @Rahaf84427714 alle 6 di mattina. Era domenica ed era la mia giornata libera così risposi come un essere umano deve fare.
Nel giro di 24 ore, abbiamo visto Rahaf raccogliere 45000 amici e molti sostenitori, tra cui diplomatici, gente dei media e militanti dei diritti, per la sua causa.
Rahaf disse che aveva rinnegato l’Islam e sarebbe andata incontro a morte certa se fosse stata mandata in Arabia Saudita. Le suggerii di provare a rivolgersi al UNHCR su Twitter, e grazie a dio, l’ufficio di Bangkok dell’agenzia dei rifugiati dell’ONU fu efficiente. Riuscì a porla sotto la sua protezione quella notte, a darle lo status di rifugiata il mercoledì e l’ha aiutata a salire su un volo per il Canada venerdì notte.
Sembra una storia a lieto fine questa di Rahaf ma non c’era assolutamente nulla di certo.
Rahaf sostenne che era stata contattata da un esponente dell’ambasciata saudita all’arrivo a Bangkok sabato mentre provava a salire su un volo per l’Australia. Il passaporto le fu confiscato e lei finì per rinchiudersi nella stanza 303 del Miracle Transit Hotel.
Armata di un solo telefonino, Rahaf ha mobilitato aiuto e simpatia dal suo profilo Twitter.
Le autorità thailandesi la domenica mattina diedero ogni indicazione che sarebbe stata posta con la forza su un volo delle 11.15 della mattina della Kuwait Airways verso Kuwait City da dove era fuggita dalla famiglia durante un viaggio.
Molti hanno fatto quello che potevano, telefonando al UNHCR, contattando le ambasciate occidentali e facendo da amplificatore del suo SOS sui media sociali.
A mezzogiorno, nell’apprendere che una persona a me nota conosceva la famiglia proprietaria dell’hotel, le chiesi di contattarla e vedere cosa accadeva e richiedere che Rahaf fosse trattata in base a considerazioni umanitarie.
La proprietà dell’hotel per quanto vicina a quanto stava succedendo, non era nelle condizioni di impedire alle autorità thailandesi di portare via Rahaf. Il fattore tempo era essenziale.
Per telefono avvisai Phil Robertson, vice direttore di HRW che vive a Bangkok, dicendo che non era rimasto più altro tempo. Anche se Rahaf era riuscita ad evitare di essere costretta a salire su quel volo.
In quelle stesse ore era cominciato un attacco contro il regime militare thailandese con la minaccia di boicottaggio del turismo thailandese e l’hashtag #SaveRahaf era uno dei più forti su Twitter.
Elaine Pearson, direttrice australiana di HRW, scrisse su Twitter: “E’ in gioco la reputazione della Thailandia come destinazione idilliaca. La Thailandia non deve diventare ugualmente famosa per la collusione con i regimi autoritari, tenendo in detenzione persone nell’aeroporto di Bangkok e costringendo con la forza a ritornare in situazioni di tortura/violenza/carcere, #SaveRahaf #SaveHakeem”
Un espatriato di stanza a Bangkok Tom Touhy rispose “Completamente d’accordo. Il turismo thailandese ha già avuto un grande colpo con il disastro della nave di Phuket che uccise 47 cittadini cinesi. E’ la volta che ora la Thailandia dimostri che si prende cura degli altri specialmente una giovane donna intrappolata a Bangkok piena di paura per la propria vita se rispedita in Arabia”
Avrei bisogno di tanto spazio per mostrare tutti quelli che online hanno fatto pressione sul regime militare aiutando a salvare Rahaf. Uno dei primi è stato il nuovo ambasciatore tedesco in Thailandia, Georg Schmidt che tuittò la propria preoccupazione per Rahaf ed intervenne domenica mattina. Il messaggio dell’ambasciatore dal suo profilo ufficiale @GermanAmbTHA fu rituittato 1416 volte.
A lavorare dietro le scene c’erano anche Canada, Olanda e la missione UE a Bangkok.
Alla fine, il fatto che il diplomatico saudita a Bangkok Abdullh al-Shuaibi avesse detto che la polizia dell’immigrazione avrebbe fatto meglio forse a confiscare il telefono piuttosto che il passaporto, la dice lunga sulla sua felice fuga, sulla tempesta Twitter costringendo sia i sauditi che le autorità thailandesi a fare passi indietro.
Nonostante che il numero due della giunta il generale Prawit Wongsuwan avesse detto domenica che Rahaf sarebbe stata mandata indietro, nel primo pomeriggio il capo della polizia dell’immigrazione Surachate Hakparn era riuscito in un tardivo salvafaccia dichiarando che la Thailandia, come Terra dei Sorrisi, “non avrebbe mandato qualcuno verso la sua morte”.
Questo fu qualche ora prima che la polizia dell’immigrazione impedisse a giornalisti e persino un commissario dei diritti umani di incontrare Rahaf. La commissaria Angkhana Neelapaijit disse allo scrivente che la polizia dell’immigrazione affermava di non avere giurisdizione sulla materia e non poteva fare nulla per salvare Rahaf. Questo nonostante fossero stati coloro che avevano isolato la stanza dell’hotel.
Auguro a Rahaf tutto il meglio per la sua nuova vita in Canada, dove il credere o anche la mancanza di religione, non è un reato.
Mentre lasciava Bangkok andando verso il Canada scrisse su Twitter:
“Vorrei ringraziarvi per avermi sostenuto e salvato la vita. Non avrei mai immaginato questo amore e sostegno. Siete la scintilla che mi spinge ad essere una persona migliore”
Venerdì pomeriggio oltre 134 mila profili la seguono su Twitter. Con la sua nuova fama e forza, spero possa avere un ruolo per i diritti delle donne in Arabia Saudita ed il mondo arabo ed ad aiutare a salvare la vita di altri.
Sono ancora molti in simili situazioni.
Mentre Rahaf è arrivata e partita, il giocatore di calcio del Bahrain, Hakeem Alaraibi, resta in una prigione di Bangkok dopo essere stato arrestato nello stesso aeroporto lo scorso anno mentre tornava in Australia dalla sua luna di miele, nonostante abbia uno status valido di rifugiato.
L’hashtag #SaveHakeem è una storia lunga e differente che merita un articolo a parte.
Pravit Rojanaphruk, Khaosodenglish.com