“La si può considerare una certezza, da sette a dieci pescatori birmani almeno saranno uccisi durante la sosta dal mare” diceva Nyi Nyi, un pescatore Mon originario della Birmania che vive nel villaggio di Ban Thaplamu nella provincia di Phang Nga, non lontano dalla zona dei costosi alberghi dove, ogni anno, le idilliache spiagge bianche e le acque turchesi attraggono migliaia di turisti stranieri.
Mentre la pesca al mare nelle notti di luna si dice quasi impossibile, la maggior parte delle barche da pesca sono ferme al molo e i pescatori stanno sulla costa per un riposo sulla terra asciutta per sette o otto giorni al mese. Il periodo di quattro giorni prima della luna piena e quattro dopo di essa è per i pescatori birmani il periodo di “Paik Tak”, il recupero delle reti da pesca.
Durante il “paik tak”, molti pescatori birmani nel villaggio di Thaplamu, in cui vive una popolazione birmana di tremila famiglie, si godono il proprio tempo libero ubriacandosi del tutto e drogandosi nei bordelli dove cercano il cuore di qualche carina prostituta birmana.
Posseggono tutti un’arma, di solito nascosta sotto i vestiti, e quelli che vogliono evitare pericoli non escono affatto dopo le nove di sera.
L’abuso di droghe e di alcol, unitamente al continuo risentimento mentre si lavora in mare, spingono molti pescatori birmani alla violenza. Molti sono uccisi con i pugnali e con barre di ferro appuntite.
“Credo che tutto accada perché non abbiamo mai studiato e non ci sentiamo responsabili delle nostre azioni” diceva Win Khet, un pescatore del villaggio, che mostrava le ferite sulla testa procuratesi durante gli scontri con altri pescatori.
“Il linguaggio duro è una norma sulle barche. Le liti scoppiano per ogni nonnulla. Le vendette si fanno brutte, la brutalità è sconvolgente. Me ne rammarico sempre, dopo” diceva.
Spinti dalla povertà e dalla disoccupazione, i pescatori birmani di questo villaggio thailandese vengono quasi tutti dalle aree di Tavoy, Mon e Arakan. Molti di loro dicono che una delle ragioni per cui sono così turbolenti è che le autorità thailandesi raramente si prendono cura di perseguire i crimini o gli assassini se sono coinvolti solo birmani.
“Se la polizia scopre un cadavere e vede che si tratta di un birmano, lo lasciano lì” diceva Win Naing, un pescatore ed un soldato in congedo che ha fondato un’organizzazione di funerali chiamata “Shwe Myanmar Collector Corpses”.
“Le autorità della città raccolgono i corpi al mattino e li buttano in un ammasso di rifiuti fuori della città” diceva. L’organizzazione, al lavoro da tre anni, si è presa la responsabilità di cremare molti pescatori. Win Naing mostrava le foto di pescatori birmani morti all’Irrawaddy, dai corpi insanguinati e bucati di ferite mortali.
“Una delle regole della nostra organizzazione è di non rispondere mai alle domande della polizia sui morti. Il nostro scopo è di dare un funerale appropriato ai nostri connazionali.”
I pescatori dicevano che nel 2004 e 2005 c’erano almeno due o tre omicidi al giorno tra i pescatori, che accadevano solitamente durante il Piak Tak, ma un senso di pericolo pervade sempre il villaggio.
Htoo Chit, direttore esecutivo di una ONG birmana a Phang Nga, diceva che molti degli scontri avvengono lungo una linea di divisione etnica. Diceva che durante una sua ricerca sulle condizioni sanitarie nel villaggio, ebbe bisogno della protezione della polizia.
“Da quella indagine, non sono più tornato a quel villaggio. Oltre alla violenza endemica, la maggioranza dei genitori birmani porta via i bambini dalla scuola all’età di 12 anni per mandarli a lavorare sulle barche. Una situazione impossibile da contrastare.”
Frustrati dall’incapacità dei propri connazionali di condurre una vita pacifica in Thailandia, nell’ottobre 2007 un piccolo gruppo di pescatori ha trovato una nuova idea per rompere la monotonia.
Hanno fondato una libreria con lo scopo di creare relazioni cordiali nella comunità birmana di Ban Thaplamu e contribuire alla riduzione del livello di violenza. Quando hanno esposto ai pescatori e alle loro famiglie questa idea hanno raccolto quasi trecento dollari
“Non ne potevamo semplicemente più della violenza e delle morti” dice Nyi Nyi, un giovane che insieme ad altri amici gestisce la libreria. “Poiché viviamo in una terra straniera sappiamo che dobbiamo risolvere tutti questi problemi tra noi. Nessuno mai ci aiuterà”
Hanno chiamato la loro libreria Alingtgar, una parola birmana che indica una porta da cui proviene la luce. Hanno riempito gli scaffali di vecchi giornali birmani e romanzi d’amore, poi sono riusciti ad avere un po’ di libri dalla ONG World Vision.
L’apertura di una libreria e la nascita di un punto di riferimento nel villaggio per i pescatori birmani è diventata una preoccupazione per la polizia locale, e la libreria ha dovuto spostarsi un un posto più isolato. Oggi la libreria ha cento membri e il sostegno totale del capo villaggio, una donna.
“Lei ha capito le nostre buone intenzioni. Volevamo aiutare i nostri fratelli a migliorare la propria cultura e volevamo anche creare un’atmosfera socievole con incontri e occasioni dove fare amicizia.
Lo scorso anno gli organizzatori hanno cominciato un programma di prestiti ai loro connazionali e finora hanno prestato quasi tremila dollari, facendo un profitto di trecento dollari, che è stato speso per acquistare altri libri ed una donazione salutare per il tempio buddista del posto.
“Sono felice che esiste questa libreria, così posso studiare medicina e la terapia” diceva Tin Shwe, un pescatore dell’Arakan.
Un pescatore scherza sul fatto che lui ed alcuni amici, nel toccare terra, vanno direttamente alla libreria invece di andare a casa dalle mogli e dai familiari.
Tutti si dicono d’accordo nel dire che ultimamente la comunità ha fatto molti progressi benché alcuni omicidi siano accaduti lo scorso mese.
Thaplamu non è il solo villaggio dove una comunità birmana è in lotta per affrontare la violenza. A Ban Pak Nam nella provincia di Chumpon sono i pescatori stessi a ricordare che l’uso rampante delle droghe e dell’alcol è responsabile per l’alto tasso di omicidi e lo scoppio facile della violenza.
“Quando vediamo una ragazza birmana di bell’aspetto, ricordiamo scherzando che sarebbe potuta costare almeno tre vite, durante il periodo del paik tak” diceva Kyaw Than un proprietario di un ristorate del posto.