Le frettolose dichiarazioni del governo filippino che individuavano in due indonesiani gli autori delle bombe alla cattedrale di Jolo hanno bloccato le prospettive di una cooperazione regionale sul terrorismo rafforzando tra le controparti indonesiane la percezione delle Filippine come di partner inaffidabile e poco professionale.
La prontezza con cui i politici filippini hanno dichiarato chiuso il caso è un disservizio per tutti gli operatori dell’intelligence e ufficiali di polizia più giovani e ben addestrati, a Manila e Mindanao, che sono determinati a scoprire chi sono gli autori e scoprire la sequenza di eventi che hanno portato all’attacco.
Gli indonesiani potrebbero pur essere coinvolti, e se lo fossero, è fondamentale il bisogno di condividere informazioni proattive. Mentre le roccaforti dello stato islamico nel Medio Oriente cadono, l’invito dei capi del Califfato Islamico di portare la guerra a casa propria assume un nuovo significato per il sudestasiatico a sottolineare il bisogno di una cooperazione transnazionale.
Il compito urgente è che i paesi donatori usino ogni opportunità per riavvicinare gli Indonesiani ed i Filippini di tutte le agenzie, a tutti i livelli per controbattere la sfiducia causata dalle frettolose dichiarazioni politiche irresponsabili.
Un gioco di colpe?
Restano scarse le prove concrete. La domenica 27 gennaio, si ebbe un’esplosione dentro la cattedrale, seguita alcuni secondi dopo da un’altra bomba fuori della chiesa quando i soldati di guardia si lanciarono sulla scena.
Il 29 gennaio il presidente Duterte parlò ai giornalisti e disse di aver appreso da fonti dell’intelligence che, ad aver posto le bombe, era una coppia di marito e moglie che, mentre c’erano rapporti contrastanti, sembravano essere indonesiani.
Il primo febbraio il ministro dell’interno Eduardo Ano identificò come indonesiani i bombaroli suicidi, sebbene dicesse anche che l’informazione era da verificare.
In una conferenza stampa del 4 febbraio, il capo della polizia nazionale filippina Oscar Albayalde annunciò la “resa” di cinque sospettati, tutti membri di Abu Sayaff, pose il costo in vite umane a 23, uno in più dei rapporti precedenti, e riferì di una donna indonesiana come uno dei suicidi.
Molti restano scettici delle circostanze della “resa”.
Non ci sono prove concrete per identificare gli autori: nessun documento di viaggio o di entrata, nessun dito da cui prendere le impronte, nessun cranio per ricostruire le possibili immagini facciali, nessuna identificazione che renderebbe possibile il riscontro del DNA. Fino ad oggi, non è chiaro se le bombe sono state fatte esplodere dalla coppia stessa o da qualcun altro vicino al sito.
L’informazione che la coppia sia indonesiana si basa sulla testimonianza di alcune persone. Una di queste li ha sentiti parlare indonesiano e avendo vissuto alcuni mesi in Indonesia ha saputo riconoscere la lingua; ed un’altra che ha passato vari mesi nello stesso campo, come lo straniero maschio, testimoniò che l’uomo era asiatico senza però riconoscerne la nazionalità.
Il campo, guidato dal capo del gruppo di Abu Sayaff Hatib Hajan Sawadjaan, ospiterebbe un pugno di stranieri compresi un egiziano e due o tre minorenni.
Prove perse e fiducia incrinata
Gli indonesiani erano inferociti per le conclusioni fatte dai signori politici sulla nazionalità degli autori delle bombe sulla base di una prova così succinta.
L’unità d’elite dell’antiterrorismo indonesiano, Densus 88, inviò un gruppo a Jolo per capire quale altre informazioni potevano racimolare per scoprire che la scena del crimine era un disastro. Le famiglie che si riprendevano i propri morti ed i feriti, i vari grandi personaggi visitavano la scena con i media al seguito, i cani si mangiavano i resti umani, a significare che le prove fondamentali erano andate perdute.
L’ambasciatore indonesiano a Manila mandò una richiesta formale di chiarimenti al ministro degli esteri filippino, mentre il ministro degli esteri indonesiano Retno Marsudi sottolineava che non c’erano prove concrete che erano coinvolti indonesiani.
Si è persa la fiducia che è vitale per la cooperazione sulle questioni dell’antiterrorismo. Alcuni rappresentanti filippini credono che l’Indonesia invii deliberatamente i propri terroristi nelle Filippine per assicurarsi che non facciano danni in casa.
Alcuni alti ufficiali indonesiani vedono le Filippine come incapaci di condurre indagini serie e quindi perché condividere informazioni sensibili che sarebbero usate male?
Le bombe di Jolo hanno allargato la forbice in un momento quando c’è sempre più bisogno di comprendere i legami tra movimenti estremisti nei due paesi. I donatori possono aiutare.
Ora è il momento di prendere qualunque cosa i finanziamenti dei governi destinano agli scambi per riportare filippini ed indonesiani negli stessi programmi. Applicazione della legge, immigrazione, amministrazione della prigione ed intelligence per assicurare che, anche se i politici facciano un casino delle cose, i legami personali stabiliti possono fare in modo di compensare.
Sidney Jones, IPAC Giacarta, CNA