Cinque anni fa in molti videro lo scontro elettorale tra Joko Jokowi Widodo e Prabowo Subianto per la presidenza della repubblica come una guerra tra il bene ed il male. Le elezioni di aprile prossimo è più un caso di scegliere il male minore.
Nel 2014 Jokowi aveva puntato sulla promessa di porre fine al mercato delle vacche che aveva rallentato la riforma democratica fino a fermarla, erigendosi a presidente della voce della gente.
La sua candidatura dava un senso di speranza incarnata in un movimento di volontari entusiasti che fece a pezzi l’apatia indonesiana verso i politici.
Di contro Prabowo apertamente giocò la carta dell’autoritarismo. L’ex generale che si presentò da candidato archetipo dell’uomo forte promise di restaurare lo status indonesiano di tigre asiatica minacciando di smantellare le colonne portanti della democrazia indonesiana, incluse le stesse elezioni presidenziali dirette.
Nonostante le dure differenza tra i due, Jokowi vinse di poco con un margine del 6 per cento.
Venendo velocemente ad oggi, il contrasto tra i due candidati è molto meno netto. Jokowi ha usato poco il suo mandato di rivitalizzare la riforma democratica senza riuscire a fermare la divisione crescente religiosa e mostrando proprie tendenze illiberali lui stesso. Eppure Jokowi è entrato nella campagna elettorale del 2019 come un chiaro vincitore. Alla fine di gennaio guidava le indagini di mercato con 55 a 35%.
Jokowi di certo sa che la corsa non è finita perché quasi distrusse un simile vantaggio nel 2014. Ma finora la campagna elettorale è in qualche modo su toni bassi senza mostrare ancora la forte e netta polarizzazione che molti osservatori avevano temuto.
Il curriculum di Jokowi
Nel 2014 ci furono tre differenze nette tra le campagne di Jokowi e Prabowo.
Jokowi, per prima cosa, offriva un nuovo modo diretto di fare politica, laddove i riferimenti costanti di Prabowo ai presidenti Sukarno e Suharto indicavano che avrebbe preferito tornare al paese dal passato autoritario.
La seconda differenza è che Jokowi promise un governo più aperto e responsabile, mentre Prabowo si ritrovò a difendere due partiti di coalizione immersi in scandali di corruzione.
La terza differenza è che il sostegno a Joowi giunse prima di tutto da nazionalisti e partiti religiosi moderati facendo apparire la sua coalizione decisamente pluralista. D’altro canto Prabowo si giocò la carta islamica abbracciando i partiti religiosi conservatori ed i gruppi islamici radicali. In modo significante queste differenze si sono ravvicinate nel corso della prima presidenza Widido.
Appena dopo l’elezione di Jokowi fu chiaro che gli mancava sia l’appoggio politico che l’impegno personale a portare avanti la riforma democratica. L’appoggio tiepido del suo partito PDIP ed una coalizione iniziale di minoranza in parlamento portò Jokowi a continue nomine politiche.
La nomina di Budi Gunawan a capo della polizia nel 2015 per placare la presidenza del suo partito è l’esempio migliore. La Commissione contro la Corruzione KPK, qualche mese prima, aveva messo Gunawan su una lista nera come ministro. Alla fine Jokowi fu costretto a lasciar perdere la nomina di fronte al trambusto politico.
Invece accettò altre figure dubbie tra cui il generale Wiranto dell’era Suharto caduto in disgrazia. Il già comandante in capo dei militari fu nominato Ministro di Coordinamento per gli affari legali, politici e di sicurezza, anche se in precedenza era stato cacciato proprio da quel ministero per la sua incriminazione per crimini di guerra a East Timor.
Tali nomine spinsero i sostenitori di Prabowo a dire che i legami del proprio candidato con il Nuovo Ordine di Suharto sono ora irrilevanti. “Un paragone ridondante … ci sono importanti figure dell’Ordine Nuovo che decidono in entrambe le campagne” dice Sekar Krisnauli della campagna di Prabowo.
Sotto Jokowi si è indebolita anche la lotta alla corruzione perché il presidente ha politicizzato la questione senza poi difendere la KPK. All’inizio Jokowi chiese alla KPK di indagare il passato dei candidati ai ministeri, portando la commissione nel dominio della politica piuttosto che dell’applicazione della legge, politicizzandola ed indebolendola.
Tom Power della ANU nota che il PKP non ha indagato importanti capi del PDIP e ha detto che la procura di stato si è più politicizzato con HM Prasetyo che proviene da uno dei suoi partiti. Secondo Power minacce di indagine sono state l’arma per spingere le figure di opposizione a sostenere Jokowi, come sindaci e governatori.
Jokowi non ha poi protetto la KPK dalle risposte dei suoi oppositori. Dopo 18 mesi che il famoso investigatore Novel Baswedan perse la vista per un attacco all’acido, nessuno è stato messo sotto accusa.
Ma l’erosione maggiore della differenza tra i due candidati presidenziali è sulla questione dell’islamismo e del pluralismo. Quando i radicali islamici attaccarono le affermazioni stupide del governatore di Giacarta Basuki Tjahaja Purnama alla fine del 2016 accusandolo di blasfemia, Jokowi diede il ben servito al suo alleato. La forza di quelle mobilitazioni contro Purnama spaventò Jokowi il quale temette che i suoi oppositori avrebbero potuto tentare un simile attacco di massa sulle sue credenziali islamiche nel 2019. Lui stesso partecipò ad una grande manifestazione e pregò ad un incontro nel dicembre 2016 dando una legittimazione presidenziale all’evento. Poi abbracciò il capo influente del Consiglio Indonesiano degli studiosi islamici, MUI, Maruf Amin facendone poi il candidato alla vicepresidenza.
Il suo pragmatismo ha rimpicciolito la posizione verso gli attori della società civile guadagnandogli la disapprovazione degli studiosi stranieri. Ma non ha ammaccato la sua posizione nell’opinione pubblica, la cui percezione delle sue capacità e azioni da presidente era inizialmente crollata nei suoi primi mesi al potere. Da allora in poi è cresciuta stabilmente su tutti i versanti. Alla fine del 2018 Jokowi era persino migliorato dall’inizio della propria presidenza.
Jokowi sembra aver evitato un crollo elettorale per due ragioni diverse. Molti dei suoi sostenitori che non accettano le sue politiche le considerano come una costrizione o una cosa migliore di quanto attendersi da una presidenza Prabowo.
Ririn Sefsani, volontario di Jokowi del 2014, dice che “i poteri di Jokowi sono limitati, senza un partito suo, senza legami alle elite e ai militari, ma le attese sono alte. Perciò deve fare compromessi”. Per lei questi compromessi sono inevitabili e sempre meglio di una presidenza Prabowo.
“Una vittoria di Prabowo sarebbe la morte della democrazia, dei diritti politici e del sogno dei bambini indonesiani di famiglie ordinarie di diventare presidente”.
Altri elettori sembrano essere rimasti fedeli a Jokowi perché ne condividono le posizioni. Mentre i militanti speravano che Jokowi avrebbe rivitalizzato la reformasi, ci sono poche prove che l’opinione pubblica vorrebbe che Jokowi prenda posizioni ferme sui diritti umani ed il pluralismo. Le preoccupazioni principali sono di natura economica e Jokowi ha adeguato di conseguenza le priorità di politica durante la sua presidenza.
Dall’arrivo al potere Jokowi ha dato la sua attenzione a migliorare le note povere infrastrutture dell’arcipelago. Nonostante qualche contrattempo, come il ritardo nella costruzione della TAV tra Giacarta e Bandung, Jokowi può puntare ad alcune strutture nuove come vari porti, aeroporti e reti stradali.
Gli indicatori economici fondamentali vanno ragionevolmente bene anche se la crescita non è quella promessa nell’arrivo al potere. L’inflazione resta bassa attorno al 3% annuo che è per Jokowi una buona notizia di fronte alla storia elettorale recente dove è noto che i presidenti godono alti tassi di approvazione se l’inflazione si mantiene bassa.
La buona storia economica di Jokowi, insieme a quanto conquistato in termini di salute ed istruzione, ha reso difficile a Prabowo trovare il modo giusto di attaccare Jokowi, scomparendo dalla vista pubblica per periodi estesi nei suoi primi cinque anni. Da capo del Gerindra ha preferito delegare al suo partito la vita politica quotidiana entrando in campo solo per le elezioni di governatore di Giacarta nel 2017.
Eppure Prabowo è sempre stato il più forte contendente di Jokowi nei sondaggi in queste elezioni portando ad una riedizione di una corsa a due come nel 2014. Resta comunque da vedere se questa volta l’uomo che perse per un soffio nel 2014 sarà ugualmente forte.
Di certo l’inizio di Prabowo è stato più soffice di cinque anni fa. Il populismo e la retorica che gli valsero il sostegno allora è ancora tutto lì anche se solo in alcune occasioni. Ora sembra intento ad apparire come un uomo di stato e composto. Al primo dibattito presidenziale indossò un completo con cravatta piuttosto che il vestito in stile Sukarno come nel 2014.
Ad incarnare tali tentativi di dare un’immagine soffice di Prabowo, il profilo di Instagram si apre col suo gatto a fine 2018 con una serie di immagini del bel felino e messaggi positivi su Prabowo.
Il campo di Brabowo ha cercato anche di riposizionare i suoi primi messaggi di campagna elettorale. Lavoro e costo della vita sono apparsi tanto quanto la xenofobia e le previsioni di un’imminente disintegrazione dell’Indonesia. Il vicepresidente di Prabowo, giovane miliardario che ha studiato negli USA Sandiaga Uno, sembra più a suo agio in questo stile dello stesso Prabowo che gli ha lasciato a lui molta del lavoro della campagna elettorale.
L’inizio di basso profilo di Prabowo ha acceso la discussione se vorrà o potrà alzare la posta nel resto della campagna. A tre mesi prima della giornata elettorale i suoi sostenitori sono ancora convinti che c’è tempo per colmare il colmare il divario. Secondo Sekar Krisnauli più presenza sui media, più visite nel paese e messaggi più semplici sono le cose di cui Prabowo ha bisogno di fare.
Anche fa tutto questo a Prabowo mancano forse quei fondi che segnarono la furia devastante della campagna elettorale. Le risorse del fratello Hashim sono molto minori questa volta, la coalizione dei partiti è più piccola e l’assistenza degli altri partiti è tutt’altro che solida. Per esempio l’ex presidente Yudhoyono si è rifiutato di sostenere Prabowo facendo campagna per il proprio partito democratico che lotta per sopravvivere nelle elezioni parlamentari. Alcuni governatori provinciali del campo Prabowo hanno apertamente sostenuto Jokowi.
La campagna di Prabowo ha anche subito contraccolpi iniziali. Le bufale come il presunto assalto ad un grande sostenitore di Prabowo, Ratna Sarumpaet, che si riprendeva da una liposuzione e non da un’aggressione, hanno aperto la campagna a diffondere il ridicolo. Alcuni estremisti islamici, al suo fianco contro il governatore Ahok nel 2017 non hanno voluto nominare uno dei propri come candidato a vicepresidente. Complessivamente sembra che Prabowo deve scalare una montagna prima del 17 aprile.
Jokowi per altro non è più il politico locale inesperto che entrò nella competizione elettorale con sostegno limitato dalla oligarchia e dalle macchine di partito. Ora da presidente Jokowi non solo ha grandi risorse finanziarie e politiche come patronato e compravendita di voti, ma ha messo su una coalizione formidabile di nove partiti. Può anche essere sicuro che i musulmani più tradizionalisti voteranno per lui dopo la nomina a vice presidente del clericale Maruf Amin.
Non c’è da sorprendersi quindi che anche Jokowi come Prabowo abbia cambiato lo stile della sua campagna. Niente più visite rischiose ed improvvisate del suo stile che utilizzò molto bene nel 2014. Ora è più attento a parlare delle sue cose fatte nello sviluppo infrastrutturale e nel migliorare l’accesso all’istruzione e alla salute. E se le indagini statistiche sono corrette, la gente sembra approvare il suo approccio. A questo punto le elezioni Jokowi sembra poterle solo perdere piuttosto che Prabowo vincere.
Elezioni divisive?
Naturalmente quello era anche il caso del 2014, quando Prabowo alla fine riuscì a raggiungere Jokowi perché trasformò la campagna elettorale in una delle più divisive della storia recente indonesiana, quando ogni candidato mostrava disprezzo per il proprio rivale. La natura della competizione, l’ubiquità dei media sociali, il populismo aggressivo di Prabowo e l’introduzione della campagna all’americana dell’insulto contribuì alla polarizzazione. Quella divisione elettorale si accrebbe gli anni seguenti con la nascita della bufala politica e l’elezione di Giacarta. Molti osservatori hanno temuto che questa campagna potesse diventare la più polarizzante.
Di certo c’è qualche prova a sostegno delle paure che le elezioni affineranno le divisioni. Continua l’ondata di fango sui media sociali con epiteti che definiscono i sostenitori di Jokowi “capoccioni” e quelli di Prabowo “bastoni”. Sempre più indonesiani usano internet come fonte di notizie, il triplo di quelli del 2014, facilitando la diffusione di attacchi personali e di bufale.
La polarizzazione religiosa della campagna contro Ahok deve ancora scomparire del tutto. E nessuno dei due campi si è rifiutato di fare attacchi personali ai propri oppositori per accendere la campagna elettorale.
Allo stesso tempo, l’amministrazione di Jokowi ha lavorato sodo a prevenire un’altra elezione divisiva. La nomina di Maruf Amin, anche se non era la scelta prima di Jokowi, è l’esempio più ovvio di cercare di svuotare una campagna settaria. Inoltre il governo ha fatto molti passi per controllare i discorsi di odio, specie secondo alcuni se diretti al presidente o al governo.
Un’elezione carica di significati religiosi non si adatta a Jokowi perché un terreno più imprevedibile per il presidente di una discussione sulle cose fatte.
Il governo ha fatto una serie di denunce contro chi fa girare materiali provocatori online secondo la legge spesso criticata della transazione ed informazione elettronica. L’ultimo a finire in carcere è stato Ahmad Dhani, musicista arruolato dal Gerindra che nel 2014 fece un video musicale con Prabowo che indossava un’uniforme nazista. Altri critici del governo, anche se non affiliati a Prabowo, sono stati oggetto di intimidazione.
In risposta il campo di Prabowo ha promesso di rivedere la legge per proteggere i comuni cittadini dall’essere intrappolati senza volerlo.
Contro la polarizzazione c’è anche il disimpegno apparentemente forte di alcuni segmenti del pubblico dalle elezioni. Insoddisfatti per la mancanza di scelte, molti si dedicano alla satira promettendo il sostegno a candidati satirici che mischiano i loro nomi, Nurhadi e Aldo, in uno stile tipico dei politici indonesiani per produrre slogan come “Dildo per Indonesia”.
La coppia di attori ha raggiunto velocemente 500 mila seguaci su Instagram ed oltre 100 mila su Twitter. L’ascesa di Dildo ha acceso speculazioni che cresceranno moltissimo gli elettori che sceglieranno l’astensione quest’anno.
Un bivio sulla strada ?
Con sei settimane ancora, gli indecisi hanno ancora molto tempo per decidere. La loro scelta per il 17 aprile forse non è così netta come apparve nel 2014, ma l’elezione potrebbe anche diventare un altro bivio sulla strada delle elezioni indonesiane. Non ultima ragione è il fatto che un gruppo di giovani capi regionali attende con ansia la loro possibilità di avere un’opportunità per le elezioni del 2024.
Se Jokowi vince per la seconda volta c’è poco da discutere che questi futuri politici non avranno quella opportunità. Potrebbe essere una storia differente se questa volta Prabowo vincesse.
Dave McRae e Dirk Tomsa, Inside Indonesia