Chiang Mai immersa nello smog è opaca, oppressiva e sconcertante.
Non esiste l’orizzonte. L’aria è giallastra e di gran lunga oltre i livelli accettabili per la salute: il risultati degli incendi delle foreste e dell’agricoltura locale taglia e brucia con un testa a testa con il fenomeno della meteorologia mondiale, El Nino.
Ma la qualità mortale dell’aria, molto simile a quella di Bangkok di inizio anno avvolta nell’inquinamento, serve solo come confronto all’offuscamento e all’incertezza che circondano le prime elezioni thailandesi in oltre otto anni.
“Siamo tutti frustrati ma non c’è nulla che possiamo farci” dice Thitima Pitivarawong delle elezioni del 24 marzo scorso, tutore che lavora nella città thailandese del nord.
E non è che non fossero inattese queste elezioni.
Prayuth Chan-ocha, il capo della giunta, ha discusso e pianificato il ritorno alla democrazia e al governo civile da quando prese il potere nel 2014 rovesciando il governo della prima ministra Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin, cacciato esso stesso da un golpe 13 anni fa.
La costituzione fu emendata e le regole elettorali cambiate. Tutto va bene se non il risultato che non è un mandato elettorale netto.
Invece è stata una farsa, a cominciare dal capo della Commissione Elettorale che chiedeva una calcolatrice dal vivo in televisione ai tantissimi ritardi e accuse di manipolazione del voto.
Il problema centrale è semplice.
Prayuth e la sua ciurma non hanno afferrato il significato della democrazia.
Fatemi spiegare il concetto. Dopo tutto in Asia ci arrovelliamo ancora, mai col successo completo, su cosa sia o non sia la democrazia.
I Malesi per esempio si sono convertiti alla democrazia solo di recente, appena un anno fa.
Bene ecco: è un governo del popolo in cui il potere sovrano sta nella popolazione che vota.
Ora questo potere lo si può esercitare direttamente, come era nelle città di Atene e Tebe migliaia di anni fa, o da rappresentanti eletti per bene. Questo è il punto dove il processo delle elezioni, nella integrità e equità, diventa critico.
E’ tutto molto diretto a pensarci.
Comunque per Prayuth queste elezioni non erano sul reintrodurre la democrazia quanto nell’esercizio di ostacolare la famiglia degli Shinawatra ed i suoi alleati.
Non sono un fan dell’ex primo ministro che presiedette al massacro di Tak Bai, ma fino a quando resterà la figura più popolare del regno, il ritorno alla democrazia riguarderà solo il plutocrate che vive a Dubai.
E questo chiede che ci si faccia una domanda: perché prendersi il fastidio di tutto questo trambusto quando sai che non accetti i principi che lo sottintendono? Perché suscitare le attese che non puoi risolvere? Perché non continuate per sempre come una giunta militare?
Ci sono altri fattori naturalmente.
C’è un nuovo monarca, Re Vajiralongkorn Bodindradebayavarangkun e la sua incoronazione è prevista per l’inizio del mese prossimo. Il suo padre morto, Re Bhumibol regnò per oltre 70 anni divenendo un governante amato e rispettato.
Comprensibilmente suo figlio vorrebbe vedere il regno tornare nel campo democratico.
Comunque la democrazia può essere sia spietata che volubile. Piani fatti per bene non funzionano sempre specie quando sono in contrasto con la realtà.
Cosa accadrà allora dopo? La Thailandia buddista sarà consegnata ad un giro vizioso di golpe? Si potrà interrompere questo ciclo vizioso?
E’ indicativo il fatto che la giunta sembra essere sulla difensiva nonostante abbia quasi tutte le regole delle elezioni piegate a proprio favore.
I golpe del passato permettevano alle sue elite di riaggregarsi permettendo al paese di fare un “reset fisico della macchina”
Il potere era temporaneamente affidato a mani di arbitri neutri (la corte reale, militari, burocrazia), mentre i politici si raffreddavano e attendevano il ritorno del governo civile.
Ma quello che è cambiato questa volta è che l’odio verso gli Shinawatra dell’elite di Bangkok non permette loro di essere mediatori onesti.
Ora sono coinvolti direttamente: gli elementi partigiani non ricercano più di riformare la democrazia thailandese o di chiudere le differenze socioeconomiche tra Bangkok, il meridione e le regioni favorevoli a Thaksin del nord e nordest.
L’obiettivo è semplicemente tenere Thaksin e le sue forze fuori dal potere a tutti i costi, qualunque sia il costo per il regno e la sua integrità istituzionale.
Nel frattempo l’economia è rimasta ferma.
La Banca Mondiale dice che i tassi di crescita si aggirano attorno al 3-4% negli scorsi anni, lontano dai 4-7% del periodo di Thaksin.
L’incapacità di gestire il calo dei prezzi del caucciù, caduti da 6,26 dollari a chilo del febbraio 2011 fino a 1,65 di febbraio 2019, significa che la crisi agraria che mandava voti a Thaksin in primo luogo non è stata risolta ma di fatti peggiorata.
Inoltre l’ascesa di Thanathorn Juangroongruangkit, Papà, del Future Forward Party (con le moleste idee di tagliare i soldi ai militari e ridurre la diseguaglianza di reddito) mostra che le figure non reali continueranno a catturare l’immaginario pubblico anche se Thaksin uscisse di scena.
La Thailandia ha bisogno di qualcosa di più per restare insieme delle vecchie idee della trinità di Nazione, Buddismo e Re.
E’ necessario un compromesso tra i campi profondamente divisi della Thailandia. Il volto nuovo del miliardario Thanathorn con una sua base giovanile sorprendentemente vasta deve giocare un ruolo centrale nel far progredire il regno mentre si entra nel campo della realpolitik.
Ancora non si riesce a far a meno di meravigliarsi dello sfortunato simbolismo dello smog del nord della Thailandia.
Come il cielo a Chiang Mai il futuro della Thailandia resta disgraziatamente nebbioso
Karim Raslan, SCMP