Quasi tre settimane sono passate dalle elezioni nazionali del 24 marzo, ma la Thailandia resta in uno stato di pericolosa incertezza.
La giunta al potere deve ancora confermare i risultati lasciando la popolazione a preoccuparsi su cosa potrà accadere dopo.
Una cosa comunque si è già chiarita: le elezioni che avrebbero dovuto portare la Thailandia più vicino ad una transizione democratica hanno fatto proprio la cosa opposta.
Sono state le prime elezioni nazionali dal golpe del 2014 che abbatté il governo eletto di Yingluck Shinawatra. Nel periodo preelettorale i generali thailandesi si sono tolte le loro uniformi per adeguarsi ad un nuovo volto civile ad indicare che i militari potrebbero uscire dalla politica.
Tuttavia, il ritardo dei risultati elettorali indica che il governo militare del capo della giunta Prayuth Chanocha non è pronto ad abbandonare il potere nel breve periodo. I risultati preliminari mostrano che il partito Pheu Thai, legato al vecchio primo Thaksin Shinawatra, ha vinto il maggior numero dei seggi parlamentari dandogli la possibilità di formare un governo di coalizione.
La conta delle schede, comunque, può essere una cosa difficile. Miracolosamente la Commissione Elettorale ha scoperto delle schede in più che accrescono i voti totali per molti partiti, compreso e qui non si sorprende nessuno, il partito della giunta Palang Pracharat. Poiché ha conquistato il più alto numero di voti, 8,43 milioni con il 24%, il Palang Pracharat afferma di avere il diritto a formare un governo nonostante abbia conquistato solo 118 seggi, 19 in meno del partito di Thaksin.
Grazie ad una complicata aritmetica elettorale, il più alto numero di voti popolari non si traduce necessariamente nel più alto numero di seggi parlamentari. Quindi il partito che vince il maggior numero di voti non è necessariamente il vincitore delle elezioni.
I partiti di opposizione discutono attivamente di un’alleanza antigiunta per aprire la strada ad un governo di coalizione democratica il cui scopo principale sarà di demilitarizzare la vita politica. Ma è un percorso difficile. Anche se si può formare un governo, ci sono molte insidie davanti.
La costituzione dà il potere al senato un potere superiore a quello della Camera dei Rappresentanti ed i senatori sono tutti nominati dalla giunta. Renderebbero estremamente difficile la vita di un governo contrario alla giunta.
Di conseguenza è più probabile che la Thailandia possa finire a vivere sotto un nuovo governo gestito dai partiti della giunta con Prayuth che torna da primo ministro. Di conseguenza l’influenza militare resterà la stessa.
Con le elezioni che non portano la necessaria transizione significativa, la Thailandia assomiglia più alla Birmania, dove i militari hanno mantenuto la loro posizione di potere nella politica.
I cinque anni di governo della giunta non hanno fatto che approfondire il dominio dei militari sul panorama politico thailandese. Il volto civile di oggi inganna, è difatti un camuffamento che copre l’esercizio continuo del potere da parte dell’esercito.
Nel frattempo, il risultato elettorale svelano un andamento del voto che corrisponde alle basi di potere dei partiti politici. La politica thailandese è rimasta essenzialmente regionale. Le regioni del nord e nordest sono ancora fedeli a Thaksin che vive in esilio. Il meridione appartiene al partito democratico, che si sa è legato alle elite monarchiche.
A Bangkok, la maggioranza dei voti è andata al nuovo Future Forward Party che si presenta come una scelta della nuova generazione democratica con una politica aggressiva che per alcuni va verso antimonarchica.
La profonda identità regionale reitera la continua polarizzazione della politica thai. La divisione in gialli e rossi, tradotta in modo molto approssimativo come conflitto tra l’elite urbana conservatrice e i residenti delle province vicine a Thaksin, non è diminuita.
La riconciliazione politica sarà di conseguenza difficile. Se continua ad esserci l’attuale interregno, le divisioni esistenti potrebbero agitare conflitti violenti. E’ stata già lanciata una campagna di protesta contro il ritardo dei risultati elettorali e molti chiedono la dissoluzione della Commissione Elettorale politicizzata. La rabbia pubblica e palpabile.
Può risolvere lo stallo il re Maha Vajiralongkorn?
Lo scorso mese un altro partito legato a Thaksin sfidò il palazzo nominando la principessa Ubolratana, un membro emarginato della famiglia reale, a candidata primo ministro del partito. Il re quasi immediatamente emise una dichiarazione di condanna della mossa. La corte costituzionale velocemente seguì con la dissoluzione del partito, Thai Raksa Chart. Quindi il re è già intervenuto direttamente nella politica.
Più di recente il re ha fatto un altro passo ulteriore quando ha tolto a Thaksin i suoi titoli reali, illuminando il rinnovato antagonismo tra la monarchia ed il campo di Thaksin.
Il capo delle forze armate generale Apirati Kongsompong ha sostenuto la parte del re descrivendo qualunque movimento democratico come una minaccia alla sicurezza della nazione e alla monarchia.
Militari e monarchia dipendono l’un dall’altro. Si dice che la giunta fece il golpe del 2014 per controllare la successione reale, piuttosto che lasciarla ad un governo guidato da Thakisn.
La giunta ha creato intenzionalmente un interregno parlamentare come una tattica di ritardo per minare la vittoria elettorale della fazione di Thaksin. Quello che forse non capiscono è che minano anche la fiducia popolare nel processo elettorale.
Quando sparisce la fiducia nel processo elettorale, ne può conseguire il disordine
Pavin Chachavalpongpun, Washingtonpost.com