Mentre la Thailandia festeggia il suo anno nuovo Songkran, il nord della Thailandia è colpito dal particolato del PM2.5 che da alcuni mesi causa foschia e smog a rendere l’aria irrespirabile e pericolosa da alcuni mesi.
E’ la stessa situazione che ha colpito Bangkok agli inizi di gennaio a causa della direzione dei venti.
Si sono generati alti livelli di polveri sottili PM2.5, particolato di diametro 2.5 micrometri, capaci di penetrare nei polmoni bypassando le difese umane.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della sanità i livelli di PM2.5 sono pericolosi anche quando la concentrazione è di 25 microgrammi per metrocubo di aria. La OMS ha dichiarato accettabili valori al di sotto dei 10microgrammi a metrocubo come media annuale e 25 come media giornaliera. Le autorità thai hanno portato questi limiti a 25 e 50 microgrammi per metrocubo.
“Quest’anno alcune aree di Chiang Mai hanno raggiunto valori record di PM2.5 oltre i 300 microgrammi per metrocubo …Il Dott Chaicharn Pothirat, specialista presso il principale ospedale di Chiang Mai, il Mjaraj Hospital, ha detto che la Thailandia del Nord ha i tassi più alti di cancro ai polmoni e la gente in Chiang Mai muore in media quattro anni di meno a causa dello smog. Ha calcolato che per ogni aumento di 10 microgrammi per metrocubo di PM2.5 i tassi di mortalità a Chiang Mai crescono del 1.6%.” si legge su Asiatimes
Praticamente si dovrebbe camminare e vivere con una maschera speciale, capace di filtrare questo particolato, ed avere nelle case, negli ospedali, uffici e scuole dei purificatori di aria per tenere bassi i livelli di PM2.5 negli ambienti chiusi, che altrimenti non sarebbero poi così diversi dall’aria esterna.
Chiang Mai è la località preferita da chi vuole fuggire dal caldo soffocante della metropoli e trovare un po’ di refrigerio ed aria pulita nelle zone del nord del paese. Ma ahimè la situazione è molto simile in tutte le province del Nord, come Chiang Rai, Nan, Mae Hong Son e così via.
Su un articolo del The Nation, si legge
“I fuochi delle boscaglie hanno devastato oltre 432mila ettari di foreste nelle nove province settentrionali.” a partire dal 1 gennaio 2019 fino al 16 marzo scorso usando dati dell’agenzia di sviluppo della tecnologia spaziale e geoinformatica.
Inoltre fino a qualche giorno fa i dati satellitari mostravano che c’erano 124 centri di incendi nella provincia di Mae Hong Son.
C’è da dire che questi incendi riguardano un po’ tutta l’area del sudestasiatico continentale, quindi anche Laos, Cambogia e Birmania ad indicare che una soluzione vera al problema può essere fatta solo se il problema è visto da tutti i paesi alla stessa maniera ed affrontato in modo collettivo.
Prerequisito però è che le autorità thailandesi, invece di minimizzare per non creare panico al turismo, una scusa classica in ogni crisi vissuta in Thailandia, dovrebbero affrontare il problema non solo quando lo smog e i fumi avvolgono Bangkok, il centro dell’immaginario thailandese.
Se a Bangkok si sono chiuse a gennaio le scuole per la forte persistenza di livelli intollerabili di PM2.5 a Chiang Mai livelli molto superiori sono trattati senza troppa preoccupazione.
“Livelli insalubri di smog sono stati registrati nelle nove province settentrionali ed in una provincia della Thailandia centrale e Chiang Mai ancora una volta ha raggiunto il dubbio onore di essere la città più inquinata al mondo” si legge su Nationmultimedia.
Non sappiamo quanti turisti siano disposti a visitare la città più inquinata al mondo previo l’acquisto di una maschera particolare.
Questo ben inteso non è un favore al turismo nazionale ed internazionale. Anzi si notano a Chiang Mai livelli leggermente inferiori delle prenotazioni turistiche e gli arrivi interni sembrano destinati a diminuire.
E’ di qualche giorno fa la notizia che il primo ministro Prayuth, in virtù dei poteri assoluti in suo possesso, ha ordinato di risolvere la situazione in una settimana. Non è tanto che ha a cuore Chiang Mai, quanto che lì si terrà un vertice dell’ASEAN.
Ma qual’è la causa di questo inquinamento atmosferico da smog e fumi che negli anni precedenti non aveva questa intensità e persistenza nel tempo?
La causa fondamentale la si può definire la diffusione della monocultura del mais, non solo in Thailandia ma anche nei paesi circostanti, anche in zone protette. Non un mais commestibile per l’uomo ma quello che alimenta l’allevamento industriale di polli, tacchini e maiali.
Traduciamo un articolo apparso sempre sul The Nation di un rappresentante di una ONG che spiega l’origine di questi fuochi.
Che fare con la foschia che rischia di uccidere la gallina dalle uova d’oro
Abbiamo un grande e risaputo problema: la fonte della crisi cronica della foschia in Thailandia è il Mais. Abbiamo un altro grande e sconosciuto problema. Il Mais è un legame in una catena miliardaria di rifornimento fondamentale per il paese e per la sua popolazione più povera.
Il vero grande problema, perciò, non è cosa fare del Mais e del suo contributo alla crisi della foschia.
Il vero grande problema è come risolvere il problema del mais senza uccidere la gallina che fa le uova d’oro. Warm Heart Foundation ritiene che abbia un basso costo e che sia una soluzione replicabile. Prima però sarebbe utile rivedere le origini agricole della crisi della foschia.
Il mais è una storia maligna. Il modo in cui si coltiva in Thailandia non ha scusanti, nulla da dire. La crisi dello smog del nord è dovuto in larga parte al bruciare i campi di mais. Solo tre province Tak Chiang Rai e Nan coltivano 256mila ettari a mais, il 24 del totale nazionale. La foschia uccide e ammala migliaia di persone e noi tutti paghiamo per le loro cure.
Qual’è il problema del Mais? L’estensione. Il mais da essere parte regolare della dieta nazionale è diventata il raccolto più grande e veloce, ma non lo possiamo mangiare. Non è adatto al consumo umano, almeno il 95% di quello coltivato.
Come si è arrivato a ciò? La richiesta di carne, latte e gelati da parte della domanda crescente e veloce globale e della classe media thailandese.
Polli, maiali e mucche trasformano i mangimi a base di mais fino a trasformarlo in barre Magnum in modo molto inefficiente.
I posti più economici per crescerlo ed i contadini più disperati per farlo sono nelle province del Nord dove le pendenze ripide ed il suolo cattivo sono buoni solo per questo. Le leggi proteggono tali suoli, ma chi deve far applicare la legge contro i fuochi non vede che le foreste bruciano perché si fa posto a nuovi campi perché di più è meglio. Tra il 2017-18, il 52% dei suoli a mais erano all’interno di foreste protette.
Il governo stesso con la Thai Animal Feed Association ha incoraggiato gli agricoltori del riso a piantare mais come secondo raccolto nei loro campi per “conservare l’acqua”.
Qual’è allora il problema? L’espansione eccessiva del Mais in suoli fragili in foreste protette che sono le poche aree restanti di biodiversità in Thailandia.
La monocultura a mais genera una pressione enorme di insetti e richiede un uso di pesticidi con conseguenze letali. Il Mais stesso è un raccolto particolarmente sprecone; solo il 22% è chicco, mentre il 78% resta nel campo da essere ripulito in qualche modo prima della prossima semina. Bruciare è il più semplice dei modi ma poiché oltre la metà dei suoli sta nelle foreste anche loro bruciano.
Come curare la gallina dalle uova d’oro malata?
Un articolo recente nel The Nation illumina il lavoro di importanti organizzazioni thai che comprendono il problema e hanno soluzioni sagge.
Come osserva Withoon Lienchamroon di BioThai, poiché sono responsabili solo poche grandi compagnie incoraggiate dalle politiche del governo, deve essere possibile spingere per una sostenibile soluzione pubblico privato per sostenere una agricoltura integrata e non la monocultura.
Olarn Ongla aggiunge che la politica deve affrontare la povertà dei contadini che impedisce loro di andare verso tecniche più sostenibili.
Sembra bellissimo, ma nonostante i costi sociali della foschia né governo né imprese hanno motivo di cambiare. Entrambi misurano i costi minimi con i rischi.
Il governo ha limitato il monitoraggio delle foreste ed i costi dell’uso della polizia o i costi di estensione agricola ai margini rurali. Eletto con maggioranza popolare (??? NdT) può ignorare le proteste in un’area di opposizione.
Fare nulla evita anche il rischio del fallimento, pericoloso quando la legittimazione dipende dall’abilità di dare successi veloci e tangibili Ne frattempo le copagnie non incontrano il rischio di un mais più costoso, che è il costo maggiore nella produzione animale, e possono usare programmi di solidarietà sociale di impresa per placare l’opposizione mentre si spostano a produzioni estere.
Uccidere la gallina che depone uova d’oro
Cosa succede se un tale progetto è imposto? Le compagnie se ne vanno con conseguenze terribili per la Thailandia. Le imprese producono mais nel nord thailandese perché erra e lavoro costano poco. Se restare in Thailandia diventa troppo costoso se ne vanno in Birmania. Le condizioni fisiche sono simili, il lavoro costa meno e non ci sono regole. Con l’accordo di Commercio Libero nel ASEAN, il costo per importar il mais è minimo, sebbene il trasporto non convenga. Come risolvere al meglio il tutto? Spostare gli animali in Birmania insieme a tutto. Il costo è presto ripagato dai minori costi di impresa.
Come conseguenza i fuochi in Thailandia, l’occupazione delle foreste e la quantità di mais coltivato decresce. Portiamo fuori il problema ma in modo non efficace. La foschia continua dalla Birmania, dove sono esposte altre migliaia di persone. Più vicino decine di migliaia di Thailandesi impiegati nella catena perdono il lavoro, un destino condiviso da tantissimi contadini. Non ci sono raccolti pronti per sostituire il Mais, fonti di richiesta o fondi.
Le comunità rurali crollano prima, più contadini senza istruzione e capacità si precipitano nelle città. Le importazioni di pollo, maiale e carne salgono alle stesse.
La gallina è morta senza una fonte alternativa di oro in mano.
Ma la gallina deve morire?
Noi pensiamo di no. Siamo una piccola fondazione thailandese senza finanziamenti internazionali e nazionali delle grandi ONG. Non facciamo piani per governi o imprese. Crediamo che il Mais deve restare, essenziale per le vite dei poveri contadini di cui ci si dimentica nella discussione pubblica.
Pensiamo ci sia un modo per risolvere la crisi della foschia attraverso il mercato e la ricerca di una vita migliore dei contadini: diamo incentivi e mezzi per trarre profitto dal non bruciare i rifiuti del mais. Ora.
Crediamo che noi cittadini del nord possiamo scegliere tra due futuri. Il prossimo decennio può essere rannuvolato dalla foschia o i piccoli contadini possono imparare a convertire il rifiuto del mais a biocarbone, biomassa carboniosa e venderlo come fertilizzante.
Nessuna alta tecnologia, né alti costi, nella soluzione che Warm Hearth propone. Possiamo insegnare a contadini poveri che lo insegneranno ad altri a fare l’equipaggiamento generale e il biocarbone.
Un vecchio contadino thai che insegna ad un altro contadino a fare il biocarbone dal rifiuto del raccolto in un campo piccolo maltenuto usando qualcosa disegnato in Thailandia stessa e costruita dal contadino stesso non è qualcosa che va sui bei sitiweb o merita di apparire nell’accademia.
Ma funziona. Non è una vaga promessa, né una possibilità teorica. Non richiede anni di test perché conosciuto e testato.
Se decine di migliaia di piccoli contadini imparassero a fare la cosa giusta, ci sarebbe meno foschia nell’aria il prossimo anno.
Michael Shafer TheNation