In una capanna in bambù dal tetto in lamiera, immersa nel verde di una luce fluorescente, Praew indica i mobili in bambù.
“E’ più fresco qui nella brezza e non è chiassoso come dentro” dice la donna che mostra il retro della capanna con la cucina, il bagno ed una macchina di Karaoke.
L’aria afosa della notte orta l’odore della vegetazione tropicale, della terra cotta al sole e dell’odore di qualcosa fritto con l’aglio. Quando arriva da mangiare e bere da dentro, Praew inizia a parlare di sé, una lavoratrice sessuale laotiana nel villaggio assonnato di Det Udom ad Ubon Ratchatani.
Quattro anni dopo le tantissime operazioni a livello nazionale, non è cambiato nulla nei bordelli e nel Karaoke lungo la frontiera Thailandese con Laos. Le donne laotiane povere continuano a trovare il modo di entrare nel commercio sessuale in Thailandia nonostante il rischio di arresto e deportazione. Nel frattempo le autorità sanitarie sono frustrate dalla sfiducia delle ragazze verso le autorità thai che ostacola gli sforzi di controllare la diffusione di malattie.
Solo un salto attraverso la frontiera
Praew viene da un villaggio vicino Phonthong che “non ha nulla”, come dice lei, a venti chilometri dal passaggio di frontiera a Chong Mek. Praew, ora di 29 anni, giunse in Thailandia che aveva venti anni per cercare lavoro e sostenere la famiglia e scappare dalla vita del villaggio. Degli amici le avevano detto che avrebbe potuto fare soldi, molti di più di quanti ne poteva fare con il lavoro e le paghe locali a Pakse.
Secondo l’ILO la Thailandia è la destinazione preferita per gli emigrati laotiani. Il ministro del lavoro thai ha registrato circa 111 mila emigrati legali del Laos a maggio 2018. Mancanza di opzioni di lavoro e povertà sono i fattori trainanti per la forza lavoro poco specializzata laotiana. La paga media thai è circa il doppio di quella laotiana.
Praew e le altre del Karaoke non hanno salario ma hanno una piccola commissione per le bevande che aiutano a vendere, racimolando in un mese 300 euro che per lo più giungono dal dare servigi sessuali a gente del luogo.
“A Pakse guadagnerei meno della metà e lavorerei a tempo pieno” dice Tukta di 26 anni amica di Praew. Entrambe dicono che riescono a mandare a casa in Laos un po’ di soldi “senza dover lavorare molto duramente”
“Non ho un salario ma sono libera di venire a lavorare quando voglio” dice Praew. “Se voglio dormire tutto lo giorno lo faccio. Se voglio andare qualche giorno in Laos a vedere i miei o per delle feste, lo dico al gestore qualche giorno prima e vado”
La Banca Mondiale stima che nel 2016 il Laos abbia ricevuto 100 milioni di euro di rimesse di lavoratori in Thailandia.
Nel Nordest le donne laotiane lavorano nei bordelli e nei bar d Karaoke vicino alle aree d frontiera. Ma dei dati statistici sulle lavoratrici sessuali laotiane in Thailandia sono difficili da avere.
In uno studio del 2015 del Servizi Sanitari provinciali di Ubon, c’erano 2410 donne che lavorano in ristoranti e karaoke nella provincia di Ubon soltanto. Di queste 1230 sono lavoratrici sessuali e 692 erano donne laotiane.
Repressione per far bella mostra
Dopo le critiche internazionale sullo schiavismo in Thailandia presente in larga scala nel paese, il governo militare lanciò la repressione nel 2015 contro bordelli, saloni di massaggio e Karaoke con risultati confusi.
Fu data maggiore enfasi a dare attenzione alla protezione delle vittime con task force in cui c’erano lavoratori sociali ed ONG, ma resta la complicità ufficiale a frustrare gli sforzi delle iniziative.
Secondo un rapporto del dipartimento di stato, si continua ad arrestare, punire e deportare le vittime del traffico per crimini che sono la conseguenza del traffico, come sesso commerciale. I datori di lavoro usano spesso le leggi contro la diffamazione per impedire a vittime, militanti e rappresentanti ad agire o fare indagini per paura di possibili accuse di diffamazione penale. Si ricorderà l’accusa contro due giornalisti da parte della Marina Thai nel 2013 per aver citato un articolo della Reuters che implicava la Marina nel traffico dei Rohingya.
In conseguenza di questa repressione sono forse spariti i minorenni dei paesi vicini dalla tratta, ma le donne adulte laotiane continuano ad entrare legalmente in Thailandia per lavorare nel commercio sessuale sotto forma di cameriere, assistenti di negozio o altri lavori semplici.
Per avere il visto e permesso di lavoro alle povere donne laotiane vengono chiesti 20 mila baht che spesso vengono pagati dai datori di lavoro.
Se qualcuno è preso mentre svolge un lavoro differente da quello scritto sui permessi hanno una multa salata e talvolta sono arrestati per qualche giorno per essere poi deportati di nuovo in Laos.
“E’ come tornare in una vacanza non pianificata” dice Praew. “Cambiamo la nostra registrazione presso la casa di un amico prima di poter chiedere di tornare in Thailandia. Non è difficile. Non credo che gliene importa molto alle autorità thai”
Praew insieme ad altre nel suo karaoke ammette che molte di loro sono state cacciate decine di volte negli anni. Un sergente di polizia nell’anonimato dice che la repressione del 2015 fece poco per affrontare il traffico umano in Thailandia.
“Da quello che ho visto è stata una repressione solo per fare bella mostra. Andarono negli obiettivi grossi come i grandi bordelli delle città per farsi notare dalla TV e dai giornali, ma cosa è accaduto agli schiavi trafficati per la flotta dei pescherecci?”
Ha continuato a dire che le unite specifiche attaccano i luoghi secondo gli ordini dall’alto e che questi attacchi nascondono il fatto che la polizia del posto tende “ad avere una relazione di lavoro” con bordelli e karaoke. Le autorità locali sanno probabilmente che i luoghi hanno lavoratrici sessuali e talvolta hanno soldi di protezione dai gestori.
Gli esperti dicono che le leggi sulla prostituzione in Thailandia spesso fanno più danno che bene. La legge più citata contro la prostituzione da parte delle autorità è quella del 1996 sulla prevenzione e soppressione della prostituzione. Definisce come prostituzione “l’atto sessuale od ogni altro atto o commissione di ogni atto per gratificare il desiderio sessuale di una persona in modo promiscuo in ritorno di denaro o beneficio”
Naiyana Supapung, avvocatessa dei diritti delle donne e già commissaria dei diritti umani, sostiene che queste leggi creano vie di fuga per la corruzione e i racket di protezione. Quando una compagnia paga denaro di protezione, la polizia non fa il proprio dovere come dovuto e permettono che avvenga un traffico umano.
Thanta Wilawanyakul, una ex lavoratrice del sesso e militante che sostiene la legalizzazione del lavoro sessuale della Empower Foundation, è molto critica non solo delle leggi sulla prostituzione in Thailandia ma anche delle leggi di polizia.
“Chi applica la legge causa la maggioranza dei problemi per le lavoratrici del sesso, non i cattivi utenti o le malattie trasmesse sessualmente” dice.
Nel 2011 la Corte Suprema disse che è legale per le civette della polizia utilizzare le forme ultime di trappole contro le lavoratrici del sesso: chiedere servigi alle lavoratrici del sesso, pagare per i servigi dati con soldi pubblici e poi arrestarle per crimine di prostituzione.
“Nel momento in cui la lavoratrice ammette ad un poliziotto che è una lavoratrice del sesso, è a rischio di una multa e della macchia sulla fedina penale” dice Naiyana. “E’ triste vedere quanto siano vulnerabili, che si sentano perseguite dalla legge quando è di essa che potrebbero aver bisogno”
Thanta a sostegno dice che le lavoratrici sessuali sono già in una posizione vulnerabile per la natura del loro lavoro.
“Si immagini come si sentano quando pensano che non possono neanche andare alla polizia quando una di loro è stuprata, o quando scoprono di lavorare con minorenni schiavizzati.”
Thanta sostiene che “le leggi sembrano violenza istituzionalizzata contro le lavoratrici del sesso” perché comportano l’essere preda di ufficiali di polizia rapaci, oggetto di multe, di carcere ed in alcuni casi di deportazione.
“Nessun altro lavoro nei servizi presenta tanti pericoli occupazionali” dice Thanta che crede che il lavoro sessuale dovrebbe essere riconosciuto come professione di servizio legittima agi occhi della legge.”
Nessun dato sulla salute pubblica
A causa della sfiducia dei rappresentanti del governo, le lavoratrici del sesso laotiane evitano un contatto con i lavoratori della salute. Questo ostacola il loro accesso ai servizi di sanità ma anche ostacola la capacità di risponde efficacemente nelle regioni di frontiera alla diffusione di malattie.
Nel 2018, Ratchaneewan Niramit, ricercatrice dell’Università di Khon Kaen, che condusse uno studio sull’accesso al servizio sanitario da parte delle lavoratrici laotiane a Ubon, trovò che la criminalizzazione della prostituzione impedisce alle autorità sanitarie di mantenere accurati e dettagliati dati sulla prostituzione.
“La stessa cosa vale per le controparti nelle amministrazioni locali e la polizia” dice Ratchaneewan. “La legge delle relazioni è che qyello che mantiene le cose funzionanti lungo la frontiera e l’ultima cosa che vogliono è di attrarre attenzione e favorire un’altra repressione salvafaccia”.
Comunque trovò anche che le autorità locali, la polizia e i lavoratori della salute nelle aree di confine hanno accettato di assistere e trattare tacitamente le lavoratrici del sesso laotiane caso per caso senza guardare al loro status legale o attività professionali.
Tuttavia un lavoratore della salute intervistato per uno studio considera le lavoratrici del sesso laotiane come uno dei gruppi più duri in termini di trattamento sanitario. Le autorità sanitarie locali fanno controlli sanitari gratuiti per le lavoratrici ma le donne laotiane tendono ad evitare di usare questo servizio.
La ricerca qualitativa di Ratchaneewan trovò che una gran parte di loro non diventavano coscienti dei rischi di malattie e del bisogno di protezione finché non entravano nel commercio, e che la loro cultura tradizionale gioca un ruolo profondo in come si rapportano ai clienti.
“Noi veniamo da un luogo in cui si crede negli spiriti. Se rompiamo le regole, come avere figli fuori del matrimonio, ci saranno conseguenze. Io o chiunque della famiglia potremmo ammalarci seriamente, senza possibilità di trattare la malattia se non calmando gli spiriti.” dice Tu a Ratchaneewan. “Dico ai miei clienti che se non vogliono usare un preservativo devono andare e chiedere ai miei genitori in Laos la mia mano.”
Secondo quanto trovato da Ratchaneewan le lavoratrici del sesso in aree più remote non hanno scelta se non andare in ospedali pubblici dove pagano tutto il trattamento, preferendo spesso le cliniche private dove c’è più discrezione ed efficienza.
Una via di uscita
Tutti sembrano concorrere nel dire che le leggi thailandesi e la polizia devono adeguarsi quando si tratta di dare giustizia a chi è coinvolto nella prostituzione.
Naiyana riconosce quanto le leggi sulla prostituzione possano andare in versi opposti.
“La legislazione per il lavoro sessuale è pieno di tensione tra chi vede la legge come uno strumento di giustizia sociale e chi lo usa come strumento di moralizzazione”
Thanta considera che rigettare la legge del 1996 sia la singola cosa più importante da fare a questo punto. La legge “crea una barriera che impedisce ai lavoratori del sesso di accedere ai diritti come la salute, ad una vita ed ad altri diritti”
Alo stesso tempo, Thanta crede che che le lavoratrici del sesso potrebbero diventare talpe nella lotta contro il traffico di schiavi e la prostituzione minorile.
“La lavoratrice sessuale media è fortemente contraria nel vedere bambini nel traffico sessuale, ma non possono parlare a causa del loro status illegale. Se il lavoro sessuale fosse legale, i primi ad andare alla polizia per denunciare il traffico sarebbero esse stesse”.
Durante l’amministrazione di Yingluck Shinawatra si perseguirono cambiamenti alla legge del lavoro sessuale e si formò una task force in cui c’era anche Naiyana, per esaminare la legge e fare delle raccomandazioni fattibili tra cui la registrazione e regolamentazione dei lavoratori del sesso. Dopo il golpe del 2014, la giunta pose termine al progetto sciogliendo il comitato.
Naiyana Supapung spera che un cambio positivo nel governo possa ravvivare questo sforzo e portare a cambiamenti positivi per tutti i lavoratori del sesso su tutta la Thailandia, da qualunque paese giungano.
Per Praew che vorrebbe terminare questo lavoro, la possibilità di essere legalizzata come lavoratrice giunge troppo tardi per fare la differenza.
Dice timidamente che un cliente regolare le ha comprato un frigorifero nuovo.
“Forse il prossimo regalo sarà un anello!” dice ad alta voce pensando ad una strategia di uscita comune per le lavoratrici del sesso laotiane.
“Eppure, sarebbe bello se non dovessimo fare finta” dice “Gli uomini a Det Udom di certo non fanno finta che siamo delle cameriere quando viene i tempo del raccolto”
The Isaan Record