La bellezza unica e la biodiversità negli ambienti marini dell’arcipelago di Myeik, nella Birmania meridionale, sono messe in pericolo dalle reti abbandonate ed altre attrezzatura della pesca che causano morte e distruzione.
La Birmania sembra avere un problema massiccio con le vecchie reti che radono le barriere coralline e uccidono la vita in mare, senza un testimone di questa devastazione e con poche persone che ne parlano.
Apparecchiature marine abbandonate, come reti di pescatori, funi, giare o altre trappole lasciate nell’oceano accidentalmente o di proposito. Reti vecchie diventano un immenso problema globale sia ecologico che economico.
Negli ultimi cinquanta anni è più che raddoppiata la richiesta di frutti di mare che ha comportano un numero maggiore di pescherecci che hanno generato tonnellate di reti abbandonate che insozzano gli habitat marini insieme alla crisi della plastica.
Vari fattori contribuiscono alle reti abbandonate. Alcune si perdono a causa del cattivo tempo e si muovono a caso finché non si incagliano tra le rocce o le barriere coralline. Alcune sono abbandonate quando finiscono sulle rocce ed i coralli nella pesca troppo vicino alla barriera corallina. Talvolta sono abbandonate quando si rompono e non ci sono spazi sul peschereccio per riportarli a riva o non si riescono a smaltire.
Per qualunque ragione queste reti abbandonate continuano ad afferrare ed uccidere la vita in mare per anni e contribuiscono allo spopolamento di un oceano un tempo abbondante e a distruggere l’ecosistema che sono fonte di alimenti e sostegno economico.
Secondo uno studio dell’ONU del 2009 ci sarebbero 640 mila tonnellate di reti abbandonate negli oceani del mondo, una quantità che sarà di certo accresciuta a allora, se si considera la crescita dell’industria della pesca globale.
Un’indagine della ONG olandese The Ocean Cleanup concludeva nel 2016 che il 46% della plastica in quello che è conosciuta come la Macchia di Rifiuti del Grande Oceano Pacifico è fatto di attrezzatura della pesca distrutta.
La maggioranza delle reti di plastica sono fatte di plastica perché pesano meno, durano più a lungo, ma non si degradano per secoli. Quando alla fine si rompono diventano microplastiche che riescono ad entrare nella catena alimentare fino al nostro piatto.
Comprendiamo solo da poco il modo in cui le microplastiche uccidono la vita in mare ed i consumatori.
Immergendosi nei mari birmani, si incontrano tutti i tipi di reti da pesca. All’inizio c’è da essere arrabbiati, poi ci si sente frustrati e poi impotenti. C’è il rischio di diventare assuefatti, come lo si può diventare per le campagne della Birmania ricoperte di rifiuti di plastica dove l’aria talvolta puzza di plastica bruciata. Poi si incontrano le reti di plastica in mare se si fa immersione.
Durante una di queste immersioni c’erano una dozzina squali bambù ed altri pesci di scogliera che erano rimasti intrappolati in una rete abbandonata nell’Arcipelago di Myeik, una fila di 800 isolette nella regione meridionale birmana del Tanintharyi. Un tempo si chiamava arcipelago di Mergui.
Gli squali bambù vivono sotto le rocce da dove escono per andare a caccia. Le loro tane erano coperte da una rete enorme che teneva dentro racchiusi dei piccoli squali che erano forse tutta la popolazione marina locale.
Visitandola solo una settimana dopo, non si sarebbero scoperti gli squali, e si sarebbe vista solo una rete che copriva un apogeo. Non si sarebbe perso tempo a liberare dalle reti tutti gli animali.
Otto mesi dopo ritornai ad immergermi nello stesso punto e ritrovai la rete dove l’avevamo lasciata. Non c’erano più squali bambù e molti meno pesci di scogliera. Capii che se non si fossero rimosse le reti, si sarebbe replicato lo stesso scenario su tutto l’arcipelago.
Lo scorso anno, il sostegno per questo grande progetto da parte del Global Ghost Gear Initiative, Ocean Conservancy e National Geographic Society mi permisero di fondare Myanmar Ocean Project che ha l’obiettivo di comprendere l’estensione del problema delle reti abbandonate nelle acque birmane.
Nella pianificazione della spedizione, avevo dei dubbi. Non sapevo come definire una spedizione di successo. E se non avessi trovato reti? Avrei perso del tempo, sforzi e soldi. Forse era stato il casi di qualche rete e non c’erano reti dovunque.
Passammo sette settimane nell’arcipelago di Myeik, vedemmo 22 siti e rimuovemmo una tonnellata di reti. Completammo la prima spedizione con successo, raccogliendo dati per comprendere la vastità del problema delle reti a largo della Birmania e ripulendole.
Molte volte c’era da sentirsi sopraffatti dal numero grande di reti abbandonate, dal numero di specie ingabbiate o ferite dalle reti come la Manta Ray ed il pesce della barriera ed i crostacei. Fui sopraffatta dal fatto che nonostante le reti abbandonate incontravamo una impressionante ed abbondante vita marina dovunque andavamo.
Le barriere coralline e le colorate ed i pinnacoli possono competere benissimo con le destinazioni migliori al mondo per le immersioni subacquee.
Ma questo settore è ancora nelle sue fasce in Birmania. Tutta questa bellezza potrebbe sparire nel giro di qualche anno prima che i birmani possano avere la possibilità di apprezzare quello che hanno in casa e mostrarlo al mondo. Il paese potrebbe restare con “zone morte” che privano le comunità costiere del loro sostentamento e ferire la loro industria della pesca.
Non è abbastanza ricercare e pulire. Trovammo così tante reti che nelle nostre limitazioni di tempo e di forza, dovemmo decidere cosa togliere e cosa lasciarci dietro.
Abbiamo bisogno di trovare soluzioni locali che facilitino ai pescherecci smaltire le reti. Abbiamo bisogno di maggiori parchi marini protetti, di incoraggiare pratiche di pesca sostenibili e l’applicazione giusta di divieti dei metodi nefasti, come pescare troppo sotto riva o reti a passo stretto.
Abbiamo bisogno di entrate alternative per i pescatori e le loro famiglie. E da consumatori dovremmo porre attenzione alle conseguenze del nostro appetito evitando frutti di mare arrivatici da impianti di trattamento e pesca industrializzata.
Vorrei vedere quei siti che abbiamo ripulito restare puliti senza nuove reti che vengono buttate.
Vorrei che la vita marina della Birmania preservasse la sua salute ed abbondanza, e che la popolazione degli squali bambù a Sloop Rock, dove tutto ha avuto inizio, si possa riprendere.
THANDA KO GYI | Frontier Myanmar